ConsulenzaFilosofica

Conoscenza filosofica e conoscenza tradizionale - VIII -


La fattualità della morte, cioè lo scioglimento dell'anima dal corpo, però, non implica la certezza della fine dell'uomo; il ragionamento filosofico esamina l'ipotesi che dell'uomo colpito dalla morte rimanga parte della sua composizione, l'anima, impassibile ed inattaccabile, priva di danno da ciò che, per natura, potrebbe non riguardarla.Pare che dottrine religiose possano supportare favorevolmente tale ipotesi, dando modo acché il ragionamento possa proseguire, testimoniando dell'esistenza delle anime nell'Ade, secondo quanto viene detto nel passo 62b del Fedone, dove Socrate dice: «che noi uomini siamo come chiusi in una custodia». L'anima, allora, in quanto foriera di vita, non può subire morte, dato che la morte procura la rovina di ciò che è composto causandone la decomposizione e l'anima è semplice e, per tanto, non può essere oggetto di decomposizione; se l'anima non può perire, quando essa viene scissa dal corpo, continua a vivere nell'Ade, provenendo lì dal mondo dei vivi, per tornare, da lì, ancora, nel mondo dei vivi.L'argomentazione filosofica viene espressa nel passo 70c-72d del Fedone, dove leggiamo che la generazione dei contrari avviene reciprocamente, cioè, da una cosa contraria, soggetta a generazione ed a corruzione, e da questa si genera un'altra cosa contraria; leggiamo che l'essere morto è contrario all'essere vivo, ed essi si generano, reciprocamente, l'uno dall'altro; pertanto, se ciò è vero, l'anima deve esistere necessariamente dopo la morte del corpo, e, deve andare in un altro luogo, invisibile e a lei affine, dato che affinché si possa ripetere il processo di nascita, è necessario che esista l'anima capace di portare la vita. Il morire è evidente e comprensibile; il necessario processo contrario al morire è il rivivere.Il rivivere è un processo di generazione da morto a vivo.Pare, dunque, confermato che i morti derivino dai vivi, come i vivi dai morti.Tale ipotesi non pare ammessa ingiustamente; infatti i processi di generazione devono compensarsi perennemente, avvicendandosi tra loro, come in un circolo, altrimenti si rischierebbe di ritrovare tutto nella medesima forma, nel medesimo stato, e, finirebbe il processo di generazione, dato che se tutto ciò che ha vita trovasse la morte, senza che vi fosse il ritornare alla vvita dalla morte, tutto finirebbe per esaurirsi nella morte, e, nulla più avrebbe vita; pertanto è bene pensare che esista il rivivere e che i vivi derivino dai morti e che le anime dei morti continuino a rivivere.La dottrina secondo la quale l'apprendere non è che un ricordare ha, alla base, la considerazione circa la necessità dell'esistenza dell'anima intelligente, prima che essa s'incarnasse. Affinché vi possa essere ricordo, è necessario che vi sia un antecedente apprendimento, una conoscenza, successivamente riconosciuta nel ricordo, secondo quanto leggiamo nel passo 72e-76a del Fedone.È possibile avere dimostrazione di ciò mediante un esercizio verificativo, consistente nell'interrogare qualcuno, affinché giunga a ricordare la propria conoscenza, riuscendo a darne prova, mostrando, cioè, che l'anima possiede una conoscenza, che non ha avuto modo di acquisire in vita, e, che, pertanto, non può essere stata acquisita se non durante l'esestenza autonoma dell'anima stessa, in un tempo precedente all'incarnazione; ciò differisce sostanzialmente dal processo conoscitivo tradizionale di apprendimento.Ciò dimostra la capacità d'esistenza dell'anima, la sua inattaccabilità per opera della morte, la sua immortalità. Il ricordo viene prodotto da un richiamo di qualcosa di conosciuto rivolto alla mente; tale richiamo può essere operato da qualcosa di simile ed affine alla cosa conosciuta, oppure, anche da qualcosa di differente, ma, che, ugualmente, percepito, permette la verifica, l'attuazione del ricordo a cui tale cosa riconduce, come leggiamo nel passo 73c-74e del Fedone.