ILDOMINIOPERDUTO

DIECI MILA LIRE


La città dorme. È una delle poche sicurezze che ha. Dorme come dovrebbe fare lui, anche se in giro c’è ancora gente, anche se le vetrine di alcuni negozi sono illuminate. Sa che la città, come lui, ha bisogno di tempo per ricaricarsi, prima di riprendere a macinare sogni e soldi come tutti i suoi abitanti. È una necessità. Ne è sicuro perché accendersi ogni mattina in tutta la sua radiosa bellezza è una faticaccia, ospitare tante speranze di tante persone è una responsabilità enorme anche per un’entità così sfaccettata, ma piena di ottimismo, come è appunto la sua città. Non si tratta di un riposo lungo, perché si è ritrovato spesso per le strade alle cinque della mattina, quando i panettieri aprono i forni, quando i corrieri si mettono a macinare chilometri, quando i giornali vengono depositati ancora caldi fuori dalle edicole, eppure se dorme tranquillo è anche per questo, perché sente che la città è come lui, che ha bisogno di ristorarsi per ricominciare con lo stesso entusiasmo il giorno dopo. Se tutti quelli che abitano o lavorano qui dovessero risvegliarsi, un giorno, con meno bellezza nelle strade e nelle piazze, sarebbe un disastro, forse non ne varrebbe più la pena, e lui non vuole nemmeno pensarci. Quindi solitamente riesce a santificare il riposo con tutta la passione che si riconosce per le attività non strettamente lavorative. Tranne questa notte. Non sa perché si sia svegliato così presto, non l’ha ancora capito. Sono le quattro e cinque minuti, lui come al solito deve trovarsi al lavoro alle otto, e la casa è ancora fredda. Quindi non ci sarebbe nessun motivo plausibile. Non ha dormito bene, si è rigirato e rigirato, poi, quando ha preso sonno, lo ha fatto in modo incompleto e frammentario, e se se li ricordasse avrebbe sicuramente fatto brutti sogni. Quando si è sollevato dal letto sudato e ansimante ha visto lo schermo del computer ancora acceso, e accanto, sulla scrivania, quelle maledette dieci carte che gli ha regalato Marco. E bum.