Il Mio Elfo

Recensione (2)


Piccola concessione al Masolino d'Amico, anche se il pezzo ha un titolo sconcertante: "Gomorra" ha pur vinto dei meritatissimi premi, ma non ha vinto "IL PREMIO". Quindi, l'illustre critico, è ancora una volta volutamente polemico. L'articolo è però piacevole e lo pubblico. ------------------------------------------------------------------------------- Gomorra vince gli "Olimpici" Eti del Teatro Mario Gelardi e Roberto Saviano autori della migliore novita' teatrale italiana VICENZA. Ufficiosamente sembra che il Coni abbia diffidato i premi Olimpici di teatro dal chiamarsi così, rivendicando l'esclusiva del marchio; l'Eti, Ente Teatrale Italiano, avrebbe risposto sottovoce che la sala del Palladio a Vicenza, donde il nome del premio, fu battezzata teatro Olimpico nel 1585, ben 310 anni prima che partissero i giochi del barone de Coubertin. Vedremo come finirà la querelle. Nel frattempo, i premi conservano il loro appellativo e per il sesto anno vengono distribuiti in quel luogo incomparabile. Dunque, hanno preso piede, cosa forse sorprendente in un Paese dove regna l'effimero. Inoltre questi premi non dànno ai vincitori gran che di tangibile - niente denaro, poca pubblicità presso il pubblico più vasto: da portare a casa c'è soltanto un soprammobile in plexiglas raffigurante una colonna del celebre edificio. Perché dunque i candidati ci tengono a concorrere, e siedono volentieri sul palco (le defezioni sono meno del 5%)? È che la formula è indovinata. Il solo altro premio importante peragonabile, l'Ubu, non è concorrenziale, perché attribuito da una giuria di soli critici, la maggioranza dei quali può definirsi di tendenza - di sana tendenza, mi affretto ad aggiungere: la loro attenzione è sempre puntata verso il palcoscenico innovativo, sperimentale, alternativo e possibilmente giovane. Gli Olimpici invece tirano le somme della stagione ufficiale, dove prevalgono gli spettacoli destinati a un pubblico prevalentemente di abbonati. Però non ne esprimono le preferenze: ecco la formula che si diceva. Così come agli Oscar gli elettori sono i membri dell'Academy, qui votano i colleghi, ossia esponenti della professione, in tutto più di 400. Una differenza dagli Oscar, per la verità, c'è. Per vedere tutti i film basta possedere un lettore dvd mentre, dato il perverso ma inamovibile sistema italiano degli Stabili, più le compagnie itineranti, più gli eventi (festival e simili), solo un viaggiatore indefesso potrebbe avere un quadro abbastanza completo della situazione. Ecco quindi che una commissione di esperti sceglie preventivamente delle terne di candidati e le propone alla grande assemblea. Certo - neanche la democrazia del resto è perfetta - le scelte degli esperti possono essere opinabili. In compenso però l'elettorato allargato dà sempre un responso interessante. Capita che da una terna che sembrava dominata da un nome di gran peso ne sbuchi invece un altro meno noto ma più stimato dai suoi colleghi. Questo può sorprendere il pubblico, ma non è privo di significato. E infatti almeno un verdetto sorprendente c'è stato: per il monologo non ha vinto Mariangela Melato, ma Edipo a Colono di Roberto Herlitzka, un classico esempio di «attore per attori». Meritato anche il doppio premio (miglior spettacolo e miglior regia) per Angels in America di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani, produzione su un testo «forte» che parla di omosessualità. E per la novità trionfa, come è successo in libreria e al cinema, Gomorra, che lo stesso Roberto Saviano ha tratto dal suo libro insieme a Mario Gelardi. Succede anche all'Oscar: anche quando non vince il film o l'interprete veramente «migliore», l'approvazione di un folto gruppo di gente del mestiere costituisce un riconoscimento solido, un attestato di rispetto: l'invito, quando si tratta di un personaggio quasi nuovo, a entrare nel club. Per questo la serata dei conferimenti, con la suspense che si porta dietro, risulta spesso tanto più vivace delle melense feste paesane che tanto riempiono i nostri calendari: e condotta da un complice degli interessati, vale a dire da Tullio Solenghi, attore che per l'occasione funge da maestro delle cerimonie, comunica di solito un che di festa quasi privata. di Masolino D'Amico Tratto da " La Stampa", 11 settembre 2008