Il Mio Elfo

Intervista a Giorgio Albertazzi


'Io, Achab filosofo e poeta navigo in un oceano di libri' Repubblica — 24 gennaio 2009 pagina 13 sezione: MILANO Da martedì, al Piccolo, gran finale: «Ci vengo con entusiasmo, dopo un anno e mezzo di tournée, ed è giusto che l' avventura di Moby Dick finisca li. Volevo chiuderla prima, ma quando mi hanno detto che c' erano le date milanesi l' ho prolungata apposta. E faremo il record di presenze, come 4 anni fa era successo con le Memorie di Adriano». è un Achab indomito e in piena navigazione, quello di Giorgio Albertazzi che a 84 anni, nella teatralizzazione di Melville firmata da Antonio Latella, rappresenta le ossessioni e la morte del Grande Baleniere sconfitto dal suo incubo bianco, lasciando il testimone della vita recitando l' Essere o non essere di Amleto. «Albertazzi è meno acciaccato di Achab, anzi a Milano penso di farlo meno zoppo del solito, nonostante la gamba strappata dalla balena». Com' è cambiato, lo spettacolo, nella lunga tournée che dalla prima del 2007 a Spoleto ha girato l' Italia passando per Parigi? «Il cambiamento più evidente è che Ismaele non è più Marco Foschi, il giovane attore che indico quando mi chiedono chi consideri un possibile erede. Dopo un incidente di Marco l' anno scorso in tournée, Ismaele è Rosario Tedesco, che prima faceva Flask, uno dei balenieri. Con la sua parte precedente tagliata, circa 25 minuti, lo spettacolo è più asciutto e vivace. Nonostante l' assenza del carisma di Marco, che comunque nel frattempo sta facendo cinema». Però è il suo Achab, a detta di tutti, il centro dello spettacolo. «L' idea è venuta a Latella, lui ha questo gruppo di ragazzi che fanno un teatro molto fisico, prima della rappresentazione saltano, ballano, fanno ginnastica. Poi arrivo io, vecchio e con due bastoni. All' inizio ero perplesso, non c' era neanche una donna, se si esclude la balena che tutt' al più, in metafora, può essere una femme fatale. Io poi odio navigare e nel caso tifo per la balena. Invece si è rivelato molto stimolante, questo capitano blindato nella sua cabina, che in mezzo ai libri diventa filosofo, recita Amleto, l' Ulisse di Dante e pensa alla morte». Si dice che lei scriva poesie sulla morte da quando aveva 15 anni... «è vero, ma è cambiato il tono. Da un' idea della morte bella, un po' come Lorca giovane pensava alla propria (che invece poi è stata terribile per mano dei franchisti) a quella di un tuffo in un vuoto inconcepibile. Ma la mia vita è talmente tumultuosa che come Achab non concepisco di restare a Nantucket aspettando la morte. Con Fo faremo una seconda serie sulla storia del teatro in tv. Poi due film di cui non dirò nulla. E dopo Moby Dick in due mesi monteremo un Edipo a Colono per Siracusa. Sto anche scrivendo un libro per Mondadori. Volevano il secondo volume di autobiografia, invece sarà una biografia: Vita di G. dopo i 50 anni. In terza persona. Come fa a tenere questo ritmo? «Potrei dire che mi diverto ma non è esatto, è più giusto dire che non saprei che altro fare. Sono nato guerriero, anche se non guerrafondaio. Le sue liti però sono state epiche. Non sarà che ora le mancano avversari? «L' ho scritto in una poesia, "Brando è morto, Marcello anche, Vittorio pure...". Mi mancano sì, molto, anche se è ingiusto dire che non ci sono più interlocutori. Ma era un bel gioco a tre, con Gassmann e Carmelo Bene: la chiamavano la lotta per la corona» E Strehler non lo nomina, ora che porta Moby Dick al Teatro Strehler? «C' era un rapporto particolare tra noi, di sicuro era geloso di me per via di una persona che entrambi abbiamo frequentato. Poi mi hanno detto che pensava che non lo capissi. Stranamente lo stesso, secondo la sorella, pensava Carmelo Bene...» Con Strehler c' era anche avversità politica: le diede del fascista in tv. «Politica per lui, non per me. Gli scrissi per proporgli di dirigerci a vicenda in teatro. Non mi rispose mai. Ma chissà che una sera il suo fantasma compaia sul palco. Ho il sogno di fare un Amleto coi fantasmi delle persone della mia vita». Al Piccolo Teatro Strehler che pubblico si aspetta? «Speciale, come sempre. Io teatralmente sono milanese, la mia compagnia con Proclemer è nata qui, al Nuovo e all' Odeon, anche se stavamo a Roma. Il Piccolo ha innestato l' impegno nella cultura teatrale milanese, anche se non è che prima fosse solo brillante. Non vanno confusi impegno e seriosità: fare teatro è sempre come danzare invece di camminare. Anche quando Achab ha una gamba di legno e pensa alla morte» . - MAURIZIO BONO