Il Mio ElfoIl Mio Elfo è il mio mondo. Un mondo fatto di teatro, arte, musica e vita. Il mio mondo di attori, spettacoli, amici, bambini, viaggi e piccole avventure. IL mio Elfo è la mia grande passione, è IL TEATRO DELL'ELFO di Milano, il teatro del mio cuore. All'Elfo ho pianto, ho riso, mi son scordata preoccupazioni ed HO VISSUTO GRANDI EMOZIONI. All'ELFO ho conosciuto i miei più grandi amici, ho scoperto un mondo nuovo. All'Elfo dedico questo blog. Il mio primo ed unico blog. Cesonia. |
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IL TEATRO DELL'ELFO
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LATELLA PORTA AMLETO IN UN MUSEO
TORINO. «È come entrare in un museo che, in sei sale tematiche, espone undici quadri. Gli spettatori possono scegliere di visitare una o più sale in uno o più giorni (fermandosi, quindi, davanti a determinati quadri in particolare) o di visitare tutte e sei le sale in un solo giorno (avendo, perciò, una visione d'insieme della mostra)».
Così Antonio Latella definisce la struttura del suo monumentale allestimento «Non essere - Hamlet's portraits», presentato al teatro Astra dallo Stabile dell'Umbria e dal Festival delle Colline Torinesi. Le sei sale s'intitolano «Ombre», «Potere», «Fratelli/Follia», «Spie», «Teatro» e «Testamento», e i «quadri» che vi sono esposti (ovvero undici spettacoli in sé compiuti) s'intitolano a loro volta «I becchini», «Le guardie», «Re Claudio», «Regina Gertrude», «Ofelia», «Laerte», «Polonio», «Rosencrantz e Guildenstern», «I comici», «Il duello» e «Amleto». E sabato, per chi ha avuto il coraggio e la forza (all'Astra non c'è l'aria condizionata...) di affrontare una simile maratona, gli undici spettacoli sono stati dati l'uno di seguito all'altro, dalle 10,30 di mattina alle 2 di notte.
Chiedo a Latella se c'è un filo conduttore che leghi fra loro gli spettacoli in questione. Risponde che ce ne sono tre: «Orazio, sempre presente in quanto testimone; la pantomima, sempre ricorrente in quanto emblema del teatro; e, naturalmente, l'"Essere o non essere", che compare in tutti gli undici "quadri" come proverbiale sigla del capolavoro shakespeariano».
C'è da aggiungere che, come del resto dichiara il titolo dell'allestimento, Latella si schiera - rispetto al fatidico dilemma - dalla parte della seconda ipotesi. E questo significa, in ultima analisi, che siamo di fronte non a una messinscena dell'«Amleto», ma a quella delle nostre disillusioni e, però, anche delle poche e tuttavia invincibili speranze che alla morte dell'ideologia sono sopravvissute. Vedi lo spettacolo iniziale, bellissimo, in cui i becchini, a metà fra i clown e gl'imbonitori da fiera, vendono i teschi non solo dei più celebri interpreti del Principe Danese (primi fra tutti, s'intende, Olivier, Gassman e Bene), ma d'illustri personaggi che vanno da Dante a Rimbaud, da Leopardi a Majakovskij. Mentre al discorso di Nietzsche sulla menzogna del progresso corrisponde il levarsi di «El pueblo unido jamás será vencido», con tutti i teschi avvolti in un'enorme bandiera rossa.
In altri termini, non c'imbattiamo in una delle solite regie, per quanto intelligenti, ma in una chiamata di correo nei nostri riguardi e, di conseguenza, nella possibilità (e nel dovere) di compiere a nostra volta una scelta, e rispetto, come dicevo, alla fruizione dell'allestimento in sé e, specialmente, rispetto agl'interrogativi di portata generale che esso pone sul piano politico, culturale e sociale.
Ebbene, il detonatore che può far esplodere una scelta del genere è costituito da una serie pressoché ininterrotta di sequenze nello stesso tempo eccellenti sul versante formale e addirittura abbaglianti su quello simbolico. E almeno in alcune di esse c'è, tanto per capirci, una potenza visionaria alla Nekrosius, ma raddolcita da un calore e da una tenerezza tutti mediterranei. Penso, poniamo, a Ofelia che annega le sue innumerevoli Barbie in altrettanti barattoli pieni d'acqua, pronunciando ogni volta il nome di una donna famosa (attrice, poetessa, cantante) che si è uccisa. O all'indicibilità odierna dell'«Essere o non essere» affidata a un Laerte che si spoglia con urla strozzate delle magliette indossate l'una sull'altra, e ciascuna «decorata» con un frammento del capitale monologo. O, segnatamente, alle metamorfosi in progressione della Gertrude di Nicole Kehrberger: comincia come una delle svagate damine di Fragonard, continua suonando Schubert col flauto traverso e conclude come un cigno nero che muore sulla musica tratta da «Mater» di Vladimir Godard. Grande, magnifica Nicole.
Fra gli altri interpreti principali, non meno bravi, Marco Foschi (Amleto), Annibale Pavone (Orazio), Anne-Sophie Durand (Ofelia), Enrico Roccaforte (Laerte) e Rosario Tedesco (Re Claudio). Angelo Montella, del Nuovo, sta trattando per portare lo spettacolo anche a Napoli: «Costa davvero molto, ma faremo tutto il possibile».
Enrico Fiore - 30.6.08 - il mattino.it
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