Creato da: enrico.passani il 26/05/2010
Racconti tra le Apuane e il Mare Tosco-Ligure
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Post n°154 pubblicato il 26 Ottobre 2013 da enrico.passani
D’improvviso un vento di brace che dal mare investiva la pianura, sfogando sulla collina la sua ira, penetrò dalla finestra aperta, trasportando odore di salmastro e di bosco, investì le nostre facce , scosse il nostro silenzio. - Non chiuda la finestra -, frenò il mio gesto d’accostare le persiane. . - questa atmosfera da “Cime Tempestose” mi piace -. .La casa godeva ancora di un fascio di sole, dimenticato dal temporale in arrivo, sotto di noi, nuvole opache, imprigionavano la luce di luglio. Forse sul mare, le naiadi cavalcavano onde furiose e le ninfe del paese, inseguite invano da Pan, s’erano già rifugiate nel laghetto del bosco. Un fulmine saettò nel cielo, seguito da un tuono secco, come lo scoppio di una granata. Lei tremò di paura, riducendo lo spazio tra noi. Non osai ancora abbracciarla, ma era il momento di chiederle se era pronta a compiere un atto volontario di reciproco amore.. Il rombo del temporale aveva dissolto le remore caratteriali del mio passato, non esitai più a dirle: - Facciamo all’amore? . Sorrise: - Te lo dirò dopo che mi’avrai baciato -. Non disse altro, parlò per lei la sua natura appassionata. Non trascurammo i nostri corpi, .mentre ci liberavamo dei vestiti, Le mani, labbra, le bocche, s’ immersero in ogni cavità segreta, assaporarono ogni sporgenza. Ci trascinava la spinta di un’intimità straordinaria, la voglia d’aggrapparsi ad un’occasione erotica che non avremmo goduto più, la certezza dell’inizio e della fine di un breve incontro irripetibile. Forse, almeno io m’illudevo, che. l’amore che mi offriva, che io le davo, aveva la forza di un sentimento che non sarebbe svanito nei ricordi della vita. Mentre la penetravo, sentii sulla schiena goccioloni freddi di pioggia, portati dal vento che sferzava le persiane ancora aperte. Avrei sopportato ben altro, mentre mi perdevo nella felicità di sentirmela intera tra le braccia, sopra e sotto di me. Non ci pervadeva l’inconscia inquietudine degli amanti, la loro fretta di scordare l’angoscia esterna del mondo. Per me era come sesso coniugale, cadenzato con il ritmo del cuore, simile ad un rito pagano di fertilità, che mi ricompensava di lunghe attese, nella solitudine crepuscolare della mia vita. Nessun rimpianto d’innocenza perduta, niente senso penitenziale del peccato, rimasto come un eco dell’adolescenza, solo quella gioia del corpo, la libertà sensuale, di una reciproca passione.. Quando avvertii i palpiti dell’orgasmo. per una frazione infinitesimale di secondo cercai di ritrarmi, un meccanismo abituale, che scattava nelle mie saltuarie relazioni sessuali, un po’ per l’egoismo di non cercarmi guai, un po’per il rispetto di non guastare l’integrità fisica della partner, qualche volta già dotata di prole. Lei invece mi strinse a se con forza, inarcò i fianchi, come per non perdere una sola goccia de mio seme. Il vento che stava cessando, spingeva pigramente le nuvole verso altri paesaggi. Dal letto d’amanti in riposo, le vedemmo scorrere nel riquadro della finestra. Lei sembrava assorta a seguirne il viaggio silenzioso. Sentivo il dovere di parlarle, invece, fu lei a sorprendermi con una domanda: - Perché hai chiuso il tuo simpatico negozio e abbandonando la tua città per isolarti qui?-. - Te lo spiegherebbe meglio di me il mio psicanalista di fiducia, se mai avessi trovato il coraggio d’andare in analisi da uno strizzacervelli, comunque ci proverò. Un inverno dopo l’altro, mi sentivo sempre più circondato da ombre impenetrabili. Gli abitanti del centro storico mi passano davanti come fantasmi, sempre più vecchi, e poi qualcuno spariva, non lo vedevo più salutarmi, dall’esterno della mia vetrina. Le sere, all’ora di chiusura, anch’io mi affrettavo come un ricercato verso casa per immergermi nella luce di un lampadario, sperando di liberarmi da una sensazione di freddo interiore, presagio di “thanatos”, pulsione di morte, come direbbe in buon vecchio Freud, da una ragnatela di fastidiosi ricordi di passate relazioni sentimentali, finite male. Per guarirne era indispensabile cambiare aria, una decisione che presi percorrendo l’Aurelia in macchina, quando vidi questo paese sulla collina, uscire dalla foschia dopo una breve pioggia, mi tornò alla mente “Brigadoon”, un vecchio film di Vincente Minelli, visto da ragazzo. L’hai mai rivisto in televisione? -. - No, mai -. - La storia fantastica di un villaggio che appare un giorno ogni cento anni, tra la nebbia in una vallata remota della Scozia. Due americani, gli attori Gene Kelly e Van Johnson, in gita nel luogo, fanno in tempo ad innamorarsi di due fanciulle del posto, ma il paese scompare e non riapparirà che dopo un altro secolo. Rientrati a New York con il cuore a pezzi, ,l’infelicità li spingerà a tornare nella sperduta valle scozzese, dove l’intensità del loro amore avrà la forza di vincere il sortilegio del tempo, Il paese riapparirà nella nebbia e Gene Kelly e Cid Charisse balleranno meravigliosamente per un altro secolo -. - Così arrivasti quassù per incontrare una Cid Charisse, prima che il paese sparisse come “Brigadoon”? -. - Forse fu proprio così. Cambiai immediatamente itinerario per conoscere ed esplorare il paese. Mentre la macchina arrancava sulla strada, mi arrivavano i profumi di terra bagnata, d’erbe aromatiche, di piante e d’aria sfumata di mare. A poco a poco percepivo un benessere che non avevo mai provato, iniziavo a scordare le mie paure, a sentirmi ottimista. Per me fu come immergermi nell’atmosfera magica, di un posto dimenticato dal mondo che lacerava la vita delle città in pianura, d’ascoltare ancora nel vento il canto antico della natura. Ma tu a quale fascinazione hai ubbidito per cercarmi in questo villaggio, perché a un angelo di legno colorato, devo il miracolo del tuo amore? -. Si sollevò un poco, puntellandosi sul gomito per guardarmi meglio, per comprendere se una sua confidenza l’avrei accudita in segreto Del resto, chi meglio di me poteva ascoltarla senza giudicarla criticamente, lei lo sapeva, aveva ascoltato il mio bizzarro racconto condito con le nevrosi adorate dagli psicanalisi del globo. Aspirò un attimo prima di parlare. - Desidero con tutto il cuore che la mia Madonna non resti sola, ha perso come me un figlio, mi ha visto piangere di disperazione, conosce la tristezza di una donna che al bagno fresca come una rosa spruzzata di rugiada, dimentica del resto del mondo per guardare come un’innamorata l’angelo sopra il cassettone, che, la sera prima avevo spolverato con minuzia, e accarezzato con la manica di cachemire di un vecchio pullover, per ravvivarne la patina colorata.. - Cent non può più procreare, d’ora in avanti l’angelo le terrà compagnia - . - E’ come lo ricordavo, bellissimo. Quanto è alto? -. Il suo seno nudo era come una calamità, così perfetto che avrei voluto baciarlo di nuovo, ma nei suoi occhi spuntarono lacrime di un dolore mai rimosso. Non era il tempo per una replica erotica. Allungai una mano per accarezzarle i capelli: - Sono sicuro che andrà tutto bene -. Non sapevo dirle altro. Si asciugò gli occhi con il dorso della mano: - Devo andarmene, ho una cena a Forte dei Marmi. Domani ti farò un bonifico bancario. Tra un paio di giorni un mio dipendente verrà a ritirare l’angelo, puoi fargli un soffice imballaggio? -. - Si, sta tranquilla arriverà senza danni -. L’accompagnai fino all’auto. Mi ringraziò prima di salire: - E’ stato un bel pomeriggio -. Le bacia la mano, osservai la sua partenza fino a che non sparì dietro la prima curva, Se me l’avesse chiesto, avrei abbandonato la magica solitudine del paese e molto altro, per seguirla ovunque nel mondo. Ma sapevo che il suo ambiente di vita era un altro, mi rimaneva la consolazione d’immaginarla nella villa rinascimentale, sulle colline della val D’Orcia, sorridente tra ministri e ambasciatori. nel salone con l’angelo e la madonna. Il mare luccicava lontano, Sotto il sole, dalla pianura non veniva una voce, un suono collettivo, muto il nastro dell’autostrada e un treno che transitava..Quel silenzio per la prima volta mi sgomentò. Arrivò alle mie spalle Nicola: - E’ andata via la bella signora? -, chiese , senza mostrare alcuna fastidiosa curiosità. - Si, é ripartita, è venuta per riprendersi un pezzo antico che avevo conservato per lei-. Non era per niente indiscreto, mollò il discorso “bella signora” per informarmi: -:Sai che stasera c’è la festa in piazza, il paese compie proprio oggi ottocento anni. Verranno in parecchi a ballare dai borghi vicini -. - Proprio come a Brigadoon -, pensai. Nicola continuò: - Vado a comprare il pesce, al porto per la cena., mi accompagni? Ci berremmo un paio di aperitivi prima del tramonto -. Colse un’esitazione:, avrei preferito restare solo, continuando a respirare il suo profumo, che sentivo addosso,inoltrarmi nel bosco bagnato, fino al laghetto, per provare con l’invisibile Pan, l’illusione di spiare le ,ninfe, pensando ancora a lei appassionatamente.. - Allora vieni? -., Sollecitò ancora Nicola, l’amico di conversazioni invernali, da anti ad una bottiglia del suo vino riserva. .- Si, andiamo -. .
Post n°155 pubblicato il 29 Ottobre 2013 da enrico.passani
Fa una pausa, ride: - Ma tu Sabine, oggi non vuoi proprio lavorare? -.
Dopo il debutto dello spettacolo a cui avevo lavorato, pensai di smaltire rabbia e rimpianto tornando al mio paese, proprio lassù, vedi Sabine, dove c'è la neve.
Post n°156 pubblicato il 08 Novembre 2013 da enrico.passani
E VENERI CALLIPIGIE
Ora che sono vecchio, la piccola città non mi opprime più con i suoi giorni tutti uguali, i cani randagi, il centro storico corroso da secoli di piogge tristi, orbo di botteghe e calore umano, la sua gente indifferente alla realtà del mondo, che cova negli occhi un rancoroso egoismo. Nella piccola città se hai un aspetto giovanile e agiato, ragazze con il trucco puttanesco ti guardano sottecchi, si inumidiscono le labbra, si lisciano il profilo del seno, mimando con il linguaggio del corpo un invito che puoi scambiare per una passione sbocciata per te, improvvisa e sincera, che ti fa pensare a preliminari erotici che potrai dilatare con una di esse tra i boschi collinari, come in un mediterraneo tempo arcaico d'iniziazione carnale, complice l'opulenza di fianchi, protesi all'insù dalla spinta dei tacchi alti. Veneri callipigie che si impigriscono nel matrimonio, che lasciano tramontare nel crepuscolo dell'ordinario quotidiano, la breve stagione dell'innamoramento. L'eros nella piccola città è un'incombenza da risolvere in fretta, senza troppe complicazioni sentimentali. Non lascia mai dietro di se, storie di forti amori da invidiare. E' routine per i giovani che lo praticano nelle auto parcheggiate in fila indiana, nel tratto morto della litoranea, non lontano dalle discoteche, o sotto i tunnel della vecchia marmifera, risalendo la città fino al cuore delle cave, la sera dei giorni festivi, prima di rincasare. Gli esportatori del marmo lo consumano in certe sere, in compagnia del cliente forestiero o straniero. Dopo la cena in un ristorante della costa, guidano verso un villino nascosto nella pineta. Oltre un cancello, alla fine di un viale ghiaioso, c'è tutto il tempo per un altro whisky o caffè, prima di toccare la docile ragazza dell'Est. Ma nei sabati di un tardo autunno o d'inverno, mentre la città viene risucchiata dalla notte, alla periferia si accende l'insegna luminosa del Coniglietto, night con entraîneuse. La sua orchestrina inizia a mandare richiami sincopati a tutti gli scapoli della città. Loro arrivano appena dopo la sigla di chiusura del telegiornale per occupare i separé chiusi, dove è possibile dopo un paio di consumazioni, brancicare con le mani sotto il vestito della balcanica o della sudamericana, o per un paio di "centoni" farsi una "sveltina" sulle seggiole imbottite di plastica rossa, faccia a faccia, con la donna seduta sulle ginocchia. " Delicata, adatta alle malate di petto", spiega di quella posizione la didascalia di un'antica incisione erotica francese, nel repertorio di stampe di un collezionista che conoscevo. Ma non lo sanno e non gli importa. Non tutta la piccola città è in questo film, una minoranza di concittadini spera ancora d'incontrare un giorno quel che resta dei sogni giovanili, ma è gente dispersa che lotta invano per non essere inghiottita nel conformismo. Per buona parte questo è il nostro modo d'amare. Non merita d'essere raccontato con la presunzione che a qualcuno interessi ascoltarlo o leggerlo, non merita un'elegia
Post n°157 pubblicato il 10 Novembre 2013 da enrico.passani
6.26PubblicaAmiciAmici tranne conoscentiSolo ioPersonalizzataAmici più strettiFamiliariVedi tutte le liste...Area di CarraraConoscentiTorna indietro NON SENTO PIU' QUELLA MUSICA
Non sento più quella musica mentre scendo al mare. Di certo so che non è il motivo preciso di una canzone o il classico fraseggio di un pianoforte, né la musica naturale del vento che si perde tra i pini del sentiero, miscelata al rumore furioso del mare tra gli scogli, in questo pomeriggio chiaro d'autunno. Quella sensazione di una musica segreta, che ora non afferro più, mi veniva incontro negli anni della gioventù. Eppure lo scenario è lo stesso, il paese è sempre lì, immutabile, sopra la collina: I miei dormono nella cappella del cimitero, vegliati da un angelo di marmo che prega eternamente per loro, ma la mia musica è svanita. Eccomi alla piccola spiaggia deserta, in compagnia dei gabbiani. Cammino tenendomi lontano dagli spruzzi delle onde, cercando di non schiacciare le conchiglie vuote lasciate sulla sabbia bagnata, dalla tempesta di due notti fa, provando a raccogliere i pensieri sparsi nella mia vita. Ho chiuso la porta di casa dietro di me, per lasciarmi alle spalle la solitudine: I mobili e gli oggetti della mia camera, i quadri del salotto, i libri della biblioteca, non mi facevano più compagnia. Marietta, la mia tata e direttrice di casa, ha oggi il suo pomeriggio libero da spendere ai grandi magazzini della città, in compagnia della sorella. Domani ci aspetta un funerale importante: quello di Eleonora, la mia sorellastra. Ci sarà tutto il borgo e i nuovi compaesani, quelli che hanno acquistato e riattato le case di pietra lungo i fianchi del monte. Nessuno vorrà mancare, perché io e lei eravamo la storia piccante dell'intero paese, che la gente si raccontava senza alzare la voce, mentre coltivava l'orto e potava la vigna, o cercava tra gli scogli, i muscoli da marinare. Si, un paese fissato nel suo tempo, tra un'alba e un tramonto, che passano e ritornano con poche novità, contento di possedere questa storia morbosa, di vederla vivere ogni giorno e di sentirla sua, familiare come il suono del campanile che batte le ore dell'esistenza di tutti. Eleonora ed io, rassomiglianti come gemelle, ma non con lo stesso cognome. Lei aveva quello di un padre che non l'ha concepita, ma lo stesso sangue del mio genitore, notaio del paese e dintorni. Lei mandava avanti il forno di sua madre, vicino alla chiesa, abitando al piano, dove il paesaggio si distende prima d'incontrare altre colline e montagne, lontane dal mare. Io vivo nel palazzo antico di famiglia, alto come la chiesa, con la meridiana dipinta sulla facciata, che il sole e i vento hanno stinto. Ho l'aspetto fragile della mamma e la sua salute delicata. Eleonora è più giovane di tre anni, è abbronzata, formosa, sprizza energia da tutto il corpo. Io, come mamma, sono stata la fedele collaboratrice di mio padre. Lei, dopo anni di lontananza, di studi incompiuti, ha sostituito la madre anziana nella conduzione del forno. Fu proprio la madre ad allontanarla da noi. Già incinta quando il marito tornò gravemente ammalato, dopo un lungo imbarco su una petroliera, morì un mese dopo, fu presa dal rimorso per i suoi peccati, un rimorso che sfociò in una religiosità quasi maniacale. Rifiutò di regolarizzare col matrimonio la relazione che aveva avuto con i notaio, rimasto vedovo dopo la mia nascita, cambiò residenza e tenne lontana dal paese la figlia. Il tempo passava consumando le stagioni della nostra vita. Crescevo con le cure di Marietta e nell'affetto di mio padre. Spiavo sul suo volto ogni velo di malinconia, gelosa dei suoi pensieri, gelosa dell'altra, da quando avevo appreso di non essere figlia unica. Il tempo passava rinnovando i nostri desideri, trascinandosi appresso inaspettate delusioni, piccoli e grandi colpi al cuore. In un mese di maggio, avevo superato da poco i vent'anni, Eleonora riapparve nel paese, incredibilmente elegante ( il notaio vedeva e provvedeva), in compagnia di un giovane biondo, ufficiale di macchina della marina mercantile. Un'ereditata tradizione materna. Stavo uscendo da casa, mi lanciò da lontano uno sguardo trionfante: "guarda come siamo belli e felici, com'è bello il mio ragazzo! Invece tu, così palliduccia e zitella! ". Interpretai in questo senso quella sua occhiata un po' maligna , che esprimeva anche tutta la sua gioia di vivere. Ormai ci divideva il muro invalicabile dell'incomunicabilità di una lunga lontananza, di un amore fraterno non coltivato. Si sposò sei mesi dopo la morte di papà. Mentre il marito navigava, lei accudiva al forno. Ogni mattina arrivava presto con il suo furgoncino per distribuire il pane ai negozi alimentari: Marietta comprava da lei, tenendo contatti cordiali, apprendendo notizie che poi mi riferiva. Io vivevo anni sospesi nella melanconia dei ricordi, senza immaginare altre strade esistenziali da percorrere. Avevo lasciato gli incarichi d'ufficio che prima svolgevo per il babbo, mi limitavo soltanto ad amministrare i beni di famiglia, facevo lunghe passeggiate, leggevo libri e ascoltavo buona musica. Spesso mi recavo al cimitero, nella cappella trovavo sempre dei fiori freschi, che sapevo portati da Eleonora. Una vita in penombra la mia, che sarebbe durata chissà quanto se non fosse arrivato Matteo, antiquario di Lucca. Cercava una casa per l'estate, in un paese di mare, forse per coltivare con discrezione alcune sue relazioni femminili. Lo indirizzarono da me, che possedevo case e terreni. M'innamorai di lui quasi subito. Mentre l'accompagnavo a visitare i posti buoni per costruire, o qualche casa colonica con vista sulla scogliera, l'osservavo ammirata, sperando che non si accorgesse, che gustavo con gli occhi il suo profilo e l'onda scura dei capelli che gli incorniciavano il volto. Non riuscii a vendergli nessuna casa, ma lo sposai velocemente. L'amore riempiva tutte le mie ore vuote, spazzava via la mia solitudine, rendendomi più tollerante verso Eleonora. Immaginavo noi due più unite nel dialogo di una nuova famiglia, dove si scioglievano, finalmente, i nodi di un passato doloroso. Incontrandola, provai timidamente ad accostarla con un sorriso, ma lei, scura in volto, mi voltò le spalle. Mi scordai presto di quel gesto, immersa nell'appassionata freschezza del matrimonio. Finché una sera, dopo un rapporto coniugale intenso, sbiancai in volto, perdendo quasi le forze, il mio cuore accelerò di brutto. Il dottore di famiglia, dopo la visita, parlò a Matteo. Certamente gli riferì su i difetti di salute che avevo ereditato dalla mamma, sicuramente lo consigliò. Quando uscì, avevo ripreso colore, Matteo sembrò più tranquillo, trovò anche l'animo per fare qualche battuta spiritosa. Da quella notte, i nostri rapporti amorosi divennero più cauti, non diminuì la frequenza, ma lui si mosse con meno affanno, assecondando il reciproco desiderio con un ritmo più tranquillo, con carezze più diluite in un dolce, spazio erotico, che conduceva al piacere senza strappi al cuore. Non so chi disse, che ci accorgiamo della felicità quando essa è passata. Eravamo felici, o solo io lo ero, come quella notte a Lerici, mentre finiva l'estate. Nel golfo, si riflettevano le luci del castello e della passeggiata, un'orchestrina suonava lontano. Il ristorante era accogliente, i camerieri premurosi, il vino e la cena squisiti. Gli occhi di Matteo erano solo per me, che mi sentivo attraente in abito da sera, e le tragedie del mondo, in quell'istante, mi sembravano antiche leggende di un'era scomparsa. Inaspettatamente, pronunciò il nome della mia sorellastra: - l'ho vista oggi, m'è parsa depressa, povera Eleonora! Non possiamo fare qualcosa per lei? -. Rimasi senza parole. Da quando se ne occupava? Gli avevo accennato di lei fuggevolmente, non aveva mostrato molto interesse: Ora, invece, la chiamava per nome, trepidava per la sua depressione. Avrei voluto dirgli:" perché non si rivolge al suo biondo marinaio? ". Risposi con voce neutra:- ci penserò -. Il golfo rifletteva fredde conchiglie di luce prive di vita. Avevo perso la pace, la gelosia mi rodeva l'anima. Sospettavo di mio marito, avevo il terrore che s'invaghisse di Eleonora, spiavo ogni suo gesto, valutavo ogni sua parola d'affetto, ogni sua carezza d'amore. Interrogavo quasi giornalmente Marietta, che manteneva i contatti col forno. Lei mi confermava la crisi di mia sorella. L'allarme mi squillò nel cervello, una certo giorno, quando Marietta, interrompendomi nella lettura, disse: - stamani Eleonora era di buon umore, direi quasi raggiante -, - sarà tornato suo marito -, replicai senza alzare il viso dal libro.- Non credo, è parecchio tempo che non parla più di lui. Prima era tutto un raccontare dei regali che le faceva, dei porti dove l'aspettava. Da un po', silenzio, come se fosse diventata vedova -. La mia gelosia riprese vigore, quasi mi mancò il fiato. Ricordai che qualche giorno prima, telefonando, non avevo trovato mio marito in negozio, non aveva risposto nemmeno al cellulare: - scusa, l'avevo spento, ero a casa di un cliente, non volevo disturbare -. S'era giustificato. In quella settimana non avevamo fatto ancora all'amore. Stavo diventando pazza! Decisi di pedinarlo.
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Dal mare salivano nuvole di pietra, un gabbiano sopra noi ci avvisò della tempesta, l'aria era calda e immobile. Seguivo mio marito a distanza, nascondendomi dietro gli angoli delle case. Non camminava verso il parcheggio, aveva preso la stradina per il cimitero. Eleonora arrivò con il suo furgoncino, parcheggiò sul ciglio della via, scese con un mazzo di crisantemi. Matteo gli andò incontro, insieme varcarono il cancello ed entrarono nella cappella della mia famiglia. Incominciò una pioggia violenta. L'impermeabile non mi proteggeva la testa scoperta, l'acqua mi accecava e dal collo scendeva lungo la schiena, entrava nelle scarpe basse. Provai a stringermi al mento il bavero rialzato, cercando un riparo, ma scivolai sull'erba fradicia finendo con la faccia tra le tombe. Mi sollevai a metà, piangendo di rabbia e di vergogna, per rannicchiarmi contro una lapide, sentendomi una morta vivente, una zombie, incurante della pioggia, dei lampi che saettavano e dei tuoni che scassavano l'aria. Non so per quanti minuti rimasi così, li sentii uscire senza vederli. Allora entrai nella cappella per cercare le tracce della loro intimità. L'angelo di marmo, illuminato dalla lampada votiva, pregava ancora, dunque non s'era mosso, stritolandoli in un abbraccio mortale, per aver profanato il lungo sonno dei miei avi. Mi chinai per osservare meglio il pavimento, non rilevai alcun segno d'amore, tranne il fango e il bagnato che mi lasciavo dietro. Ritrovai Matteo in casa, mi venne incontro preoccupato. - Dio...come sei ridotta! Che cosa hai fatto, dove sei stata? -. Mormorai di una visita ad un'anziana che non conosceva, fuori del paese, mentre mi rinchiudevo nel bagno per fare una doccia calda e riflettere,. Il bagno mi calmò, recuperai un po' di saggezza. Non potevo investirlo con i miei sospetti, manifestando tutta la mia devastante paura di perderlo, di dividerlo con un'altra. Dopo essermi cambiata lo raggiunsi in salotto: - perché non sei andato al negozio? -, chiesi, cercando di dominare l'ansia che provavo. Rispose con una bugia: - sono tornato quando è iniziata questa burrasca, non volevo lasciarti sola in un giorno come questo -. Restammo in un imbarazzato silenzio, ognuno di noi nascondeva una menzogna e una personale verità. Chi avrebbe confessato per primo all'altro la sua slealtà, incrinando per sempre un rapporto d'amore e fiducia? Chi ci avrebbe salvato? Marietta, irruppe nel salotto grondante di pioggia, stravolta dall'emozione. Aveva fatto di corsa le scale, gli mancava il fiato per parlare, infine riuscì a sillabare: - Eleonora è uscita di strada con il furgone, è finita contro un traliccio elettrico, è grave all'ospedale -.
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Nuvole bianche s'inseguono nel cielo, come vele in una regata. Tra poco incomincia il tramonto. Non ho voglia di risalire il sentiero, vorrei restare in compagnia del mare ad aspettare la notte, per dire al buio le domande che non ho fatto all'uomo che amo, sperando di darmi da sola una risposta utile per la pace interiore. _ Gloria!... -, Matteo mi sta chiamando mentre scende verso la spiaggia - ho sistemato tutto, il marito di Eleonora e sua zia hanno accettato di seppellirla nella cappella, accanto a vostro padre. Sua madre non potrà opporsi, sta su una poltrona completamente rincretinita -. Mi bacia sulla fronte, chiede premuroso: - tu come stai? -. Camminiamo mano nella mano, senza parlare: Finalmente sento una musica conosciuta risuonarmi dentro, come risvegliata d'improvviso, dopo tanti anni, dall'armonia del sentimento appassionato che mi attraversa Riconosco la sua melodia, è fatta con i suoni delle parole d'amore, con le sensazioni di una felicità da ricordare: So che domani piangerò per Eleonora, ma nessuno muore mai veramente nel nostro paese: amiamo, viviamo, dormiamo per sempre sulla collina.
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Post n°158 pubblicato il 12 Novembre 2013 da enrico.passani
- Il reverendo scoperchiò un'altra pentola di ricordi. A Milano
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Inviato da: pgmma
il 01/09/2016 alle 08:30