Creato da: enrico.passani il 26/05/2010
Racconti tra le Apuane e il Mare Tosco-Ligure

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L'Angelo Senese

Post n°154 pubblicato il 26 Ottobre 2013 da enrico.passani

 

 

 

D’improvviso un vento di brace  che   dal mare investiva  la pianura, sfogando sulla collina la sua ira, penetrò dalla  finestra aperta, trasportando odore di salmastro e di bosco, investì le nostre facce , scosse il nostro silenzio.

-  Non chiuda la finestra -, frenò il mio gesto d’accostare le persiane.

. - questa atmosfera da  “Cime Tempestose”  mi piace  -. .La casa godeva ancora di  un  fascio di sole, dimenticato dal temporale in arrivo,  sotto di noi, nuvole opache, imprigionavano la luce di luglio. Forse sul mare, le naiadi cavalcavano onde furiose e le ninfe del paese, inseguite  invano da Pan, s’erano già rifugiate nel laghetto del bosco.

Un fulmine saettò nel cielo, seguito da un tuono secco, come lo scoppio di una granata. Lei tremò di paura, riducendo lo spazio tra noi.  Non osai ancora abbracciarla, ma era  il momento di  chiederle se era pronta  a compiere un atto volontario di reciproco amore.. Il rombo del temporale aveva dissolto le remore caratteriali del mio passato, non esitai  più a dirle: - Facciamo all’amore? . Sorrise: - Te lo dirò dopo che mi’avrai baciato -.

Non disse altro, parlò per lei la sua natura appassionata.  Non trascurammo i nostri corpi, .mentre ci liberavamo dei vestiti,  Le mani, labbra, le bocche, s’ immersero in ogni cavità segreta, assaporarono ogni sporgenza. Ci trascinava la spinta   di un’intimità straordinaria,  la voglia d’aggrapparsi ad un’occasione erotica che non avremmo goduto più, la certezza dell’inizio e della fine di un breve incontro irripetibile.  Forse, almeno io m’illudevo,  che. l’amore che  mi offriva, che io le davo, aveva la forza di un sentimento che non sarebbe svanito  nei ricordi della vita.

Mentre la penetravo, sentii sulla schiena  goccioloni  freddi  di pioggia, portati dal vento che sferzava le persiane ancora aperte. Avrei sopportato ben altro, mentre mi perdevo nella felicità di sentirmela intera tra le braccia, sopra e sotto di me. Non ci pervadeva l’inconscia inquietudine degli amanti, la loro fretta di scordare  l’angoscia esterna del mondo. Per me era  come  sesso coniugale,  cadenzato con il ritmo del cuore,  simile ad un rito pagano di fertilità, che mi ricompensava di lunghe attese,  nella solitudine crepuscolare della mia vita. Nessun rimpianto  d’innocenza perduta, niente senso penitenziale del peccato, rimasto come un eco dell’adolescenza, solo quella gioia del corpo, la libertà sensuale, di una reciproca  passione..

Quando   avvertii i palpiti dell’orgasmo. per una frazione infinitesimale di secondo  cercai di ritrarmi, un meccanismo abituale, che scattava nelle mie saltuarie relazioni sessuali, un po’  per l’egoismo di non cercarmi guai, un po’per il rispetto di non guastare l’integrità fisica della partner, qualche volta già dotata di prole.

Lei invece mi strinse a se con forza, inarcò i fianchi, come per non perdere una sola goccia de mio seme.

     

       Il vento che stava cessando, spingeva pigramente le nuvole  verso altri paesaggi.  Dal  letto d’amanti in riposo, le vedemmo scorrere nel riquadro della finestra. Lei  sembrava assorta a seguirne il  viaggio silenzioso. Sentivo il dovere di parlarle,  invece,  fu  lei a sorprendermi con una domanda: -  Perché hai chiuso il tuo simpatico negozio e abbandonando la tua città per isolarti qui?-.

-  Te lo spiegherebbe meglio di me il mio psicanalista di fiducia, se mai  avessi trovato il coraggio d’andare in analisi da uno strizzacervelli,  comunque ci proverò.   Un inverno dopo l’altro, mi sentivo sempre più circondato da ombre impenetrabili.  Gli abitanti del centro storico mi passano davanti come fantasmi, sempre più vecchi, e poi qualcuno  spariva, non lo vedevo più salutarmi, dall’esterno della mia vetrina.

Le sere, all’ora di chiusura, anch’io mi affrettavo come un ricercato verso casa per immergermi nella luce di un lampadario, sperando di liberarmi da una sensazione di freddo interiore, presagio di “thanatos”,  pulsione di morte, come direbbe in buon vecchio Freud, da una ragnatela di fastidiosi ricordi di passate relazioni sentimentali, finite male.

Per guarirne era indispensabile cambiare aria, una decisione che presi percorrendo l’Aurelia in macchina, quando vidi questo paese sulla collina, uscire dalla foschia dopo una breve pioggia, mi tornò alla mente “Brigadoon”, un vecchio film  di Vincente Minelli, visto da ragazzo. L’hai mai rivisto in televisione? -.

-  No, mai -.

-  La storia fantastica di un villaggio  che appare  un giorno ogni cento anni, tra  la nebbia in una vallata remota della Scozia. Due americani,  gli attori Gene Kelly   e Van Johnson, in  gita nel luogo, fanno in tempo ad  innamorarsi di due fanciulle del posto, ma il paese scompare e non riapparirà che dopo un altro secolo. Rientrati  a New York con il cuore a pezzi, ,l’infelicità li spingerà  a tornare nella sperduta valle scozzese, dove l’intensità del loro amore  avrà la forza di vincere  il sortilegio  del tempo, Il paese riapparirà nella nebbia e  Gene Kelly e Cid Charisse  balleranno meravigliosamente  per un altro secolo -.

-  Così arrivasti quassù per incontrare una Cid Charisse, prima  che il paese  sparisse come “Brigadoon”? -.

-   Forse fu proprio così. Cambiai immediatamente itinerario per conoscere ed esplorare il paese. Mentre la macchina arrancava sulla strada, mi arrivavano i profumi di terra bagnata, d’erbe aromatiche, di piante e  d’aria sfumata di mare. A poco a poco percepivo un benessere che non avevo mai provato, iniziavo a scordare le mie paure, a sentirmi ottimista. Per me fu come immergermi nell’atmosfera magica, di un posto dimenticato dal mondo che lacerava la vita delle città in  pianura, d’ascoltare ancora   nel vento il canto antico della natura.

Ma  tu a quale fascinazione  hai ubbidito per cercarmi in questo villaggio, perché  a un angelo di legno colorato, devo il miracolo del tuo amore? -.

Si sollevò un poco, puntellandosi sul gomito per guardarmi meglio, per comprendere se  una sua confidenza l’avrei accudita   in segreto  Del  resto, chi meglio di me  poteva  ascoltarla senza giudicarla criticamente,  lei lo sapeva, aveva ascoltato  il mio bizzarro racconto  condito con le nevrosi adorate dagli psicanalisi del globo.      

 Aspirò un attimo  prima di parlare.

-  Desidero con tutto il cuore che la mia Madonna non resti sola, ha perso come me un figlio, mi ha visto piangere di disperazione, conosce la tristezza di una donna che al bagno fresca come una rosa spruzzata  di rugiada, dimentica del resto del mondo per guardare come un’innamorata l’angelo sopra il cassettone, che, la sera prima avevo spolverato con minuzia, e accarezzato con la manica di cachemire di un vecchio pullover, per ravvivarne la  patina colorata..

-  Cent non può più procreare, d’ora in avanti l’angelo le terrà compagnia  - .

-  E’ come lo ricordavo, bellissimo. Quanto è alto? -.

   Il suo seno nudo era come una calamità,  così perfetto che avrei voluto baciarlo di nuovo, ma nei suoi occhi spuntarono  lacrime di un dolore mai rimosso. Non era il tempo per una replica erotica. Allungai una mano per accarezzarle i capelli: - Sono sicuro che andrà tutto bene -. Non sapevo dirle altro.

Si asciugò gli occhi con il dorso della mano: -  Devo andarmene, ho una cena a Forte dei Marmi. Domani ti farò un bonifico bancario. Tra un paio di giorni un mio dipendente verrà a ritirare l’angelo, puoi fargli un soffice imballaggio? -.

-  Si, sta tranquilla arriverà senza danni -.

     L’accompagnai fino all’auto. Mi ringraziò prima di salire: - E’ stato un bel pomeriggio -.

    Le bacia la mano, osservai la sua partenza fino a che non sparì  dietro la prima curva, Se me l’avesse chiesto, avrei  abbandonato la magica solitudine del paese e molto altro, per seguirla ovunque nel mondo. Ma sapevo che il suo ambiente di vita era un altro, mi rimaneva  la consolazione  d’immaginarla nella villa rinascimentale, sulle colline della val  D’Orcia, sorridente tra ministri e ambasciatori. nel salone con l’angelo e la madonna.

Il mare luccicava lontano,  Sotto il sole, dalla pianura non veniva una voce, un suono collettivo, muto il nastro dell’autostrada e un treno che transitava..Quel silenzio per la prima volta mi sgomentò. Arrivò alle mie spalle Nicola: -  E’ andata via la bella signora? -, chiese , senza mostrare alcuna fastidiosa curiosità.

-  Si, é ripartita, è venuta per riprendersi un pezzo antico che avevo conservato per lei-.  

Non era per niente indiscreto, mollò il discorso “bella signora”  per informarmi: -:Sai che stasera c’è la festa in piazza, il paese compie  proprio oggi ottocento anni.   Verranno in parecchi  a ballare dai borghi vicini -.

 -  Proprio come a Brigadoon -, pensai.

Nicola continuò: - Vado a comprare il pesce, al porto  per la cena., mi accompagni?  Ci berremmo un  paio di aperitivi prima del tramonto  -. Colse un’esitazione:,  avrei preferito restare solo, continuando a respirare il suo profumo, che  sentivo addosso,inoltrarmi nel bosco bagnato, fino al laghetto, per provare con l’invisibile

Pan,  l’illusione di spiare le ,ninfe, pensando ancora a lei appassionatamente..

 - Allora vieni? -., Sollecitò ancora Nicola, l’amico di conversazioni  invernali, da anti ad una bottiglia del suo vino riserva.

.- Si,  andiamo -.

 

 

 

 

.

 

 

 

 

 

 

 
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La Collina degli Dei

Post n°155 pubblicato il 29 Ottobre 2013 da enrico.passani

 


ANNAMARIA


Vedi Sabine, raccontare di sé è il culto sciocco della monotonia
personale. Significa sopravvalutare il proprio ego, crederlo contenitore di valori universali, propinare ad altri, storie che non sono storie.
In questo senso, sono le donne ad essere le migliori protagoniste di ciò che noi chiamiamo amore, dunque di qualsiasi storia. Perché loro amano soprattutto la vita, nel bene e nel male.
Ricordo quando Annamaria, prese l'abitudine di raggiungermi al laboratorio teatrale. Per sottrarla agli sguardi volgari del personale di scena, sempre pronto a misurare e commentare l'anatomia di una donna, la portavo nel mio ufficio: ambiente spartano, due seggiole e un tavolo ingombro di schizzi e disegni.
Sedeva accavallando le gambe, mettendo in rilievo la linea morbida delle cosce velate dall'ombra trasparente delle calze., fissandomi in silenzio. I suoi occhi erano un enigma verde celato nel profondo di un lago.
Inevitabilmente chiudevo la porta a chiave. Fuori dal laboratorio erano quasi tutti pomeriggi di sole, di una primavera precoce ed intensa. Facevamo l'amore su una sedia, senza perderci in preliminari. Le calze non erano collant e non c'era bisogno che si sfilasse le slip, la penetravo scostando la fettuccia delle mutandine, avvertendo con i palpiti del piacere la fastidiosa abrasione del suo orlo.
Dopo, era da scemi e falsi sentirsi imbarazzati mentre
l'accompagnavo alla macchina, attraversando la piccola folla di: pittori, attrezzisti, falegnami, che dirigevo.
In una circostanza, ci sorprese a cose finite Luigi, il regista dello spettacolo con cui allestivo la scenografia. Lei era appena sgusciata via con un sorriso dall'ufficio.
Quella donna ti distruggerà -, commentò serio, senza aggiungere altro. Da amico, stentava a capire, conoscendo la mia convivenza con Annamaria, la necessità fisica di questi incontri pomeridiani, commentati con sarcasmo nell'ambiente del teatro.
- Alzai le spalle: - sono di razza montanara -, tanto per
rispondere con una frase qualsiasi.. Come potevo, senza vergognarmi di brutto, raccontare quella passione cieca che ci spingeva a prolungare la trama erotica della notte con una "sveltina" tra i rumori, gli odori di colla, vernice e legno del capannone teatrale?
Avrei dovuto confessargli che soltanto dopo, mentre rifiatavo, e lei s'asciugava con il mio fazzoletto l'interno delle cosce dei nostri fluidi per non macchiare almeno le calze, s'attenuava in me il sospetto di non poterla mai possedere totalmente..


Giacomo smette di parlare, china la fronte nascondendo mezza faccia nel bavero rialzato della giacca, come per un'improvvisa vergogna o brivido di freddo. Racconta il passato come se lo rivivesse nell'attualità odierna.
Chiedo - Perché ti fermi?-. Giustifica così la sospensione. - Volevi che ti parlassi di ciò che nella mia vita aveva lasciato un segno? Adesso non capisco perché ho iniziato proprio con la storia di un'ossessione amorosa. Provo l'imbarazzo del vecchio guardone che spia dai buchi della memoria il tempo che fu per nostalgia senile. Perché poi rivelarlo ad una scultrice tedesca, che ha già consumato, come il sottoscritto, quasi una vita. Sei venuta tra i cavatori per scolpire il marmo o ascoltare storie erotiche?
- Tu racconti, io ascolto Punto e basta! - Ribatto con decisione.
L'accenno alla "vita quasi consumata" mi fa arrabbiare. Suppongo che non lo dica per cattiveria, che cerchi, assumendo un'aria da cinico, d'esorcizzare una vecchiaia che accetta malvolentieri il rapporto fisiologico con il tempo trascorso..
- Riprendo dall'erotismo, per fagli un'analisi di quello che ho
ascoltato. Era nel nostro patto.
- L'episodio erotico è un classico del genere amoroso, neppure raro. L'hai descritto con il ritmo giusto, buona l'ambientazione. T'è venuta la fregola di scrivere un romanzo autobiografico Bene, va avanti, questo inizio con il sesso è potente, vitale, senza rimpianti e falsi pudori.-
L'anziano amico mi guarda negli occhi, non vi scorge indizi di morbosità. Un po' mi vergogno della ragnatela di rughe. sulla faccia. Se m'avesse toccato il petto durante la narrazione, avrebbe percepito sotto la sua mano l'accelerazione del cuore.. Il mio volto tedesco non tradisce emozione, invece, tra le cosce si sta attenuando un calore inaspettato.
Prosegue educatamente, non troppo convinto.
Ero ancora ubriaco di sonno, la mattina che Annamaria annunciò con voce sgraziata: - voglio recitare ! -.
- Bene -, convenni, ancora non m'aspettavo il peggio, - iscriviti
ad un corso, ce ne sono tanti in città -.
- Fai presto tu a dirlo -, il tono aveva un sottofondo isterico.
- Non posso a ventott'anni tornare sui banchi di scuola come una scolaretta. Bello mio, la giovinezza non dura sempre. Voglio recitare subito, con questo viso, con questo corpo, magari nel tuo prossimo allestimento... perché fai quella faccia? M'accontento di una particina, qualche battuta, così per stare in scena, per respirare anch'io la famosa polvere del palcoscenico. Cosa ti costa chiederlo al tuo caro amico Luigi. Insomma, non ti sto domandando la luna! -.
- Nel cervello mi fermentava tutta la gelosia che le avevo sempre
nascosto.. Attese una risposta, zitta e minacciosa, mentre pensavo.
- E no, bella mia! Non ti lascerò scopare dietro le mie spalle, nei camerini con quelli stronzi degli attori. Immagino quante te ne faresti in sei mesi di tournée.. Scordati di rendermi cornuto tra le quinte -.
Presi tempo, cercai di buttarla sulla morale del mestiere.
- Come faccio a chiedergli questo, sapendo che centinaia di giovani usciti dall'accademia d'arte drammatica sono disoccupati -.
Parlavo fingendo di non accorgermi dei suoi occhi incattiviti, ormai privi di mistero.
- L'amicizia con Luigi non c'entra niente. Il rapporto di lavoro tra
scenografo e regista è delicato, si fonda su un equilibrato rispetto della reciproca autonomia artistica. Non voglio violarlo per farti lavorare, togliendo il pane di bocca ad una vera attrice. -.
Mi sforzai a modulare un tono dolce, convincente, duro da renderlo credibile in pigiama, con gli occhi pesti, la bocca amara, la capigliatura aggrovigliata.
- Il mese scorso t'andava d'aprire una boutique. Perché non lo fai?
Sono disposto a finanziarti -.
- Merda! Non m'interessa più. Sono già stata in una boutique, non
ricordi? E' lì che mai pescata e illusa; adesso voglio realizzarmi nel teatro. T'entra in quella testa di marmo?! -. Quella bocca ben disegnata sputava fuori un'anima volgare. Avevo provato a tamponare il suo malumore abbozzando un altro progetto. . Inutile.
Con la faccia ridisegnata dalla rabbia, cercò d'imitare la mia parlata, ripetendo beffarda: - il rapporto tra scenografo e regista è ...delicato...non voglio violarlo ..togliendo il pane di bocca ad una vera attrice.... -...
La guardavo basito, mentre si protendeva verso di me, premendo le dita sul bordo del tavolo di cucina, dove stavo seduto, con la tazza del caffè ormai freddo: Due seni arroganti, sfuggiti alla prigione di seta della vestaglia a fiori, mi puntano addosso i capezzoli. Non osai toccarli, anzi per sfuggire la tentazione, nascosi le mani sotto il piano .di formica. Lei non si preoccupava della cintola sciolta, che non teneva più la stoffa avvolta al corpo: Tentava, scuotendo la testa, d'allontanare l'ombra scura sul volto dei lunghi capelli, come fosse una ragnatela.
- Che cosa vuoi farmi credere che tu e i tuoi amici di scena avete
un'etica? Se l'avete è attaccata al vostro cazzo. Quando mai siete andati a letto solo con la vostra morale! -, la voce le s'incrinò, raschiò la gola.
- Non ti sei accorto, quando andiamo a cena con i bastardi dei tuoi compagni, come sbirciano le mie cosce sotto la gonna? -.
Certo che me n'ero accorto. Perciò non la volevo inserire nell'ambiente, evitavo il più possibile di frequentare i colleghi fuori del lavoro. Inoltre mi dilaniava la gelosia . Tardi per rimediare.
- Di colpo si raddrizzò per spalancare la vestaglia: - Toh! Guardale
anche tu per l'ultima volta queste cosce, non le violerai più, non godrai più con me....-.
Non la lasciai finire la frase: - vaffanculo, brutta troia! -. Qualcuno stava suonando al citofono.

 

Fa una pausa, ride: - Ma tu Sabine, oggi non vuoi proprio lavorare? -.
- No, oggi no. Mi piace troppo ascoltare.. Hai promesso Giacomo di
non lasciare nessuna storia a metà, io rappresento il pubblico dei tuoi lettori futuri. Oppure, prova ad immaginarti nelle sembianze di un satiro delle pitture pompeiane, che per vanità o sadicamente racconta con realismo le sue avventure amorose ad una vecchia Afrodite Celeste tedesca, protettrice delle caste nozze (come furono le mie, nella preistoria della giovinezza.): L'Afrodite tedesca t'invidia -.
La tua invidia è sprecata. Quando Annamaria mi lasciò per mettersi con un impresario di provincia, una mezza tacca che gravitava ai margini dell'ambiente del teatro, quel distacco fu un vero patimento.
Restai intossicato dal suo ricordo, come chi esce troppo in fretta dalla dipendenza di una droga.
Mai m'ero illuso sull'autenticità del suo amore: Chi se ne fregava dei sentimenti! Quando stringevo tra le mani l'opulenta rotondità del suo culo, pensavo d'avere in mano una parte della vita del mondo. Tra le sue cosce scordavo i miei fantasmi interni. Le permettevo di condurre la cadenza amorosa assecondando il suo ritmo, perdendomi nel linguaggio orgasmico che proveniva dalle radici profonde della sua anatomia. Una lingua segreta sussurrata con parole spezzate da brevi esclamazioni, gemiti di gola ed altre sonorità che, avrei voluto decifrare in ogni bacio, ogni volta che cercavo, presuntuosamente, durante la penetrazione, di spingermi al limite della sua carne, per scoprire la sorgente di quelle voci.
Alla fine, sembrava in pace con se stessa, senza più ombre nascoste nell'anima. Anch'io mi liberavo dall'arcana paura di un misterioso buio esistenziale, simile a quello che provai da bambino, quel giorno nel mio paese, quando mi persi in un ala del castello.
In pieno panico girovagavo nella semioscurità dei soffitti a volta, fino a che la fioca luce di una scala ellittica di pietra, mi fece emergere nel sole accecante del torrione.
Ecco, per dirla semplicemente, senza l'aiuto della mitologia, ogni scopata con Annamaria era la luce del torrione, la fine di quel viaggio nella semioscurità dell'esistenza.
Come vedi cara, più che un satiro vesuviano, vagolavo come un paziente di Freud.
La botta dell'abbandono fu dura da sopportare. Quarant'anni fa non era così di moda sdraiarsi sul lettino dello strizzacervelli, per elaborare una depressione da lutto sessuale..

 

Dopo il debutto dello spettacolo a cui avevo lavorato, pensai di smaltire rabbia e rimpianto tornando al mio paese, proprio lassù, vedi Sabine, dove c'è la neve.
-. Seguo la sua mano che m'indica un punto delle Apuane. Le cime
delle montagne sono innervate, malgrado la tiepida influenza del mare, a pochi chilometri.. Per chi ci osserva, siamo due anziani svaniti che fissano le montagne, seduti su poltrone di vimini nel giardino di Giacomo.. Ci scalda il timido sole dei primi giorni d'aprile.
Senza farmene accorgere, osservo il suo profilo virile: un tipo originale. Avrei voluto incontrarlo da giovane, quando la mia testa era tutta bionda e gli ormoni mi lubrificavano il grembo, indurendomi i capezzoli, ogni qualvolta percepivo lo sguardo di qualche maschio interessante.
In casa sua ha alcune foto di donne, che ho trascurato d'osservare. Ho preferito studiare quella di un Giacomo con molti anni di meno, in cornice sopra un tavolo. Nel suo sguardo si coglie una determinazione che con l'età non ha perso.
Due settimane prima, visitando una mia esposizione di piccoli bronzi, m'aveva comprato una scultura da interno, per un regalo di nozze. M'ero irritata nell'ascoltarlo sentenziare: - Si nota che lei è tedesca, nelle sue si sente l'influenza di Klinger e dell'espressionismo berlinese -.I
In seguito, riflettendo approfonditamente riconobbi la validità di quel giudizio critico. .
Attraverso frequentazioni comuni, siamo diventati da poco amici. Come capita tra artisti, abbiamo immediatamente imbastito un sodalizio spirituale, scambiandoci reciproche confidenze, senza azzardare giudizi morali sul privato. All'incirca, so che ha moglie, figli lontani, che presto sparirà da qui, in fuga dalla piccola provincia, per riprendere a mescolarsi con la folla di una grande città, per imbastire un'ultima relazione di cuore.
Prima che ciò avvenga, desidero ascoltare altre sue
confidenze.
E' nata in me la voglia di ripercorrere parte del suo passato attraverso le trame di un racconto in cui si mescolano paesaggi, aspirazioni ideali. e pulsioni sessuali.
In parte, resto ancora una luterana inibita da un'educazione ipocrita che m'impedisce di parlare liberamente di sesso.. M'affascina il vizio della sincerità che ha Giacomo, il suo addentrarsi nei particolari intimi, senza nascondersi dietro il paravento di una falsa pudicizia. .
Prima che si raffreddi la sua voglia: di narrarsi, domando - Al paese che hai fatto? -. Riprende, senza farsi pregare.
Mentre percorrevo la strada che s'inoltrava tra i boschi, s'attenuava la rabbia dell'amante tradito. Smisi di ripetere: "Annamaria, figlia di puttana! Annamaria, troia schifosa!", ossessivamente, come in autostrada. Frasi in parte pensate, in parte urlate a vuoto...
Nel mio paese, dominato dal castello malaspiniano, ritrovai un'aria conosciuta d'abbandono, un profumo familiare di mentuccia e rosmarino. L'autunno era ancora contaminato da un'estate profonda. Avevo l'intenzione di restare almeno per due settimane. M'attendevano lunghi, noiosi, pomeriggi di spaziale luminosità, un orizzonte di montagne, di minuscoli borghi semicoperti da faggi, squarci di prati con casolari di pietra, lontani.

 

 
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Ora che sono vecchio.

Post n°156 pubblicato il 08 Novembre 2013 da enrico.passani

 

E  VENERI   CALLIPIGIE

 

 

  Ora che sono vecchio, la piccola città non mi opprime più con i suoi giorni tutti uguali, i cani randagi, il centro storico corroso da secoli di piogge tristi, orbo di botteghe e calore umano, la sua gente indifferente alla realtà del mondo, che cova negli occhi un rancoroso egoismo.

   Nella piccola città se hai un aspetto giovanile e agiato, ragazze con il trucco puttanesco ti guardano sottecchi, si inumidiscono le labbra, si lisciano il profilo del seno, mimando con il linguaggio del corpo un invito che puoi scambiare per una passione sbocciata per te, improvvisa e sincera, che ti fa pensare a preliminari erotici che potrai dilatare con una di esse tra i boschi collinari, come in un mediterraneo tempo arcaico d'iniziazione carnale, complice l'opulenza di fianchi, protesi all'insù dalla spinta dei tacchi alti. Veneri callipigie che si impigriscono nel matrimonio, che lasciano tramontare nel crepuscolo dell'ordinario quotidiano, la breve stagione dell'innamoramento.

   L'eros nella piccola città è un'incombenza da risolvere in fretta, senza troppe complicazioni sentimentali. Non lascia mai dietro di se, storie di forti amori da invidiare.

   E' routine per i giovani che lo praticano nelle auto parcheggiate in fila indiana, nel tratto morto della litoranea, non lontano dalle discoteche, o sotto i tunnel della vecchia marmifera, risalendo la città fino al cuore delle cave, la sera dei giorni festivi, prima di rincasare.

   Gli esportatori del marmo lo consumano in certe sere, in compagnia del  cliente forestiero o straniero. Dopo la cena in un ristorante della costa, guidano verso un villino nascosto nella pineta. Oltre un cancello, alla fine di un viale ghiaioso, c'è tutto il tempo per un altro whisky o caffè, prima di toccare la docile ragazza dell'Est.

   Ma nei sabati di un tardo autunno o d'inverno, mentre la città viene risucchiata dalla notte, alla periferia si accende l'insegna luminosa del Coniglietto, night con entraîneuse. La sua orchestrina inizia a mandare richiami sincopati a tutti gli scapoli della città. Loro arrivano appena dopo la  sigla di chiusura del telegiornale per occupare i separé chiusi, dove è possibile dopo un paio di consumazioni, brancicare con le mani sotto il vestito della balcanica o della sudamericana, o per un paio di "centoni" farsi una "sveltina" sulle seggiole imbottite di plastica  rossa, faccia a faccia, con la donna seduta sulle ginocchia. " Delicata, adatta alle malate di petto", spiega di quella posizione la didascalia di un'antica incisione erotica francese, nel repertorio di stampe di un collezionista che conoscevo. Ma non lo sanno e non gli importa.

   Non tutta la piccola città è in questo film, una minoranza  di concittadini spera ancora d'incontrare un giorno quel che resta dei sogni giovanili, ma è gente dispersa che lotta invano per non essere inghiottita nel conformismo.

   Per buona parte questo è il nostro modo d'amare. Non merita d'essere raccontato con la presunzione che  a qualcuno interessi ascoltarlo o leggerlo, non merita un'elegia 

 

 
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Non sento più quella musica

Post n°157 pubblicato il 10 Novembre 2013 da enrico.passani

6.26PubblicaAmiciAmici tranne conoscentiSolo ioPersonalizzataAmici più strettiFamiliariVedi tutte le liste...Area di CarraraConoscentiTorna indietro

NON SENTO PIU' QUELLA MUSICA

 

 

 Non sento più quella musica mentre scendo al mare. Di certo so che non è il motivo preciso di una canzone o il classico fraseggio di un pianoforte, né la musica naturale del vento che si perde tra i pini del sentiero, miscelata al rumore furioso del mare tra gli scogli, in questo pomeriggio chiaro d'autunno.

  Quella sensazione di una musica segreta, che ora non afferro più, mi veniva incontro negli anni della gioventù. Eppure lo scenario è lo stesso, il paese è sempre lì, immutabile, sopra la collina: I miei dormono nella cappella del cimitero, vegliati da un angelo di marmo che prega eternamente per loro, ma la mia musica è svanita.

  Eccomi alla piccola spiaggia deserta, in compagnia dei gabbiani. Cammino tenendomi lontano dagli spruzzi delle onde, cercando di non schiacciare le conchiglie vuote lasciate  sulla sabbia bagnata, dalla tempesta di due notti fa, provando a raccogliere  i pensieri sparsi nella mia vita. Ho chiuso la porta di casa dietro di me, per lasciarmi alle spalle la solitudine: I mobili e gli oggetti della mia camera, i quadri del salotto, i libri della biblioteca, non mi facevano più compagnia. Marietta, la mia tata e direttrice di casa, ha oggi il suo pomeriggio libero da spendere ai grandi magazzini della città, in compagnia della sorella. Domani ci aspetta un funerale importante: quello di Eleonora, la mia sorellastra. Ci sarà tutto il borgo e  i nuovi compaesani, quelli che hanno acquistato e riattato le case di pietra lungo i fianchi del monte. Nessuno vorrà mancare, perché io e lei eravamo la storia piccante dell'intero paese, che la gente si raccontava senza alzare la voce, mentre coltivava l'orto e

potava la vigna, o cercava tra gli scogli, i muscoli da marinare. Si, un paese  fissato nel suo tempo, tra un'alba e un tramonto, che passano e ritornano con poche novità, contento di possedere questa storia morbosa, di vederla vivere ogni giorno e di sentirla sua, familiare come il suono del campanile che batte le ore dell'esistenza di tutti.

  Eleonora ed io, rassomiglianti come gemelle, ma non con lo stesso cognome.  Lei aveva quello di un padre che non l'ha concepita, ma lo stesso sangue del mio genitore, notaio del paese e dintorni. Lei mandava avanti il forno di sua madre, vicino alla chiesa, abitando al piano, dove il paesaggio si distende prima d'incontrare altre colline e montagne, lontane dal mare.

  Io vivo nel palazzo antico di famiglia, alto come la chiesa, con la meridiana dipinta sulla facciata, che il sole e i vento hanno stinto.

Ho l'aspetto fragile della mamma e la sua salute delicata. Eleonora è più giovane di tre anni, è abbronzata, formosa, sprizza energia da tutto il corpo. Io, come mamma, sono stata la fedele collaboratrice di mio padre. Lei, dopo anni di lontananza, di studi incompiuti, ha sostituito la madre anziana nella conduzione del forno.

  Fu proprio la madre ad allontanarla da noi. Già incinta quando il marito tornò gravemente ammalato, dopo un lungo imbarco su una petroliera, morì un mese dopo, fu presa dal rimorso per i suoi peccati, un rimorso che sfociò in una religiosità quasi maniacale. Rifiutò di regolarizzare col matrimonio la relazione che aveva avuto con i notaio, rimasto vedovo dopo la mia nascita, cambiò residenza e tenne lontana dal paese la figlia.

  Il tempo passava consumando le stagioni della nostra vita. Crescevo con le cure di Marietta e nell'affetto di mio padre. Spiavo sul suo volto ogni velo di malinconia, gelosa dei suoi pensieri, gelosa dell'altra, da quando avevo appreso di non essere figlia unica.

  Il tempo passava rinnovando i nostri desideri, trascinandosi appresso inaspettate delusioni, piccoli e grandi colpi al cuore.

  In un mese di maggio,  avevo superato da poco i vent'anni, Eleonora riapparve nel paese, incredibilmente elegante ( il notaio vedeva e provvedeva), in compagnia di un giovane biondo, ufficiale di macchina della marina mercantile. Un'ereditata tradizione  materna. Stavo uscendo da casa, mi lanciò da lontano uno sguardo trionfante: "guarda come siamo belli e felici, com'è bello il mio ragazzo! Invece tu, così palliduccia e zitella! ".  Interpretai in questo senso quella sua occhiata un po' maligna , che esprimeva anche tutta la sua gioia di vivere. Ormai ci divideva il muro invalicabile dell'incomunicabilità di una lunga lontananza, di un amore fraterno non coltivato. Si sposò sei mesi dopo la morte di papà.

  Mentre il marito navigava, lei accudiva al forno. Ogni mattina arrivava presto con il suo furgoncino per distribuire il pane ai negozi alimentari: Marietta comprava da lei, tenendo contatti cordiali, apprendendo notizie che poi mi riferiva.

  Io vivevo anni sospesi nella melanconia dei ricordi, senza immaginare altre strade esistenziali da percorrere. Avevo lasciato gli incarichi d'ufficio che prima svolgevo per il babbo, mi limitavo soltanto ad amministrare i beni di famiglia, facevo lunghe passeggiate, leggevo libri e ascoltavo buona musica. Spesso mi recavo al cimitero, nella cappella trovavo  sempre dei fiori freschi, che sapevo portati da Eleonora.

  Una vita in penombra la mia, che sarebbe durata chissà quanto se non fosse arrivato Matteo, antiquario di Lucca. Cercava una casa per l'estate, in un paese di mare, forse per coltivare  con discrezione alcune sue relazioni femminili. Lo indirizzarono da me, che possedevo case e terreni.

 M'innamorai di lui quasi subito. Mentre  l'accompagnavo a visitare i posti buoni per costruire, o qualche casa colonica con vista sulla scogliera,  l'osservavo ammirata, sperando che non si accorgesse, che gustavo con gli occhi il suo profilo e l'onda scura dei capelli che gli incorniciavano il volto. Non riuscii a vendergli nessuna casa, ma lo sposai velocemente.

  L'amore riempiva tutte le mie ore vuote, spazzava via la mia solitudine, rendendomi più tollerante verso Eleonora. Immaginavo noi due più unite nel dialogo di una nuova famiglia, dove si scioglievano, finalmente, i nodi di un passato doloroso. Incontrandola, provai timidamente  ad accostarla con un sorriso, ma lei, scura in volto, mi voltò le spalle.

 Mi scordai presto di quel gesto, immersa nell'appassionata freschezza del matrimonio. Finché una sera, dopo un rapporto coniugale intenso, sbiancai in volto, perdendo quasi le forze, il mio cuore accelerò di brutto.

  Il dottore di famiglia, dopo la visita, parlò a Matteo. Certamente gli riferì su i difetti di salute che avevo ereditato dalla mamma, sicuramente lo consigliò. Quando uscì, avevo ripreso colore, Matteo sembrò più tranquillo, trovò anche l'animo per fare qualche battuta spiritosa.

  Da quella notte, i nostri rapporti amorosi divennero più cauti, non diminuì la frequenza, ma lui si mosse con meno affanno, assecondando il reciproco desiderio con un ritmo più tranquillo, con carezze più diluite in un dolce, spazio erotico, che conduceva al piacere senza strappi al cuore.

  Non so chi disse, che ci accorgiamo della felicità quando essa è passata. Eravamo felici, o solo io lo ero, come quella notte a Lerici, mentre finiva l'estate. Nel golfo, si riflettevano le luci del castello e della passeggiata, un'orchestrina suonava lontano. Il ristorante era accogliente, i camerieri premurosi, il vino e la cena squisiti. Gli occhi di Matteo erano solo per me, che mi sentivo attraente in abito da sera, e le tragedie del mondo, in quell'istante, mi sembravano antiche leggende di un'era scomparsa.

  Inaspettatamente, pronunciò il nome della mia sorellastra: - l'ho vista oggi, m'è parsa depressa, povera Eleonora! Non possiamo fare qualcosa per lei? -.

  Rimasi senza parole. Da quando se ne occupava?  Gli avevo accennato di lei fuggevolmente, non aveva mostrato molto interesse: Ora, invece, la chiamava per nome, trepidava per la sua depressione. Avrei voluto dirgli:" perché non si rivolge al suo biondo marinaio? ".

  Risposi con voce neutra:- ci penserò -. Il golfo rifletteva fredde conchiglie di luce prive di vita.

  Avevo perso la pace, la gelosia mi rodeva l'anima. Sospettavo di mio marito, avevo il terrore che s'invaghisse di Eleonora, spiavo ogni suo gesto, valutavo ogni sua parola d'affetto, ogni sua carezza d'amore. Interrogavo quasi giornalmente Marietta, che manteneva i contatti col forno. Lei mi confermava la crisi di mia sorella.

  L'allarme mi squillò nel cervello, una certo giorno, quando Marietta, interrompendomi nella lettura, disse: - stamani Eleonora era di buon umore, direi quasi raggiante -,

- sarà tornato suo marito -, replicai senza alzare il viso dal libro.- Non credo, è parecchio tempo che non parla più di lui. Prima era tutto un raccontare dei regali che le faceva, dei porti dove l'aspettava. Da un po', silenzio, come se fosse diventata vedova -.

  La mia gelosia riprese vigore, quasi mi mancò il fiato. Ricordai che qualche giorno prima, telefonando, non avevo trovato mio marito in negozio,  non aveva risposto nemmeno al cellulare: - scusa, l'avevo spento, ero a casa di un cliente, non volevo disturbare -. S'era giustificato. In quella settimana non avevamo fatto ancora all'amore. Stavo diventando pazza! Decisi di pedinarlo.

 

                                       °°°°°°°°°°°°°°°°°°°

 

 Dal mare salivano nuvole di pietra, un gabbiano sopra noi ci avvisò della tempesta, l'aria era calda e immobile. Seguivo mio marito a distanza, nascondendomi dietro gli angoli delle case. Non camminava verso il parcheggio, aveva preso la stradina per il cimitero.

  Eleonora arrivò con il suo furgoncino, parcheggiò sul ciglio della via, scese con un mazzo di crisantemi. Matteo gli andò incontro, insieme varcarono il cancello ed entrarono nella cappella della mia famiglia. Incominciò una pioggia violenta.

  L'impermeabile non mi proteggeva la testa scoperta, l'acqua mi accecava e dal collo scendeva lungo la schiena, entrava nelle scarpe  basse. Provai a stringermi al mento il bavero rialzato, cercando un riparo, ma scivolai sull'erba fradicia finendo con la faccia tra le tombe.  Mi sollevai a metà, piangendo di rabbia e di vergogna, per rannicchiarmi contro una lapide, sentendomi una morta vivente, una zombie, incurante della pioggia, dei lampi che saettavano e dei tuoni che scassavano l'aria.

  Non so per quanti minuti rimasi così, li sentii uscire senza vederli. Allora entrai nella cappella per cercare le tracce della loro intimità. L'angelo di marmo, illuminato dalla lampada votiva, pregava ancora, dunque non s'era mosso, stritolandoli in un abbraccio mortale, per aver profanato il lungo sonno dei miei avi. Mi chinai per osservare meglio il pavimento, non rilevai alcun segno d'amore, tranne il fango e il bagnato che mi lasciavo dietro.

  Ritrovai Matteo in casa, mi venne incontro preoccupato. - Dio...come sei ridotta! Che cosa hai fatto, dove sei stata? -. Mormorai di una visita ad un'anziana che non conosceva, fuori del paese, mentre mi rinchiudevo nel bagno per fare una doccia calda e riflettere,.

  Il bagno mi calmò, recuperai un po' di saggezza. Non potevo investirlo con i miei sospetti, manifestando tutta la mia devastante paura di perderlo, di dividerlo con un'altra. Dopo essermi cambiata lo raggiunsi in

salotto: - perché non sei andato al negozio? -, chiesi, cercando di dominare l'ansia che provavo. Rispose con una bugia: - sono tornato quando è iniziata questa burrasca, non  volevo lasciarti sola in un giorno come questo -.

  Restammo in un imbarazzato silenzio, ognuno  di noi nascondeva una menzogna e una personale verità. Chi avrebbe confessato per primo all'altro la sua slealtà, incrinando per sempre un rapporto d'amore e fiducia? Chi ci avrebbe salvato?

  Marietta, irruppe nel salotto grondante di pioggia, stravolta dall'emozione. Aveva fatto di corsa le scale, gli mancava il fiato per parlare, infine riuscì a sillabare: - Eleonora è uscita di strada con il furgone, è  finita contro un traliccio elettrico, è grave all'ospedale -.

 

                             °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

 

  Nuvole bianche s'inseguono nel cielo, come vele in una regata. Tra poco incomincia il tramonto. Non ho voglia di risalire il sentiero, vorrei restare in compagnia del mare ad aspettare la notte, per dire al buio le domande che non ho fatto all'uomo che amo, sperando di darmi da sola una risposta utile per la pace interiore.

  _ Gloria!... -, Matteo mi sta chiamando mentre scende verso la spiaggia - ho sistemato tutto, il marito di Eleonora e sua zia hanno accettato di seppellirla  nella cappella, accanto a vostro padre. Sua madre non potrà opporsi, sta su una poltrona completamente rincretinita -.

  Mi bacia sulla fronte, chiede premuroso: - tu come stai? -.

  Camminiamo mano nella mano, senza parlare: Finalmente sento una musica conosciuta risuonarmi dentro, come risvegliata d'improvviso, dopo tanti anni, dall'armonia del sentimento appassionato che mi attraversa Riconosco la sua melodia, è fatta con i suoni delle parole d'amore, con le sensazioni di una felicità da ricordare:

  So che  domani piangerò per Eleonora, ma nessuno muore mai veramente nel nostro paese: amiamo, viviamo, dormiamo per sempre sulla collina.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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    vigilia di pasqua

    Post n°158 pubblicato il 12 Novembre 2013 da enrico.passani

    - Il reverendo scoperchiò un'altra pentola di ricordi. A Milano
    l'avevo dimenticata, ma qui nel paese, era facile ricordarsela intatta. Una bellezza che a guardarla toglieva il fiato. Tutti i giovani della zona montana n'erano innamorati, me compreso. S'incontrava nel paese il sabato pomeriggio e parte della domenica, fino all'ora in cui riprendeva la corriera per rientrare al pensionato delle suore in pianura, vicino all'istituto medico dove frequentava il corso d'infermiera. M'aveva fatto dimenticare la finlandese.
    Il suo fascino non era passato inosservato pure in città: Di frequente qualche giovane forestiero, incravattato e impomatato, giungeva in macchina o in moto in perlustrazione al borgo con la speranza d'abbordarla.
    Avevo escogitato un .piano per starle vicino. Fingendo una fede attiva, che in verità non sentivo. Durante le vacanze pasquali presi a frequentare la chiesa per incocciarla lontano da occhi indiscreti, senza provocare chiacchiere. Il parroco, sapendomi del liceo artistico, m'aveva rifilato l'incarico di ritoccare con il colore la veste scrostata di un santo di gesso.
    Un piccolo restauro, prolungato ad arte fino ai riti della settimana santa, per gustarmi la Giovanna con gli occhi, mentre in un angolo della chiesa, non lontano dalla nicchia dove mi fingevo simile a Raffaello, pazientemente insegnava catechismo ad un gruppo di svogliati ragazzini.
    Si rinfrescò tra noi un'amicizia, con l'abitudine di passeggiare insieme all'imbrunire, oltre il cimitero, dove iniziavano i prati con i ruderi degli ovili abbandonati. Fuori dalla vista del paese, appoggiati ad un muro di sassi, il venerdì prima della processione ci confessammo a vicenda paure, progetti di vita, gioie, aspirazioni.
    La sua bocca morbida, da vicino era una calamita terribile. Pensai, se non la bacio muoio. Lei non si sottrasse ad un bacio interminabile ad occhi chiusi. I suoi capelli mi frusciavano sulla guancia, per l'impeto di un vento aromatizzato da primavere già sbocciate in mare..
    Sotto il cappotto, il suo corpo era un'attrazione terribile, un'anatomia sontuosa, che non lasciava zone di stoffa da riempire.
    Il suo ventre sembrava dolcemente arrendersi alla pressione del mio membro che ingrossava col desiderio. Ma la finlandese m'aveva insegnato a non bruciare i tempi della passione, a prolungarne il suo godimento centellinando ogni sensazione, senza fretta.
    Continuai a baciarla sugli occhi, sotto il mento senza risucchio, per non lasciarle segni sul collo. La mia delicatezza la rassicurava, facilmente si lasciò alzare il maglione perché le accarezzassi il rigoglio dei seni liberi dal reggipetto: S'abbandonò dolcemente fiduciosa tra le mie braccia. .
    Credevo di sentire i battiti del suo cuore sul torace. Anch'io m'ero tirato su il maglione per assaporare il contatto col suo petto, liberando le mani per seguire il contorno interno delle sue cosce. Un percorso senza ostacoli dalle ginocchia, dove iniziavano i calzettoni di lana grossa verso l'alto. Un viaggio nel velluto dolce della sua carne stupendamente accogliente. M'arrivava la sua fragranza intima, che m'illudevo avrebbe impregnato, d'ora in poi e per sempre, il mio corpo e i miei vestiti, cancellando l'odore di canniccio del paese.
    Ringraziavo Iddio per il donno di quella sera.. Quel volto, quegli occhi, quel corpo di donna, l'amore appassionato che nutrivo per lei, avrebbero cancellato l'assedio della solitudine, aiutandomi ad accettare di continuare a vivere nel paese.
    .S'apriva nei giorni avvenire, per lei e per me, la prospettiva eccitante di mille giochi erotici da inventare, mille desideri da soddisfare, liberi di lasciare disperdere dal vento i nostri gemiti di piacere , come un canto sospirato nell'intreccio arboreo del nostro futuro Eden. Un inno alla nostra nudità sull'erba.
    Conoscevo un rifugio nel bosco, l'ultimo verde, prima d'ascendere alle pareti bianche di marmo della cima che svettava sopra i tetti. Quella minuscola radura, celata nell'intrico di rami e fogliame, sarebbe diventata la nostra alcova clandestina. Di notte la frequentavano le creature del bosco, ma nella luce cangiante di giorni dedicati ad una struggente passione, là ci saremo segretamente sfiniti, sperimentando ogni posizione sessuale, perduti in una febbrile, reciproca, contaminazione di corpi.
    Avrei goduto dell'intimo tempo di risalire con le labbra la linea interna delle sue cosce, fino ad immergere la lingua nel suo sesso, succhiando con la bocca la sua linfa, per sentirla smarrirsi nella gioia di una profonda carezza.
    Ci avrebbero protetti dall'invidia umana gli spiriti silvani e gli dei della montagna, sicuramente indulgenti verso noi, giovami amanti.


    Appena scorsi in lontananza i lumini rossi della processione, accelerai i tempi. Feci scendere la cerniera dei calzoni, il mio sesso scattò fuori, libero e aggressivo, per farsi spazio nel solco del suo inguine da me non violato, ancora protetto dalle mutandine.
    Si ritrasse.. Aspetta -, sussurrò. Non volle lasciarmi insoddisfatto e deluso. Si chinò a baciarlo con naturalezza, accogliendolo tra le sue labbra, spostando la testa prima che le spruzzassi la faccia.
    I lumini rossi si muovevano nella notte quaresimale. Corse via per partecipare alla processione.

     

     

     

     
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