IlRegnoDegliElfi

Giornata della Memoria


Non parlavano, i quattro soldati russi a cavallo giunti davanti al reticolato di Auschwitz a mezzogiorno di 60 anni fa. Non salutavano, non sorridevano. Qualcosa li opprimeva più della pietà: «Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, e ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio», testimonia Primo Levi all’inizio de La tregua. Yakov Vincenko, allora giovane soldato russo 19enne, non era uno dei quattro, perché non aveva cavallo. Anche lui arrivò tra i primi. Intervistato il 16 gennaio scorso, conferma: «Io ho incontrato solo spettri... La verità è che nessuno di noi soldati si era reso conto di aver varcato un confine da cui non si rientra... Pensai a qualche migliaio di morti, non alla fine dell’umanità».«Mai potrei dimenticare quel silenzio notturno che mi privò, per tutta l’eternità, del desiderio di vivere - scrive ne La notte il Nobel Elie Wiesel, internato nei campi, sopravvissuto, testimone lunedì scorso davanti ai rappresentanti di tutti i Paesi del Mondo, in seduta plenaria al Palazzo di Vetro dell’Onu -. Mai dimenticherò quei momenti che uccisero il mio Dio e la mia anima, e ridussero i miei sogni in polvere. (...) Dov’è Dio adesso? E udii una voce dentro di me rispondere. Eccolo lì: appeso a quella forca».