Il Rigattiere

Post N° 17


II “Si, si, autogestione, quello” Una volta a scuola, durante un’autogestione, uscimmo discendendo le grondaie. Il mio era un ricordo di divertimenti, botte, discussioni; professori feriti, giornate perse, celerini incolonnati fuori all’ingresso tranne che nei giorni delle grandi risse; allora, la “pula”, arrivava alla fine, quando ci eravamo scornati per bene: una volta li vidi raccogliere i legni di una splendida ringhiera bassa, devastata, e rimetterli scrupolosamente nel portabagagli fino a riempirlo; li immaginai la sera a casa davanti al camino con la famiglia a ridere e scherzare della giornata. “Beh! Entrate e ve ne andate. Siete in vacanza insomma” Mi resi conto che il tono ed un linguaggio non erano quelli che usavo solitamente. “Magari. Appello e contrappello”. Francesco sembrava parlare con Paperino. Mi venne da sorridere. “Tipo sotto il militare, insomma” “Tipo, sì” “Cioè?” Non riuscivo proprio a capire che ne sapesse della vita militare; poi pensai ai film: ai libri no, non sembrava tipo da lettura. “Cioè! La mattina si va in classe e la prof fa l’appello. Poi si fa autogestione e si sceglie quali aule occupare. Si gioca a carte, qualcuno si fuma uno spinello.”, si interrompe e sorride “Gepo, uno della classe nostra, ha attrezzato una sala per la musica, che forza” “Beh, grande, te suoni qualche cosa?” Mi guarda attento per capire se lo sto prendendo in giro. “Disco. Ha attrezzato tutto. Piatti, ciddì. Una discoteca insomma” Sorride il cinghiale. “Strana come occupazione”, mi fermo a riflettere, “cosa hanno a che fare i prof con l’autogestione. Poi l’appello, il contrappello” “L’hanno deciso quelli delle quinte. C’hanno strizza pè l’esami e hanno concordato in Consiglio d’Istituto l’autogestione”. Sarah riapre la porta giusto in tempo per evitare che sprofondi nella malinconia. Con la porta aperta all’improvviso entra un frastuono di grida, corse e problemi. La vedo girarsi verso la via e mettersi le mani alla bocca. “Oh mio Dio” Mi precipito verso l’uscita. Poco più avanti c’è in atto una colluttazione. Quattro, cinque signori colpiscono ripetutamente un ragazzo vestito di jeans finché non cade a terra. Le urla rendono incomprensibile comprendere. Si sta formando una calca. Tra la gente intravedo il ragazzo accasciato e ricurvo preso a calci. Corro verso di loro. “Brutto stronzo, quelli come te dovrebbero metterli in galera e buttare la chiave” Mi faccio strada tra la folla e chiedo ad una signora se sa qualche cosa. “Ha scippato una donna e l’anno preso. Gli stanno dando quel che si merita” Il ragazzo sputa sangue sul lastricato” “Basta, basta pazzi lo state massacrando” “Fatti i cazzi tuoi, a mia moglie quasi gli prende un colpo” Li vedo accanirsi. Gente comune, impiegati, funzionari, commercianti, studenti. Gente che non farebbe male ad una mosca ma mossi da un’ira repressa che, penso, poco abbia a che fare con il furto. “Sti extracomunitari dovrebbero riportarli tutti a casa loro”, strilla un signore agitando l’ombrello. Faccio fatica a pormi tra loro ed il ragazzo. “Ma che cazzo vuoi”. Il viso dell’uomo è violaceo, i suoi occhi sono ebbri di rabbia, vorrebbe colpire anche me. “Così l’ammazzate!” “Lascialo stare, dai retta al signore, non ti mettere nei guai!” La donna cerca di trascinare via il marito tirando il cappotto come una fune ai giochi di paese. Altre grida, altre parole, altri calci. http://www.artonline.it/xx_opera.asp?IDOpera=814