Musical age

Desideria


Lo sai, a volte capita di vivere in un incubo e crederlo un sogno, capita di non voler vedere il cambiamento, il giorno che diventa notte e la notte furia. Il tempo, in questi casi, è un optional. Una stanza senza tempo, mobili semplici, rustici, genuini. Da sotto il grande tavolo quadrato, di noce antica, partiva un suono dolce senza parole e qualcosa se ne stava seduto a giocare. Se qualcuno avesse guardato sotto, sollevando la tovaglia, avrebbe scoperto un tesoro dal naso all’insù. Quel cielo legnoso era la sua compagnia, le schegge le sue stelle. Quel cielo quadrato le regalavano protezione, tranquillità e sogni. Da sempre era bello divertirsi sotto gli alberi quadrati, dentro le loro radici, sotto la loro volta. Si trastullava, Desideria, con i fiocchetti della frangia della tovaglia di cotone che pendevano molli e monelli, verso il pavimento di pietra grezza. Fiocchetti uguali e diversi allo stesso tempo, ricchi d’immagini conosciute e nuove. Una vecchia tovaglia bianca, di Fiandra, su cui erano sistemati cibi esotici e nostrani. Ananas accanto a patate e datteri insieme a cotechini; latte e prugne, mango, banane e pane. Ricchezza di una volta, di un momento costruito e voluto per anni. I nastrini ed i fiocchetti erano pronti ad essere interpretati nei modi più svariati: la bimbetta era preda della propria fantasia e, quando si ha nulla, è facile creare. Creare riempie la vita che se ne va . Il visino in alto, il cuore pieno, i capelli d’ebano: era una bimba da assaggiare, da provare. La mamma le diceva sempre che aveva un odore di cioccolata e la baciava, mordicchiandole le guanciotte. Desideria era nata in una notte interpretata dall’ultima magia di un mago stanco. Le magie, si sa, vivono a mattino pieno, quando la freschezza degli anni è pari alla voglia di vivere. La stanchezza di un mago rattrista l’aria che respiriamo e diventiamo le ombre dei nostri domani. Genitori grandi, vecchi nell’anima, senza Peter Pan nelle tasche, ma che per un caso del destino si erano ritrovati una piccola creatura sconosciuta da crescere tra mille incertezze e molte illusioni, erano papà e mamma della sua fiaba. Desideria aveva l’aria di un campo fiorito. Occhi grandi per vedere tutto, naso aperto per annusare  ed una bocca di rosso vestita per assaggiare. Avresti potuto raccogliere i suoi petali rinnovati in ogni attimo del giorno e della notte. Ora era sotto un tavolo ed il suo mondo si esauriva in pochi metri quadrati, ma perfetti. Le briciole che cadevano da lassù avevano un sapore disordinato e unico, esattamente come i cibi sul tavolo ed i fiocchetti. Le capitava di assaggiare  ogni sapore con l’intensità di gusto di un sommelier: era questo il gioco, scoprire forme e aromi di ogni possibile cibo. Aveva iniziato da piccola, Desideria,a scoprire il mondo attraverso i suoi sapori e ancora non aveva finito. Aveva cominciato assaggiando il pane ed il legno ed era arrivata ad assaggiare pezzi di cielo. A diciotto anni Desideria era  una strana signorina, ma la sua bocca aveva assunto la forma strana di un’ aspirapolvere: tutto entrava e niente usciva. Labbra a canotto ben disegnate e denti bianchissimi, una lingua lunga e sormontata di papille affezionate. Bellissima e bruttissima, chi avrebbe potuto dire ? Certo una singolare creatura di fango e cielo. Passava le sue giornate Desideria, tra un incontro di pallavolo ed una merenda con gli amici, tra un libro di chimica ed un appuntamento in riva al Po. Nello spogliatoio della palestra, la ragazza sfoderava le sue armi e cominciava ad annusare a pieni polmoni tutti gli odori di colla, plastica, legno,deodorante, puzza di scarpe, nauseanti calze d’annata, vetro e parquet;  a fine partita, senza essere vista, erano sue le magliette sudate delle compagne. Ad ognuna cercava di dare un nome, voleva provare a se stessa che gli odori erano innumerevoli e che da ciascuno si sarebbe potuto provare una sensazione unica. La merenda con gli amici era un altro fondamentale momento: in quell’occasione  era la sua bocca che si riempiva di saliva e si gonfiava, proiettava umori dalle papille e si preparava ad assaggiare nuovi gusti e novi sapori. Si partiva con pane e salame che, prontamente, diventava salame e cioccolata e pane con ciuffi d’erba e marmellata; si continuava con formaggio spalmato su pasticcini di frutta e datteri con burro, noci ed un pizzico di sale. Le feste di compleanno erano momenti grandiosi e sublimi per provare a se stessa abilità nuove nascoste tra le dita; maneggiava la pasta  con l’abilità di un mastro vetraio e ne uscivano raffinati cestini leggeri come aria contenenti fragole e mandorle; si adoperava per farcire mele con biscotti, provocava caverne nei provoloni e vi celava ciliegie e miele; era solita forgiare campanelli di caramello che suonavano davanti alla porta mossi dal vento; palle colorate con zucche , fichi, prosciutto, arance. Mentre i commensali mangiavano, tra sbigottimento e curiosità, lei li osservava, si beava dei loro movimenti, delle smorfie profonde e, dopo aver innaffiato tutto e tutti con abbondante vino bianco misto a marsala, passava con la sua ampolla a suggere i pensieri, distillare i momenti migliori e ad acchiappare qualche lacrima cristallina e d’annata. Era  maestra di cerimonie ed il tutto era alleggerito da musiche di violino.    Qualsiasi altra persona sarebbe inorridita davanti a tanta sconfinata scelleratezza, ma lei, Desideria era esaltata da ogni nuovo gusto, da ogni situazione particolare; si era abituata a dimenticare gli orrendi mal di pancia, i mal di stomaco frequenti e le nausee che, spesso, erano provocati da questa confusione alimentare. Si sentiva una Dea, perché nessuno osava provare quello che lei osava fare. A scuola le formule di chimica servivano a creare nuove pietanze, nuove assonanze, nuance del sapore umano. Aveva costruito, Desideria, un’altra specie di ampolla con la quale raccoglieva ogni essenza, ogni aroma, qualsiasi momento le appartenesse più di un altro. Era riuscita, nel tempo, a differenziare gioia e dolore e raccoglieva queste sensazioni in due diverse bottigliette. Ampolla nera, umor nero; ampolla bianca umor sacro. In modo ordinato e selvaggio aveva suddiviso il mondo, i suoi odori, i suoi sapori, le sue cattiverie e le sue bontà; aveva guardato dentro l’animo umano, da vero speleologo e ne aveva ricavato odor di vergogna, essenza di fatica, crema d’invidia, latte detergente di purezza. Incantavano i suoi movimenti cremosi e suadenti. Se qualcuno la guardava sapeva di doversi aspettare prove e cerimonie di tutto rispetto.   A trent’anni Desideria aveva acquistato un barcone sul Po, fermo da secoli, abbracciato più alla terra che all’acqua. Passava lì molto del suo tempo e solo i veri adepti avevano possibilità di farsi avanti. Rimasta presto sola, quello era il suo rifugio, la sua culla, la sua stella cometa lontano dal banale mondo. L’odore del pesce l’affascinava, le dava un tremore sottile e frequente; sapeva che i fiumi, i mari, i laghi vivono in modo parallelo alla terra ed era anche convinta che, in un prossimo futuro, sarebbe riuscita a mescolare formaggio e luccio, funghi e siluro; sapeva del suo potere e nella mente si materializzavano le creme più raffinate ed i lucidalabbra più ricercati. L’acqua sapeva di donna e le somigliava: stesse vibrazioni, stessi pensieri, stesso paradiso. Spesso pescava e lo faceva di notte quando dei pesci poteva raccogliere anche i bagliori di luna sulle scaglie. L’agonia di un persico che si dibatteva creava dentro di lei la voglia suprema di creare un profumo all’ultimo tango: preparava pezzetti di carne macerati con finocchio selvatico, saliva e luce di fiume; strizzava la vita e la morte e ne ricavava un distillato puro aggiungendo una goccia del suo sangue, cannella e fior di loto.    Aveva ricavato una specie di laboratorio di analisi in una parte piccola e segreta del barcone, nel quale continuava i suoi esperimenti. Quello con il pesce era stato il primo e non era mai soddisfatta del proprio lavoro: provava e riprovava, toglieva e metteva, misurava, aggiungeva, odorava ed assaggiava e, con caparbietà, cercava il giusto calore di cottura e sublimazione, il corretto grado di freddo per la conservazione. Desideria era una maga-giocoliera, aveva mani nodose e antiche di strega ed un viso fosforescente nella notte.   Di mattina presto e fino a sera tardi potevi vederla vagare in cerca di erbe, sassi, fiori,uccelli, sabbia da usare come elementi magici per il suo pentolone. La donna cominciava ad assomigliare a ciò che creava: non era raro vederla di un colore verde-palude e qualcuno,ormai, in paese era sicuro di averla vista contorcersi come una serpe d’acqua, durante le albe autunnali. Alcuni appuntamenti erano avvenuti in questo luogo:Desideria era in grado di modificare l’arredamento del suo barcone in base all’incontro d’amore che viveva. Con avvolgenti alchimie del cuore regalava amore. La volta in cui Giovanni ,il macellaio, la montò fu dentro un film noir, con odori e sapori di sangue e sudore, con fiori rossi e pane al papavero; a terra tappeti di frange bordeaux. I rumori erano quelli del drago ferito, di un tramonto di fuoco, dei pomodori maturi quando cadono a terra. Poi fu la volta del fornaio e lei lo accolse nuda e sporca di farina, calda e fragrante come una rosetta francese; indossò profumo di lievito e mise alle pareti spighe di grano e sacchi di iuta. Le sensazioni che provava erano simili ad un afrodisiaco, pari ad una droga potente, erano momenti che le permettevano di leccare, succhiare, assaggiare, mordere la vita. Quando incontrò Leo, lo spazzino, lo invitò ad entrare: era già pronto per loro un tappeto di foglie multicolori, un’essenza di pioggia intorno ed un budino di nebbia, panna ed uccelli migratori. Dal barcone i suoni arrivavano lenti, veloci, concitati e pigri e suggerivano al mondo l’unica verità: quella dello scambio della pelle e del cuore. Don Dino ci mise più tempo  a capire l’arte di Desideria, ma una volta entrato fu come vivere una vertigine: Desideria era sorella Speranza, era suor Carità, era Maria Maddalena. Fu lei che cominciò a baciarlo, in modo leggero sul collo e sugli occhi, lo assaggiò appena e sentì il salato della sua pelle ed il rosso vergogna sulle sue guance di fragola. Si abbassò tra i fiori bianchi e le candele e leccò il suo petto, senza fretta,accarezzandolo per allentare l’imbarazzo. A braccia aperte, sul pavimento di legno era crocifisso Don Dino da un angelico demone senza storia. Desideria lo possedette con i ritmi dell’acqua di fiume, assaporando le lacrime dell’uomo, non così salate e non proprio dolci; come un’onda si muoveva, in un andirivieni celeste d’acqua e di cielo. I salmi ed i canti gregoriani si mischiarono ai loro sapori e Desideria trovò emozionante mordere pezzetti di pelle, come per affermare il suo potere, come per stringere a sé la preda. I suoi odori furono i più puri, i più giovani e spensierati e lei si ubriacò di lui, lo colse e lo bevve per un intero giorno: vide spuntare l’alba su di lui e lui pregò per lei, il mattino dopo, prima di andarsene. Rimasta sola, lei si trasformò come non avrebbe mai pensato si potesse: diventò lunga e sottile come il fiume, alta e multibraccia come i pioppi intorno; le nacquero piume e poi più nulla; ali e poi più nulla; la bocca diventò muso ed il muso grufolò, cercò fiori e tartufi, il cuore diventò quello di uno scricciolo e poi quello di una belva, una sanguinaria pantera di  pianura in cerca di sacrifici umani e divini. Ancora si era trasformata Desideria, ancora e ancora… Ora avrebbe voluto diventare enorme ed avere in tasca i suoi amanti ed avrebbe voluto diventare piccola per intrufolarsi dentro i suoi amanti ed invisibile per tormentarli di piacere nei momenti più impensati. Desideria era sempre più rosa, sempre più multiforme e sempre più senza forme. Provò a diventare cane e porco, gatto e pesce, luna e sangue… Dopo mesi di sensazioni pure e vita dentro l’universo, Desideria era solo una grande bocca di sole, era la voglia pura di trasmettere la sua vita ad altre vite: poi, un giorno d’inverno, inaspettatamente, si sciolse e di lei  rimase una schiuma leggera ai piedi del barcone. Con lei si dissetarono gli aironi, i monti dei sogni ed i barcaioli nelle sere tarde dell’estate. Capelli d’ebano e cuore al cioccolato a sfamare gli uomini dai tabarri antichi.