Creato da axmm il 25/08/2009

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4 VOLTE SI!!!!

Post n°27 pubblicato il 05 Giugno 2011 da axmm
Foto di axmm

di  Otta Von Bass


Manca all’incirca una settimana alla votazione per i quattro referendum abrogativi di interesse nazionale e se in rete la loro importanza è stata più e più volte sottolineata, così non è stato sui media maggiormente accessibili a tutti, come le reti televisive o i giornali.

Se in questa parziale censura vogliamo vedere l’intenzione di tenere allo scuro i cittadini circa i motivi del voto e non raggiungere così il quorum del 50% + 1 di chi ha diritto di voto, necessario all’approvazione del referendum, nel nostro piccolo ci pare doveroso invitare quante più persone ad andare a votare, perché questa volta ne va davvero del nostro benessere.

Al seggio ci verranno consegnate quattro schede di colore diverso, che non dovranno essere sovrapposte mentre apponete il voto, poiché hanno le qualità della cartacarbone e la presenza di eventuali segni potrebbe causare l’annullamento della scheda stessa.

I primi due quesiti (scheda rossa e scheda gialla) riguardano la privatizzazione e la possibilità di lucro dell’acqua. Votando sì decidete di abrogare le norme che prevedono gare di appalto per affidare i servizi pubblici locali a enti private e, nel secondo caso, le norme che stabiliscono il prezzo per l’erogazione dell’acqua. In parole povere, farete in modo che l’acqua del sindaco, come viene scherzosamente chiamata, non venga gestita da privati che potrebbero speculare sul liquido blu, obbligandoci a pagare tariffe altissime per un bene vitale. Senza troppa fatica potrete trovare informazioni sui luoghi in cui la privatizzazione era passata e che ora vogliono tornare all’amministrazione pubblica, non solo per via dei costi insostenibili, ma anche per la situazione che viene a crearsi con la siccità, quando si assiste anche a forzati razionamenti, con le conseguenze che potete immaginare.

Il terzo quesito (scheda grigia) riguarda l’abrogazione delle norme che consentono di produrre energia nucleare in territorio italiano. Non per sempre, come alcuni sostengono, ma almeno per i prossimi cinque anni. Se votate sì decidete per l’utilizzo di altri tipi di energia meno pericolosi e per le cosiddette fonti rinnovabili, anche se l’Italia potrà continuare a comprare energia dagli stati vicini che sfruttano il nucleare. Tutti avete sotto gli occhi le immagini dei reattori di Chernobyl e Fukushima, ma forse non tutti sapete che i nostri impianti sono obsoleti e poco sicuri e che la maggior parte del territorio italiano è a rischio sismico (nonché a rischio Tsunami nelle regioni più meridionali!): le regioni al sicuro dai terremoti, come Sardegna o Lombardia, inoltre si sono già dette contrarie a ospitare centrali sul loro territorio. Ricordate che le radiazioni sono un pericolo subdolo, non le vedete, ma i loro effetti agiscono su di voi anche per anni, causando tumori e malformazioni e mutazioni sugli esseri viventi e inquinando il terreno e le falde acquifere. Se non siete convinti o volete convincere qualcuno su quanto sia pericolosa l’energia atomica potete trovare su internet i dati sulle malattie infantili, anche in bambini appena nati, e le immagini esplicite, e molto forti, quindi fate attenzione se siete particolarmente sensibili, dei danni causati dalle radiazioni, immagini che, a mio parere, valgono più di qualsiasi trattato.

Infine, il quarto quesito (scheda verde) prevede l’abrogazione “di norme della legge 7 aprile 2010, n. 51, in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale, quale risultante a seguito della sentenza n. 23 del 2011 della Corte Costituzionale”. Tali norme sono considerate anti-costituzionali poiché rendono il Presidente del Consiglio e i Ministri diversi dai “normali” cittadini di fronte alla legge, che dovrebbe essere uguale per tutti: tali cariche, infatti, possono usufruire del legittimo impedimento, nascondendosi dietro il proprio ruolo, per sfuggire a procedimenti legali che li vedono coinvolti, anche adducendo scuse francamente risibili, cosa che, se protratta negli anni, potrebbe portare alla prescrizione dei procedimenti medesimi. Votando sì decidete che la classe politica italiana, pur nella sua importanza, è uguale alla persona più umile in ambito legale, com’è giusto che sia in un paese democratico.

Per concludere, vi invito di nuovo ad andare a votare e, se potete, portate anche chi non vorrebbe spiegandogli perché stavolta il referendum è un diritto, ma soprattutto un dovere di tutti. 

 
 
 

Lorena Fisicaro (Lureika Lu Arte)

Post n°26 pubblicato il 16 Marzo 2011 da axmm
 
Foto di axmm

 

a cura di Massimo Mercuri

 

L'artista qui recensita espone una sua opera nella mostra chiamata “Frammenti di note”.

Passiamo comunque a un’ analisi più ordinata:

 

L'artista:

Conosco l'artista da poco tempo, ma quello che mi colpisce di lei è la forte passione per l'arte, per quello che dipinge o disegna. Ci sono persone che respirano arte e trasmettono questo anche nelle piccole cose. Definire in poche parole la sua arte e come cercare di definire una personalità artistica con una manciata di parole, molto resta fuori dalla descrizione.

Chiedendole di descriversi si “disegna” con queste parole:

Artista siciliana, autodidatta, scelta dall’arte, ha fatto numerosi percorsi che, distraendola, l’hanno portata lontana da se e dalla sua arte.. ma la propria natura deve essere, per necessità, innanzitutto assecondata.
Presa da folgorante vocazione sta finalmente ritornando al suo personale percorso artistico.


 L'opera:

L'opera qui presentata è solo una, la prenderò come pretesto per descrivere anche il modo e le tematiche dell'artista (almeno nelle opere che ho visto).

Intanto alcuni artisti che probabilmente sono stati di ispirazione all'autrice, e ai quali mi sento di accostarla, come stile, come temi usati, come resa espressiva, sono Mark Ryden, Edward Munch, Karen Thole, e Tim Burton. Per quale motivo ho accostato la nostra artista a questi nomi? Di Ryden ricorda l'impianto scenografico che riesce a rendere, nelle figure da lei rappresentate, un’ atmosfera mista tra il fiabesco e il surreale e allo stesso tempo concreta e quotidiana. Di Much richiama l'influenza immediata dello stato d'animo nell' opera, l'incisività. Della Thole, in particolare in alcuni ritratti in cui la fantastica illustratrice rende perfettamente la natura “duplice” dei soggetti ritratti, i volti asimmetrici, lo sfaldarsi della superficie per rendere evidente quella che è la vera natura, a volte decrepita, a volte decadente, a volte unicamente diversa da quella mostrata...

Di Burton invece l'umorismo, la passione un po' giocata tra il dark (quello puro) e l'ironico. Se fosse un autore letterario direi che è somigliante allo stile dello stesso Burton o di Roald Dhal.

 

 

L'opera su cui mi soffermo in questo commento è quella che compare in questa collettiva, il titolo è “Il putto”, un disegno a tecnica mista su carta.

Il gioco della maggior parte delle opere che ritraggono figure antropiche è tutto negli sguardi, nei dettagli, nei particolari. Aristotele diceva che gli occhi sono lo specchio dell'anima, in questo caso sono lo specchio dell'anima dell'autrice. La natura duplice, molto più complessa di quello che rappresenta la superficie, si presta ad una vasta gamma di interpretazioni psicologiche. Anche l'utilizzo del tema stesso, il putto, tema squisitamente caro dalla pittura rinascimentale in poi, è l'allegoria per antonomasia. Forse in questo caso è anche lo spirito dell'autrice che raccontando di sé per immagini si sente bambina (o bambino visto che è un maschio).

Sempre nella sua natura allegorica, e duale come dicevamo per quanto riguarda il suo spirito, suggerito dal suo sguardo, rappresenta nella miriade di significati anche le due opposte ma complementari modalità di essere, l'intuizione e la poesia, la legge e il capovolgimento delle norme, il dionisiaco e l'apollineo... un altro richiamo alla classicità. Platone diceva che la bellezza si trova nella proporzione e nella misura, ma diceva che ciò che è asimmetrico è interessante.

L'opera si presta anche a molteplici interpretazioni di tipo psicologico e questo sia involontariamente sia per un personale gusto dell'autrice.

Infine l’allegoria del putto può rappresentare anche il percorso artistico dell'autrice, in questo momento ancora “in via di sviluppo”, se queste sono le premesse credo proprio che di questa artista sentiremo ancora parlare.

 

 

L'opera è contenuta nella mostra “Frammenti di note”, che si svolgerà nella galleria Lomax - via Fornai 44 - Catania, Italia

Inizio: Venerdì 11 Marzo 2011 h.19.30

Performance d’improvvisazione: h.21.30

Durata: fino al 13 marzo

Orario: Sabato e Domenica dalle 20.30 in poi

-Ingresso libero-

 

 

 
 
 

YARA-MARIA GORETTI

Post n°25 pubblicato il 09 Marzo 2011 da axmm
Foto di axmm

 A cura di OTTA VON BASS

Non intendo aggiungere ulteriori speculazioni sulla drammatica fine della tredicenne Yara Gambirasio, la ragazzina di Brembate trovata morta sabato scorso dopo tre mesi dal suo rapimento, ma voglio dire la mia su certe affermazioni che rasentano l’offesa.

Qualche giorno fa il giornalista Antonio Socci, dalle pagine di Libero, ha paragonato la vicenda di Yara a quella di Maria Goretti, la sua coetanea santificata nel 1950 perché aveva resistito alla violenza sessuale del suo assalitore, che l’aveva quindi pugnalata più volte con un punteruolo.

Nel corso degli anni Maria Goretti è diventata il simbolo cristiano della donna che difende a costo della morte la propria verginità, che muore pura in difesa dei suoi valori, e proprio sui due principi di purezza e santità ha insistito Socci. Anche se non sappiamo ancora se la morte di Yara è stata provocata dal movente sessuale.

A parte il fatto che la giovane santa non è morta immediatamente e in ospedale, dove era stata immediatamente ricoverata, aveva perdonato il suo assassino, anzi, aveva detto di volerlo con sé in Paradiso, e quelli erano tempi meno “liberi” (si parla del 1902) per la morale, ma quale donna, credente o atea, vergine o no, giovane o vecchia, non si difende di fronte all’aggressione?

Ora obbietterete che il 50% delle vittime non reagisce per la paura di essere ucciso. Ma quello è principio di sopravvivenza, non timore o no di perdere la propria verginità.

Mi pare si voglia strumentalizzare questo fatto orribile a favore di un valore, che è sì importante, ma non più fondamentale per la società, a favore del pensiero della Chiesa, ma lo si faccia in maniera superficiale e ipocrita, visto tutto quello che ci circonda.

Secondo questa lettura le donne che vengono uccise sono tutte in odore di santità e quelle che hanno la fortuna (o la sfortuna, porteranno con loro un trauma terribile per tutta la vita!) di sopravvivere sono delle poco di buono che si sono lasciate stuprare?! Soprattutto a fronte di certe affermazioni di alti prelati che hanno sostenuto che alcune donne, con il loro modo di fare o di vestire, provocano i loro assalitori. Questo non è nemmeno maschilismo. Peccato non possa dire cosa è in realtà per paura di denunce.

Io credo che ognuno di noi sia libero di fare quello che vuole se ciò non comporta un danno per gli altri.

Una donna ha il diritto di indossare jeans attillati senza che certe menti malate la vedano come un oggetto di piacere. Una donna ha il diritto di perdere la verginità quando sente di aver trovato la persona giusta senza diventare una peccatrice additata dalla comunità. Una donna, una ragazzina, ha il diritto di accettare un passaggio in buona fede senza dover avere paura di quello che succederà dopo.

Soprattutto una donna non deve subire tutto ciò e passare dalla parte del torto! Sono i colpevoli di questi crimini quelli che sbagliano, il male è nei loro occhi che vedono ciò che vogliono, non in un jeans o in una minigonna, queste sono solo le scuse che si danno per giustificarsi.

Già ci pensa la nostra mente a farci provare sensi colpa e vergogna, non c’è bisogno che lo facciano anche gli altri, come se avessero il diritto di giudicarci e dirci cosa è giusto e cosa è sbagliato. Anche la Chiesa non deve arrogarsi questo diritto quando va contro la libertà personale di ognuno di noi, può difendere il suo modo di vedere le cose, ma non può imporlo a chiunque.

Probabilmente il signor Socci non pensava tutte queste cose mentre scriveva il suo articolo, pertanto, se volesse farci conoscere il suo vero pensiero, anche se dubito leggerà mai questo post, non deve far altro che farci pervenire una smentita.

TIE’, GIORNALISTA DI LIBERO, PRRR!

 

 
 
 

Waking Life

Post n°24 pubblicato il 04 Febbraio 2011 da axmm
 
Foto di axmm

di Axmm

recensione:

 

Titolo originale

Waking Life

Paese

USA

Anno

2001

Durata

99 min

Colore

colore

Audio

sonoro

Genere

animazione, drammatico, fantastico

Regia

Richard Linklater

Soggetto

Richard Linklater

Sceneggiatura

Richard Linklater

Animatori

Jason Archer, Paul Beck

Fotografia

Richard Linklater, Tommy Pallotta

Montaggio

Sandra Adair

Musiche

Glover Gill

Scenografia

Bob Sabiston

 

Waking Life - Risvegliare la vita è un film girato in rotoscope. È del 2001. L'intero film è stato girato usando video digitale su cui successivamente una squadra di artisti - tramite computer - ha disegnato linee stilizzate e colori per ogni fotogramma. Questa tecnica (chiamata Rotoshop) è simile in certi aspetti allo stile di rotoscope del regista Ralph Bakshi, stile inventato a sua volta negli anni venti.

Il titolo è un riferimento alla massima di George Santayana che dice "[s]anity is a madness put to good uses; waking life is a dream controlled" ("l'esser sani di mente non è che pazzia tesa al buon uso; la vita da svegli è un sogno sotto controllo").

 

La trama

 

Waking Life tratta la condizione di un giovane che si trova persistentemente in uno stato onirico. Il film segue il protagonista mentre osserva - e più tardi partecipa a – discorsi di filosofia che tessono insieme temi come apparenza e realtà, il libero arbitrio, le relazioni con se stesso, le relazioni con gli altri e il senso della vita. Nel corso del film si toccano altri argomenti, come l'esistenzialismo, il postumano e le teorie di Andrè Bazin. Si parla di un sagglio di Philip K. Dick, Come costruire un universo che non cade a pezzi due giorni dopo, introduzione alla sua raccolta di racconti brevi Spero di arrivare presto.

Con il tempo, il ragazzo giunge alla conclusione di star sognando e di essere incapace di svegliarsi. Uno dei temi principali è infatti il sogno lucido. Questo non è altro che, come viene spiegato nel film, una diversa condizione di coscienza che permette al sognatore (chiamato onironauta) di prendere coscienza del fatto che sta sognando.

Verso la fine il film si fa più cupo, il protagonista infatti teme di esser morto. Questa convinzione deriva da credenze di antichi popoli, da particolari nozioni che la gente incontrata gli dice direttamente o indirettamente.

Da questo punto di vista il film ricorda Accadde al ponte Owl Creek di Ambrose Bierce.

Il film in sostanza si incentra non tanto sulla trama, che è un delirio quasi inesistente, quanto sui dialoghi, o sui monologhi a seconda dei punti di vista. I riferimenti per cinefili qui nascosti sono my dinner with Andrè di Louis Malle, Mindwalk di Capra e forse per i dialoghi interminabili e di taglio filosofico ricorda Slacker di Richard Linklater.

Con questa recensione spero di inaugurare una serie di piccole recensioni di film che a mio parere vale davvero la pena di vedere.

Questo è un film che ritengo indispensabile da vedere, ovviamente sempre nel mio piccolo. Se questo ed altri film che intendo segnalare saranno anche per voi indispensabili, di vostro gradimento o totalmente inutili mi piacerebbe saperlo attraverso questo post.

Grazie e buona visione ;)

 
 
 

LA LEGGENDA DEI 36 GIUSTI

Post n°23 pubblicato il 02 Febbraio 2011 da axmm
 
Foto di axmm

 

Di Otta von Bass

 

Da poco si è celebrata la Giornata della Memoria in ricordo di tutte le vittime del Nazifascismo; la data scelte, il 27 gennaio, commemora l’apertura dei cancelli del tristemente famoso campo di concentramento di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa nel 1945.

Sebbene la maggior parte delle persone tenda ad associare gli innocenti periti in nome di ideali folli e disumani con la popolazione ebraica, prima di continuare a parlare di una leggenda proprio di tradizione ebraica, vorrei ricordare anche le altre vittime morte in lager o durante eccidi o regolamenti di conti, persone ed etnie non conformi alla dottrina ariana: portatori di handicap, malati di mente e Pentecostali (la loro glossolalia era considerata una malattia psicologica), che avrebbero potuto inquinare il sangue puro del perfetto tedesco; gli oppositori politici, comunisti, massoni o semplicemente anti-nazisti; le cosiddette “razze inferiori”, come i polacchi, gli slavi e le popolazioni zingaresche; gli omosessuali; i Testimoni di Geova; i prigionieri di guerra (soprattutto sovietici).

Secondo le stime più di 17 milioni di persone sterminate sistematicamente a cui deve andare il nostro ricordo perché le future generazioni, sempre più distanti nel tempo da questi fatti terribili, non dimentichino quanto in basso può spingersi l’animo umano.

Come anticipato, però, tratteremo della leggenda ebraica dei 36 Giusti, che trae spunto da un passo della Bibbia (Genesi 18, 20-32), quello che racconta la nota vicenda delle città di Sodoma e Gomorra. In uno dei rari episodi in cui la giustizia divina viene messa in discussione dall’uomo, Abramo inizia una trattativa con Dio affinché non distrugga le due città a condizione che vi dimorino cinquanta giusti; conoscendo le abitudini dissolute dei cittadini Abramo “tira sul prezzo” e ottiene la salvezza delle città qualora vi siano almeno dieci giusti, ma evidentemente, visto come sono andati i fatti, nemmeno un numero tanto esiguo di innocenti vi dimorava.

Per nostra fortuna, la leggenda non ha un esito così drammatico, ma anzi spiega come mai Dio non abbia più portato distruzione sul mondo, in seguito al diluvio universale, per punire il genere umano di tutti i suoi peccati, nonostante alcuni di essi siano veramente al di là della nostra concezione (ma forse non al di là di quella del Signore?): generazione dopo generazione, in ogni momento della storia, sulla terra ci sono trentasei Giusti, per amore dei quali Dio risparmia l’intera umanità.

La loro identità è sconosciuta, neppure loro stessi sanno di essere tanto importanti, ma sanno riconoscere il male e le sofferenze e se ne fanno carico perché non possono tollerare simili ingiustizie proprio per il loro innato status di Giusti.

Si ritiene che l’anonimato serva a facilitare l’accettazione di questa leggenda, poiché il Giusto deve apparire almeno nell’immaginario come un simbolo, un essere caratterizzato da elementi difficilmente raggiungibili dall’uomo della strada, e non “uno qualunque” con il suo nome e cognome, il suo lavoro, la sua famiglia…

Questo è un artificio ricorrente nel mondo della fiction, basti pensare a una figura leggendaria come quella di Guglielmo Tell: non si sa di preciso se l’eroe nazionale svizzero sia esistito realmente o no, ma a ben guardare che importa? Non dobbiamo focalizzare l’attenzione sull’uomo in carne e ossa, quanto piuttosto sul messaggio che si può trarre dalla sua storia.

Lo stesso discorso vale per personaggi sicuramente inventati, come per esempio i supereroi dei fumetti, la maggior parte dei quali nasconde sotto una maschera la propria identità segreta; quest’aura di mistero porta l’eroe in una dimensione diversa rispetto a quella del cittadino e soprattutto evita quella certa delusione che possiamo provare vedendo da vicino qualcuno che avevamo mitizzato.

Infine, per rimanere in un ambito più spirituale, pensiamo ai santi lontani nel tempo da noi e a quelli vissuti in epoca moderna. I primi possiamo tutt’al più vederli in alcune raffigurazioni, spesso posteriori, o pregarli davanti alle loro reliquie e troviamo più facile immaginarli come modelli di ogni virtù, idealizzati più che reali. Dei secondi, invece, abbiamo svariate informazioni, fotografie e, nel caso di nostri contemporanei, filmati, li abbiamo sentiti parlare e li abbiamo visti muoversi, alcuni di noi hanno potuto incontrarli e tutto questo non ci permette di portarli in una dimensione ultraterrena, cosa che, comunque, nulla toglie alle loro azioni e ai motivi per cui sono stati portati all’onore degli altari.

Un’altra questione sorge a proposito dell’anonimato del Giusto, ovvero quali devono essere le sue caratteristiche? Possiamo dire tutte e nessuna, visto che non ci sono distinzioni di sorta tra uomo e donna, ricco e povero, bianco e nero… Un’ampia scelta di circa sette miliardi di persone per trentasei posti. Non c’è nemmeno una differenza di religioni, il Giusto può essere ebreo, ma anche cristiano o musulmano, il suo agire non dipenderà da questo.

A ben guardare questa leggenda va contro l’ordine istituzionale precostituito, perché è palese il fatto che fra tutti gli enti preposti a far rispettare la giustizia in tutto il mondo ci sono molte più cariche di trentasei, anche se in questo caso parliamo di ordini gerarchici tipicamente umani, mentre dovrebbe ormai esser chiaro che l’ordine a cui si rifanno i Giusti è ben superiore a questo livello, tanto più enorme da comprendere nel suo interno l’esistenza stessa del mondo e della vita.

Il tipo di giustizia a cui si rifà questa storia non è quella a cui noi siamo portati, ovvero quella secondo cui a ogni peccato dovrebbe corrispondere una pena e a ogni peccatore, su una bilancia ideale, dovrebbe corrispondere un giusto per far sì che i due piatti siano in equilibrio.

Dio però risparmia il mondo anche se da un lato abbiamo trentasei uomini giusti e dall’altro il resto dell’umanità, una sproporzione incredibile!

Escludendo l’idea che Dio si sbagli, siamo noi a dover abbandonare quest’ottica terrena, dobbiamo smettere di misurare la giustizia secondo canoni umani ed entrare in una prospettiva più ampia che comprende appunto l’incommensurabilità.

Quella della potenza di Dio, talmente grande che qualsiasi aggettivo, anche “infinita”, non può descriverla perché la rinchiuderebbe in schemi troppo umani. Quella della sua morale, che, in ottica religiosa e spirituale, è perfetta e infallibile. Ma, spostandoci in un ambito temporale, anche quella del rapporto (o del mancato rapporto?) tra i moltissimi peccatori e i pochissimi innocenti: come fare a comprenderla? Prima di tutto dobbiamo smettere di misurare in numeri. Concentriamoci sul peso specifico, per utilizzare un termine vicino alla scienza, della moralità di questi trentasei uomini giusti, che da soli salvano il mondo: rispetto a quella del resto del mondo la loro moralità è enorme, immane, incommensurabile appunto, una moralità che non si affida alla quantità, ma alla qualità della giustizia. Così, da questo punto di vista, risulta più facile, anche se non mi spingerò a dire completamente comprensibile, capire i piani di Dio.

Il fatto che esistano sempre trentasei Giusti permette a tutti noi di conoscere la giustizia di Dio perché chi può dire con assoluta certezza di non essere mai venuto a contatto con un Giusto? Nessuno di noi, visto che non conosciamo la loro identità.

Forse sapere che da secoli esistano per ogni generazione solo trentasei uomini giusti va contro l’idea di progresso dell’uomo, soprattutto, in questo caso, dal punto di vista della coscienza e della morale. E contemporaneamente annulla il mito dell’età dell’oro, secondo cui l’uomo, ai suoi albori, visse un’epoca perfetta che progressivamente si deteriorò, fino a raggiungere il giorno d’oggi se vogliamo dar retta a questa leggenda e che purtroppo non tornerà mai più.

A mio parere non è una cosa totalmente negativa: poiché i Giusti esisteranno sempre e il mondo sempre sarà salvo, all’uomo rimane comunque la speranza di non assistere alla distruzione del tutto, grazie forse anche a se stesso. Realisticamente il male continuerà a pervadere il mondo, non possiamo avere una visione tanto ottimista da pensare di sconfiggerlo in toto, ma anche nei momenti più bui rimarrà in noi la speranza in una forza salvifica tanto potente (ricordiamo le riflessioni sulla qualità della giustizia) come il bene.

È difficile credere a questa leggenda, se un individuo subisce un’ingiustizia nella vita di tutti i giorni o anche nei tribunali non trarrà chissà quale sollievo sapendo che la giustizia comunque esiste, perché alla fine ognuno pensa al suo caso, ma dopotutto siamo esseri umani, nessuno se la prenderà se in qualche caso siamo egoisti, l’importante è non esserlo sistematicamente.

Il fatto che il numero dei Giusti della nostra leggenda sia trentasei potrebbe esser legato alle caratteristiche di questo numero, anche se non possiamo dirlo con certezza.

Dal punto di vista matematico è un numero triangolare, ovvero una cifra rappresentabile in forma di piramide con una unità al vertice, due unità al secondo livello, tre unità al terzo livello e così via fino all’ottavo (1+2+3+4+5+6+7+8=36); da notare che i pitagorici attribuivano a questo genere di numeri particolari valenze magiche e soprannaturali. È un numero abbondante, per cui la somma di tutti i suoi divisori è maggiore al trentasei medesimo (1+2+3+4+6+9+12+18=55>36). É un numero altamente composto, cioè un intero positivo che ha più divisori di qualsiasi intero positivo minore. È un numero semi-perfetto, ovvero è uguale alla somma di alcuni dei suoi divisori (36=6+12+18). È un quadrato, di 6, e anche il prodotto di due quadrati, di 2 e di 3. È un numero di Harshad, divisibile cioè per la somma delle sue cifre (9=3+6). E infine, è un numero di Friedman, esprimibile usando le medesime lettere dei numeri romani con l’espressione IX (XX/V), ma anche come VIXX/X.

Ritroviamo inoltre il numero trentasei in chimica, come numero atomico, che corrisponde al numero di protoni all’interno di un nucleo, del kripton (Kr); in musica, visto che corrisponde al numero dei tasti neri di un pianoforte e come numero delle nacchere nella “Smorfia”.

Ora vorrei fare un passo indietro per parlare dell’accezione del termine “Giusto” come forse è più noto al giorno d’oggi.

Ritorniamo a qualche decennio fa, quando l’Europa era invasa dalla barbarie nazista con i suoi ideali sulla razza ariana, che avrebbe dovuto essere la più pura se non l’unica pura. Per ottenere questo risultato fin dagli anni ’30 il Reich iniziò una campagna di sterminio contro tutti gli “indesiderati”, i più indesiderati dei quali furono gli appartenenti alla religione ebraica. Sei milioni di morti. Senza un motivo, perché sfido chiunque a prendere per buone le motivazioni dei Nazifascisti.

Ma anche in quel periodo di terrore e odio ci fu chi rischiò la propria vita, perdendola anche, per salvare un ebreo o una comunità ebraica, non importava se amico o semplice sconosciuto. La punizione per un fatto come questo era la morte del colpevole nel migliore dei casi, poiché anche i familiari potevano subire la stessa sorte, anche persone che non c’entravano niente e non sapevano niente, senza pietà neppure per i bambini. Non che ci si aspettasse pietà da chi mandava altri esseri umani alle docce di gas.

In pochi casi la giustizia e l’amore verso il prossimo avevano sfidato l’indifferenza e l’odio di molti e se allora qualcuno osò tanto, non c’è forse speranza per ogni tempo dell’uomo?

A questi eroi per lo più sconosciuti, uomini e donne normali, è stato dato l’appellativo di “Giusti tra le Nazioni”, dal termine “Gentile Giusto”, vale a dire un non ebreo che ha rispetto per Dio, che rispettano cioè alcune norme etiche, come il non uccidere o l’avere un ordinamento legislativo, ecc. In questo c’è molto rispetto anche per le religioni altrui, in quanto un uomo non deve per forza seguire i dettami della Torah ebraica, ma può anche avere un altro genere di fede ed essere considerato in maniera positiva.

Nel 1953 il Parlamento d’Israele, nato solo nel 1948 per dare una nazione a parecchi esuli ebrei che non riconoscevano più l’Europa come patria, incaricò l’Istituto Yad Vashem di Gerusalemme, un complesso che comprendeva un museo e un memoriale dedicati alla Shoah (Olocausto è un termine improprio secondo molti ebrei, poiché indica un sacrificio religioso della religione giudaica), di dare il titolo di “Giusto tra le Nazioni” (“Chasidei Umot HaOlam” traslitterato dall’ebraico) a tutti coloro che avevano rischiato la propria vita per salvare quella di anche solo un ebreo, infatti, come già visto, non conta la quantità ma la qualità della giustizia.

Oltre a questo gesto di riconoscimento e ringraziamento a nome di tutto il popolo ebraico ai Giusti, dopo esser stati esaminati da un preposto comitato che stabilisce che il loro gesto fu spontaneo, non remunerato e compiuto in territori occupati dalle forze dell’Asse, è stato dedicato nel ’62 il “Viale dei Giusti”, un grande giardino presso lo Yad Vashem, dove un albero viene piantato in loro memoria e onore secondo la tradizione ebraica di ricordare in eterno una persona cara. A partire da una ventina di anni fa, visto che lo spazio a disposizione del giardino si è esaurito, il nome dei Giusto è inciso sul Muro d’Onore che circonda tutto il memoriale della Shoah; inoltre i Giusti ricevono la cittadinanza onoraria dello stato d’Israele.

Negli anni la scoperta di nuove persone meritevoli è via via aumentato, man mano i singoli casi venivano esaminati, e a tutt’oggi sono stati riconosciuti oltre 23.000 Giusti in tutto il mondo (ben oltre i trentasei della leggenda!).

Il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano si occupa in Italia delle indagini preliminari dei vari casi e finora i cittadini italiani a fregiarsi del titolo di “Giusto tra le Nazioni” sono circa 500.

Se alcuni dei Giusti al giorno d’oggi sono noti grazie al cinema o alla televisione, basti pensare a Oskar Schindler o a Giorgio Perlasca, molti sono ancora restano nell’ombra, almeno per il grande pubblico; è impossibile conoscere la storia di tutti loro, ma sarebbe giusto, scusate il gioco di parole, leggere almeno una volta nella vita qualcosa anche sugli uomini e sulle donne a noi sconosciuti, perché l’unica cosa che possiamo fare per evitare che una simile barbarie si ripeta è ricordare.

 

 
 
 
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