In Xenetia

.12.


*Più di così,sì molto più ancorasi può restare in silenzioPer ore,con lo sguardo immobile dei cadaveri,si può fissare il fumo di una sigarettala forma di una tazzaun pallido fiore sul tappetoun vago tratto sul muroCon le rigide ditasi può scostare la tendae guardare fuori la pioggia che batte,il bimbo e l’aquilone dipintosotto il porticatoe il vecchio carroattraversare chiassoso la piazza desertaVicino alla tendasi può restare immobilisenza vedere, senza sentireCon la voce aliena e artefattasi può gridare forte“Io amo”Tra le braccia vigorose di un uomo,si può essere una donna sana e bellaCon il corpo dalla pelle tesacon i seni duri e pienisi può inquinarenel letto di uno sbronzo, un randagio, un follela purezza di un amoreSi può beffare con astuziaogni incomprensibile enigmae accontentarsi di un cruciverbaSi può essere felicidi una risposta banale di cinque o sei lettere,sì, una risposta banaleCi si può inginocchiare,tutta la vita, a testa bassa,innanzi a un santuario freddoSi può vedere Dio in una tomba ignotaSi può credere in DioPer una piccola monetaSi può lentamente marcirecome un vecchio predicarenelle piccole stanze di una moscheaSi può, come lo zero,nelle divisioni e nelle moltiplicazioni,restare sempre immutatisi può considerare il tuo sguardo di rancoreil bottone scolorito di una vecchia scarpae come l’acqua prosciugarsi nel proprio fossatoSi può nascondere timidamentein fondo a un vecchio baule,come una buffa istantanea in bianco e nero,la bellezza di un attimoSi può appenderenella cornice vuota di una giornatal’immagine di un condannato, vinto crocefissosi possono coprire,dietro le maschere, le crepe del muroo aggiungere ancora altre inutili figureSi può guardare al proprio mondocon gli occhi vitrei della bambola meccanicaSi può dormire in una scatola di panno ruvidocon il corpo riempito di pagliatra pizzi e perlinee a ogni volgare pressione delle ditagridare invano“oh, come sono felice”.La bambola meccanica* * *E questa sono io,una donna solasul margine di una stagione fredda,adesso che comprendo l’essenza sporca della terrae la semplice triste disperazione del cieloe l’impotenza di queste mani di cemento.. . .
Libererò infine i versie sarò così, libera dallo scorrere dei numerie dal mezzo delle forme rinchiuse geometrichetroverò riparo fra le distese superfici del sentire.Sono nuda, e nuda, e nuda,come i silenzi tra le parole d’amore sono nudae di tutte le ferite sono mie le ferite d’amored’amore, d’amore, d’amore.. . .Sempre tutta questa distanza,tra la finestra e lo sguardo.Perché non ho guardato?Come nel tempo in cui un uomo passava accanto agli alberi bagnati.Perché non ho guardato? Forse mia madre aveva pianto quella notte,quella notte che io venni al dolore e lo sperma prese formaquella notte che andai in sposa alle acaciequella notte che le moschee di Isfahan brillavanod’azzurre mattonelle.E quella persona, che era la mia metà,quella notte ritornò dentro il mio seme.E io la vedevo nello specchioche come specchio era puro, e luminoso,e mi chiamò d’improvvisoe così andai,io, in sposa alle acacie…. . .Da dove vengo io?Dissi a mia madre:E’ finita, accade sempre prima che tu ci possa pensare,dobbiamo spedire le condoglianze al giornale.Buongiorno mia strana solitudine,qui ti cedo la mia stanza.Perché le nere nuvole di sempresono i profeti dei versetti nuovamente purificati.E nel martirio di una candelac’è un segreto luminosoche conosce bene quella fiamma ultima fiamma che resiste. 
Crediamo purecrediamo pure all’inizio della stagione freddacrediamo pure alla rovina dei giardini del sognoalle falci riverse ed intonse,e ai grani imprigionati.E guarda adesso, come nevica…. . . da Crediamo pure all’inizio della stagione fredda* * *Ho peccato, peccato, quanto piacerenell’abbraccio caldo e ardente ho peccatofra due braccia ho peccatoaccese e forti di caldo rancore, ho peccato. In quel luogo di buio silenzio appartatonei suoi occhi colmi di segreti ho guardato,nel palpito del petto furioso il mio cuoretremava nei suoi occhi di desiderio in preghiera. In quel luogo di buio silenzio appartatoaccanto a lui al suo fianco sconvoltala sua bocca desiderio versava tra le labbra mie,scappata, io, dalle pene del folle mio cuore. Gli sussurrai piano piano la melodia dell’amore:ti voglio, ti voglio, anima miati voglio, ti voglio, abbraccio che infiammati voglio, amore mio pazzo. Il desiderio nei suoi sguardi fiamme avvampava,il vino nero nella coppa tremava e danzava.Il mio corpo sul tenero lettosul suo petto ubriaco oscillava. Ho peccato, peccato, quanto piacereaccanto all’estatico fremito di un corpo.Oddio, mio Dio, che cosa ho mai fattoin quel luogo di buio silenzio appartato?Peccato *Quando la mia fede era impiccata alle fragili corde della giustiziae in tutta la cittàfacevano a pezzi il cuore dei miei occhiquando soffocarono con il fazzoletto nero della leggegli occhi infantili del mio amaree dalle tempie pulsanti della mia speranzasgorgavano fiotti di sangue,quando la mia vita ormai non era più nulla,nulla, se non il tic-tac di un orologio,capii che dovevo amare, amare, amare follemente.*Forugh Farrokhzad(poetessa. iraniana. appassionata. ribelle. libera. morta nel 1967. 32 anni)
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