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Un blog creato da L.Onely il 03/07/2012

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.34.

Post n°36 pubblicato il 03 Ottobre 2012 da L.Onely
 

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Cavallo Morto
è un luogo che esiste in una poesia di Lédo Ivo.
Una poesia di Lédo Ivo è una lucciola che cerca una moneta smarrita.
Ogni moneta smarrita è una rondine di spalle, posata sulla luce di un parafulmini.
Dentro un parafulmini c’è un frastuono di api preistoriche intorno ad un’anguria.
In Cavallo Morto le angurie sono donne semi addormentate che nel mezzo del cuore hanno il rumore di un mazzo di chiavi.

Cavallo Morto è un luogo che esiste in una poesia di Lédo Ivo.

Lédo Ivo è un uomo vecchio che vive in Brasile ed esce nelle antologie con viso di pazzo.
In Cavallo Morto i pazzi hanno ali di mosca e tornano a conservare nella propria cassa i cerini
bruciati come se fossero parole raschiate dallo splendore di altro mondo.
Altro mondo è il fondo di un vaso, un luogo dove ciò che è retto ha forma di ferro di cavallo e c’è una sola strada foderata con tela impermeabile.

Cavallo Morto è un luogo che esiste in una poesia di Lédo Ivo.

Un luogo che esiste in una poesia di Lédo Ivo è un fiume che albeggia per andare a fabbricare l’acqua delle lacrime, piccole menzogne di pioggia ferite da una spina d’acacia.
In Cavallo Morto gli aerei annodano con cinture di vapore il cielo come se le nubi fossero un regalo di Natale ed i felici e gli infelici salgono direttamente agli ippodromi eterni per la piccola scala di colui che inanella i gabbiani.

Cavallo Morto è un luogo che esiste in una poesia di Lédo Ivo.

Un poesia di Lédo Ivo è l’amante di un orologio di sole che abbandona in punta dei piedi le locande della mattina seguente.
La mattina seguente è ciò che dovevano dirsi quelli che non giunsero mai ad incontrarsi, quelli che ancora così si amarono ed escono dal braccio con la brezza del tramonto a celebrare il compleanno degli alberi e scrivono partiture con il campanello delle biciclette.

Cavallo Morto è un luogo che esiste in una poesia di Lédo Ivo.

Lédo Ivo è una scuola colma di fringuelli e un timoniere che canta nel piattino di latte.
Lédo Ivo è un infermiere che benda le onde e accende col suo bacio le lampade
delle barche.
In Cavallo Morto tutte le cose perfette appartengono a un altro, come appartiene il dado delle stelle marine al saccheggiatore delle teste sonnambule e il postino delle rose della domenica alla coroncina di luce delle impiegate domestiche.

Cavallo Morto è un luogo che esiste in una poesia di Lédo Ivo.

In Cavallo Morto quando muore un cavallo si chiama Lédo Ivo perché lo resusciti, quando muore un evangelista si chiama Lédo Ivo perché lo resusciti, quando muore Lédo Ivo si chiama il sarto della farfalla perché lo resusciti.
Fatemi caso, i ricordi piacevoli sono fugaci come gli scoiattoli, ogni amore che termina è un cimitero d’abbracci e Cavallo Morto è un luogo che non esiste.

Cavallo Morto

*

*

Parlo con te, ignoro dove sei, verso quale luce cerca il mio Essere
l’eco in cui ti ascolto.

Non c’è usura nella tua voce, io so che un’aria tersa ti respira, che
qualcosa che redime, una chiarità che trascina il fiume, porta
il tuo pensiero.

Parlo con te, un’intatta passione vive nel tuo fosforo, un’unica
luce che non si spegne mentre la morte fluisce, mentre la morte
soffre questa parola.

Io parlo, parlo con te al bordo di un vuoto, al bordo di me stesso
come colui che gira mutuo, come ciò che dentro noi
è prossimo e s’avvicina col suo fascio luminoso di purezza.

Parlo di fronte al destino che immagina l’uomo, di quello abbandonato,
di quello delirante e oscuro parlo con te. Ed è notte, è
notte in entrambi come metallo oscuro, e vediamo come lungamente
la verità estende il suo unico filo di saliva, un unico alfabeto
nel rumore di tutti.

Parlo con te, oh bontà compartita di chi è silenzioso,
ombra di quest’ombra che aleggia ed è volo di somigliante
eloquenza, colui che scrive, colui che ascolta, colui che foglio a foglio
infila nell’eco una voce che risponde, quella voce in me
stesso, quella che ci illumina e persuade da oltre la morte.

Parlo con te

*

Juan Carlos Mestre
(poeta, artista visuale, fisarmonicista - Villafranca del Bierzo, 1957)

 
 
 

.33.

Post n°35 pubblicato il 26 Settembre 2012 da L.Onely
 

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Certe volte passo dinanzi a negozietti, per esempio nella rue de Seine. Rigattieri o piccoli commercianti di libri antichi o di acqueforti, con vetrine zeppe. Da loro non entra mai nessuno, evidentemente non fanno affari. Ma se si guarda dentro, li si vede sedere, sedere e leggere, noncuranti; non si curano del domani, non si preoccupano del guadagno, seduto dinanzi a loro hanno un cane, soddisfatto, o un gatto che fa ancora più grande il silenzio strofinandosi lungo le file di libri, quasi spolverasse i nomi sui dorsi.

 

Oh, se ciò bastasse: vorrei certe volte comperarmi una di quelle vetrine zeppe e sedermi là dietro con un cane per vent'anni.


Da “ I quaderni di Malte Laurids Brigge” _ R. M. Rilke

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E in effetti Jakob Mendel non vedeva e non sentiva niente di ciò che gli accadeva attorno. Vicino a lui i giocatori di biliardo facevano chiasso litigiosi, i camerieri correvano, il telefono squillava; qualcuno strofinava il pavimento o accendeva la stufa, e lui non notava nulla. Una volta un carbone ardente era caduto dalla stufa, a due passi da lui il palchetto mandava già odore di bruciato e fumava, e fu solo allora che per via di quella puzza infernale un cliente si rese conto del pericolo e si precipitò a soffocare il fumo; mentre lui, Jakob Mendel, a una spanna di distanza e già avvolto dalle esalazioni, non s’era accorto di nulla. Perché lui leggeva come altri pregano, come i giocatori giocano e gli ubriachi tengono lo sguardo fisso nel vuoto, storditi; il suo rapimento quando leggeva era così commovente che, da allora, il modo in cui gli altri leggono mi è sempre parso profano.

In Jakob Mendel, in quel piccolo rivendugliolo galiziano con i suoi libri, avevo visto personificato per la prima volta – ero giovane allora – il grande mistero della concentrazione assoluta, che rende tali l’artista e lo studioso, il vero saggio e il perfetto monomane, la tragica ventura e sventura della piena possessione.

Da "Mendel dei libri" Stefan Zweig

 
 
 

.32.

Post n°34 pubblicato il 13 Settembre 2012 da L.Onely
 

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Antonio (Toti) Scialoja. Artista poliedrico conosciuto soprattutto per la sua opera pittorica,  la cui propensione artistica si manifesta assai presto nell'esercizio della poesia, del disegno e dell'illustrazione. Interrotti gli studi in giurisprudenza, nel 1937 decide di dedicarsi esclusivamente alla pittura. Abbandonati i modi espressionisti degli anni Quaranta, la pittura di Scialoja attraversa una brevissima stagione neocubista per poi divenire definitivamente astratta. Nel 1957 Scialoja elabora la sua particolare tecnica dello "stampaggio", con la quale dà figura alle "impronte", una delle forme maggiori dell'arte astratta europea dei tardi anni Cinquanta e Sessanta.

Scialoja è stato, oltre che pittore, scrittore, scenografo, docente, ma soprattutto un poeta innovativo e singolare nel panorama della poesia italiana del Novecento. Lo si può definire un giocoliere di parole: la parola, nucleo originario, elemento di base su cui si costruisce il componimento poetico, torna ad essere protagonista con la sua opera.

*

Di giorno quando i gatti sono intensi
pensi che il loro pelo offuschi i sensi.
Di notte quando i gatti sono immensi
si ricopre di pelo quel che pensi.

Chi mette la mosca per esca
dimostra che losca è la pesca:
se infatti la lasca ci casca
c'è caso che a sera finisca
non lasca ma labile lisca.

Cerco l'ago nel pagliaio
cerco l'ego nel migliaio
cerco l'ergo nel bisbiglio
cerco l'agro nell'intruglio
cerco il largo nel risveglio
cerco il drago nel vermiglio.

 

In mezzo ai rovi a Ninive
visitiamo rovine
sono bianche le spine
bianche in alto le nuvole.

Non cade neve a Ninive
non arrivano navi
tu che puoi farlo vivine
le inanità soavi.

Da "La mela di Amleto", 1984

*

Toti Scialoja - Speranze perduteScialoja ama logorare le parole e, allo stesso tempo, ama effettuare il processo inverso: usa parole logore, svilite dall'uso quotidiano e dà loro una nuova veste, dando loro una nuova importanza. Le sue poesie si costruiscono sulla ripetizione sonora: il ritmo è incalzante, a volte diventa ipnotico, incanta il pubblico infantile senza lasciare immune dal suo fascino anche quello adulto. I suoi versi sono anomali nella tradizione poetica italiana e sono piuttosto ascrivibili alla tradizione anglosassone del nonsense e del limerick, come ha giustamente riconosciuto - tra i primi - Italo Calvino.

*

La danza che specchia la speranza
la pazza che spezza la danza
la voglia che sciupa la guancia
la frangia che vela la voglia
la foglia che varca la soglia
la stanza che invoglia chi sogna
la sveglia che suona a distanza.

Nella raccolta intitolata Amato topino caro, stampata da Bornpiani nel 1971. Vi è scritto nella presentazione del libretto: “La struttura di queste poesie nasce da un metodo puramente linguistico au­tomatico, al modo dello scioglilingua, della filastrocca e del nonsense. Gioco fonemico che i bambini inten­dono d’istinto, che eccita la loro curiosità, li muove alla scoperta della parola nuova come incantevole meccanismo sonoro. Infatti l’ostacolo che rappresen­ta il vocabolo inatteso, nell’assonanza con gli altri, contribuisce a creare quei paesaggi di parole che liberano il bambino dalla soggezione al linguaggio e dentro i quali essi entrano ed escono con felicità e naturalezza”.

*

La zanzara dello Zambia
quando zompa su una zampa
da Kasempa alla Tanzania
mica danza, mica smania,
mica semina zizzania,
sente solo che uno zampi
rone brucia nella stanza.
*

La zanzara, per decenza,
ha una tunica di organza,
quando è sbronza vola senza
a zig zag per la Brianza.

Una volta spesi un gruzzolo
per andare a Veracruz
a veder sette zanzare
un po' vizze nella teca
ma di pura razza azteca.

"La poesia è un giuoco. E’ – anche – un giuoco. La poesia è sonorità, fonemi, altrimenti sarebbe prosa. La poesia è un altro modo di esprimersi, non attraverso le parole della prosa, cioè della conoscenza. E’ un modo di esprimersi, invece, attraverso le parole della non conoscenza, della follia, del sogno, dell’evasione, del nulla, del rapporto con la morte, con la vita.
     Le parole della poesia sono così, allora, perchè sono canto, sono suono. La poesia del resto è sempre stata un canto. E’ nata come un canto ripetuto, pieno di assonanze, perchè potesse essere memorizzato da chi lo ascolta, nelle cantilene, nelle novene. La poesia è come un “ora pro nobis” e, quindi, giuoca essenzialmente sull’alliterazione, sulla rima. E che cos’è la rima se non un giuoco fonetico? La rima è una specie di droga, di allucinogeno del pensiero del poeti. I concetti, i pensieri stessi allora, le immagini sorgono da questo bisogno di far rima. Penso che la bellezza di migliaia di momenti danteschi stia proprio in questa rima che inventa un mistero che altrimenti non sarebbe sorto."
[da un'intervista di Ivan Crico]

*

Ti ricordi gli stormiToti Scialoja
nei tramonti dei nostri bei giorni
quando i treni si fanno notturni
attorniavano Terni e dintorni?

Bei tramonti che accesero Terni
rispecchiandone il fuoco dei forni
mentre i cieli diventano inferni
taciturni se ruotano stormi.
 
Neri stormi sui monti di Terni
che di sera perdendo i contorni
frastornavano i nostri ritorni
con l’eterno stormire degli orni.
 
Son trascorsi gli autunni e gli inverni
sono andati e tornati gli storni
sulla Nera su Terni e Narni
sulle pere forate dai vermi.
 
da "I corvi di Orvieto", 1974/1976
*

Toti Scialoja - Il sonno grigio

La pittura tornerà a essere cosa - non oggetto. Oggetto vuol dire strumento. [...] Ma una "cosa" - usata proprio in questo termine confuso e generico - ma una cosa è contatto con l'umano, esprime non appena la si considera, racconta, trasmette. [...] Un fiore colto, una pietra raccattata, rimangono nella tua mano, finché non la getti, non la riabbandoni alla smemoratezza naturale, al flusso oscuro dell'universo. (Il sasso che ributti nel mare, dopo averlo accarezzato, diventerà distante da te e irraggiungibile, per sempre, come la più lontana delle stelle). Diventerà arte quella cosa toccata da te, che non sarà possibile più rigettare nel nulla, che per sempre avrà serbata e trasformata in forza naturale la tua impronta. Oggi la pittura opera direttamente sulla materia; e un quadro è prima di tutto una cosa, non utile se non per aver accolto la tua impronta spirituale. Quadri come tracce di vita, frammenti lungo il cammino, erbe bruciate dove accampasti il sonno, i lembi rimasti sugli spini. In ogni epoca i pittori si espressero con segni su superfici. Con segni su superfici i pittori oggi esprimono questa idea: che l'uomo sia spirito e terra insieme; parola e insieme sangue; e che sia umana non la sola effigie fisica dell'uomo ma ogni cosa che l'uomo riconosce e distingue, ogni cosa che immagina, ogni cosa "increata" non appena egli la nomini.  - [tratto da "L'Esperienza moderna" Rivista Culturale, Ottobre 1956]
*Toti Scialoja - Il sonno
La mosca si mischia alle mosche
la mosca s’infischia di mosche
di colpo si posa sul bricco
sul bistro sul nastro sul pacco
sul filtro sul feltro sul tappo
sul vischio sul testo sul raspo
sul disco sul tacco sul talco
sul peltro sul cesto sul tasto
sul desco cosparso di lische
di colpo si mischia alle mosche
*
Toti Scialoja - AccaloratoEra gruvi, gruvi era
il tuo cacio con i fori,
era brughi, brughi era
il tuo bosco con i fiori,
era frutti, frutti era
la speranza del tuo viaggio,
era preghi, preghi era
quel che avevi nello sguardo,
fu più rapida di un sorso
la tua anima di sorcio.
 
da "Pane coltello e piatto", 1973/1974
*
I giochi verbali delle prime raccolte, di fronte al mistero della morte, di una vita che giunta al suo termine si interroga su se stessa, vengono sostituiti dall’adozione di una forma metrica antica, nata dalla suggestione suscitata dalla lettura di un raro esempio pascoliano. La necessità di un altro ritmo, nell’urgenza d’incanalare in una forma il fluire delle memorie, si afferma imponendo un netto cambiamento di direzione. Il nitore assoluto, la struttura precisa diventano quindi – anche – una forma di resistenza all’oblio, al sfibrarsi del ricordo in cui tutto diventa indistinto. [da un bel post di Ivan Crico su La dimora del tempo sospeso]

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Apparisti sulla soglia vestita di velluto viola
non annebbiata dal viola ma resa meno visibile
venivi soltanto avanti come quella che si rivela
confusa dal viola e il suo modo svenato di impallidire
col passo di chi attraversa qualunque promessa violata.

Così ti ho vista ad un tratto svincolata da ogni segreto
venire avanti in visita rivestita del tuo respiro
il viola esausto svaniva per istanti dentro il velluto
volgesti il volto attirata dal folgorante mazzo d’iris
sollevasti le braccia decapitata dagli iris.

*

*
Toti  Scialoja
(Pittore di Parole - Roma 1914/1998)

 
 
 

.31.

Post n°33 pubblicato il 05 Settembre 2012 da L.Onely
 

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Per chi se lo ricorda, nel 1958 John Cage appare sulla RAI-TV come concorrente del Lascia o Raddoppia di Mike Bongiorno in qualità di esperto di funghi. Nel corso di cinque apparizioni presenta Amores, Water Walk e Sounds of Venice e vince il corrispettivo di seimila dollari raddoppiando e vincendo.

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"La prima domanda che mi pongo quando qualcosa non sembra essere bello
è perché penso che non è bello.
E molto presto si scopre che non vi è alcuna ragione
."
 

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«La materia della musica è suono e silenzio. L’integrazione di essi è composizione:
non ho niente da dire, eppure lo sto dicendo»

*

John Cage
Los Angeles, 5 settembre 1912 – New York, 12 agosto 1992

Riconosciuto in tutto il mondo come una delle menti più geniali ed innovative di un intero secolo di composizioni musicali d’avanguardia.
Avrebbe festeggiato proprio oggi il suo 
centesimo compleanno.

*

* * *

[Umile omaggio con un post volutamente "minimal-zen", o meglio, "alea", termine con cui Cage voleva significare la volontà di introdurre concetti, appunto zen, nel corpo della composizione musicale. Artista di una estrosità unica, che merita - oltre questo personale ricordo  - un ben più significativo approfondimento.]

*

 
 
 

.30.

Post n°32 pubblicato il 01 Settembre 2012 da L.Onely
 

*
Fanciullo, io già non ero
come gli altri erano, né vedevo
come gli altri vedevano. Mai
derivai da una comune fonte
le mie passioni, né mai,
da quella stessa, i miei aspri affanni.
Né il tripudio al mio cuore
io ridestavo in accordo con altri.
Tutto quello che amai, io l'amai da solo.
*

Allora, in quell'età, nell'alba
d'una procellosa vita, fu derivato
da ogni più oscuro abisso di bene e male
il mistero che ancora m'avvince,
dai torrenti e dalle sorgenti,
dalla rossa roccia dei monti,
dal sole che d'intorno mi ruotava
nelle sue dorate tinte autunnali,
dal celeste baleno
che d'accanto mi guizzava,
dal tuono e dalla tempesta
e dalla nuvola che forma assumeva
(mentre era azzurro tutto l'altro cielo)
d'un demone alla mia vista.
*

Solo _ Edgar Allan Poe

*

Virginia Fragiacomo photo

*

Due parole
Ci sono vite perdute, vite che non trovano una strada sicura, una rotta certa. Ottenebrate dal dolore, si nutrono di insicurezze. Esistenze atterrite tracimanti timori, chiuse in una torre a disperare. Esseri che provano sensazioni che altri non realizzano, nè immaginano. Un sottile, malvagio, insano piacere li pervade, un ghigno diabolico si stampa sul loro volto, perché quelle emozioni sono uniche, irripetibili, magiche. Perché pur isolandoli, sono esse che li rendono uomini. (Salvatore D'Anna)

 

... Lonely! (non per caso)

*

 
 
 

.29.

Post n°31 pubblicato il 29 Agosto 2012 da L.Onely
 

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Julian Beever è un'artista  inglese famoso per la sua arte fatta sui marciapiedi  di Inghilterra, Francia, Belgio, Germania, America, Australia. La particolarità delle sue opere sta nell'anamorfosi. Le immagini vengono disegnate con una tecnica particolare che le rende all'apparenza completamente deformate. Però quando si guardano dal lato giusto acquistano un incredibile effetto illusorio di tridimensionalità.

*

 

 

Julian Beever, si è specializzato nel disegnare sui marciapiedi e aree pubbliche in genere tali formidabili opere, le quali sono percepite dai passanti come cavità nell'asfalto o oggetti tridimensionali che in realtà non esistono.

Julian trasmette sul pavimento (a volte di cemento, a volte di piastrelle) la forza e l’ esperienza di un vero artista. Gessetti, marciapiedi, strade, fantasia e tanta, tanta padronanza tecnica.

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Soprannominato “Pavement Picasso”, le sue opere sono particolari proprio perché possono essere attraversate, calpestate, modificate e cancellate dalle intemperie. Fortuna che Julian in persona provvede a fotografarle una volta finite.

 

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Julian Beever

www.julianbeever.net

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Appunto extra_ordinario:

... termino questo post, prendo, a caso, uno dei tanti libri sparsi nella stanza (lo zapping librario è uno dei miei hobby preferiti), apro, a caso, in un punto qualsiasi e leggo  ...

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Una volta che s’incontrarono nel quartiere latino, Pola stava osservando il marciapiede e tutti quanti osservavano il marciapiede. Fu necessario fermarsi e contemplare Napoleone di profilo, accanto a una eccellente riproduzione di Chartres, e un po’ più lontano una cavalla con il suo puledro in un campo verde. Gli autori erano due ragazzi biondi e una ragazza indocinese. [...]
- Tanta fatica e poi stanotte arriveranno gli spazzini e tutto finito.
- In questo sta il bello. Dei gessi colorati come figura scatologica, tema da tesi. Se gli idranti municipali non faran piazza pulita di tutto, sarà la stessa Tsong Tsong in persona a venire qui con un secchio d’acqua. Ha fine solo ciò che ricomincia l’indomani. La gente lancia le monete senza sapere che la stanno imbrogliando, perché in realtà questi quadri non sono mai stati cancellati. Cambiano marciapiede e colore, ma sono già fatti in una mano, in una scatola di gessi, in un astuto sistema di movimenti. A rigore, se uno di questi ragazzi trascorresse l’intera mattinata agitando le braccia in aria, si meriterebbe dieci franchi con l’identico diritto di quando disegna Napoleone. Ma abbiamo bisogno di prove.
- Ammirevole. In fondo quelle monete le mettiamo nella bocca dei morti, l’obolo propiziatorio. Omaggio all’effimero, affinché quella cattedrale sia un simulacro di gesso che un getto d’acqua porterà via in un secondo. La moneta è lì, e la cattedrale risorgerà domani. Paghiamo l’immortalità, paghiamo la continuazione.
Ma Pola non gli rispose, e lui le mise un braccio attorno alle spalle e camminarono per Boul’Mich in su e Boul’Mich in giù, prima di avviarsi vagabondando lentamente a rue Dauphine. Un mondo di gessi colorati girava intorno e li faceva muovere nella loro danza, patate fritte di gesso giallo, vino di gesso rosso, un pallido e dolce cielo di gesso celeste con un po’ di verde dalla parte del fiume. Ancora una volta avrebbero gettato la moneta nella scatola da sigari per trattenere la fuga della cattedrale, e con quel loro semplice gesto l’avrebbero condannata a cancellarsi per tornare ad essere, a scomparire sotto il getto d’acqua per tornare gessi dopo gessi, neri e turchini e gialli. Rue Dauphine di gesso grigio, la scala scrupolosamente di gessi marroni, la camera con le sue linee di fuga astutamente tracciate con gesso verde pallido, le tende di gesso bianco, il letto con il suo poncho dove tutti i gessi, viva Messico!, l’amore, i suoi gessi affamati di un fissatore che li inchiodasse al presente, amore di gessi profumati, bocca di gesso arancio, tristezza e sazietà di gessi incolori che girano in una polvere impercettibile, che si posano sulle facce addormentate, sul gesso spossato dei corpi.

*

[Julio Cortàzar - Rayuela, cap. 64]

Certe incredibili casualità,
(specie se colorate dalla magia di Cortàzar)
fanno restare DI GESSO!

 
 
 

.28.

Post n°30 pubblicato il 12 Agosto 2012 da L.Onely
 

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*
Io sono verticale

Ma preferirei essere orizzontale.
Non sono un albero con radici nel suolo
succhiante minerali e amore materno
cosi' da poter brillare di foglie a ogni marzo,
ne' sono la belta' di un'aiuola
ultradipinta che susciti grida di meraviglia,
senza sapere che presto dovro' perdere i miei petali.
Confronto a me, un albero e' immortale
e la cima di un fiore, non alta, ma piu' clamorosa:
dell'uno la lunga vita, dell'altra mi manca l'audacia.

Stasera, all'infinitesimo lume delle stelle,
alberi e fiori hanno sparso i loro freddi profumi.
Ci passo in mezzo ma nessuno di loro ne fa caso.
A volte io penso che mentre dormo
forse assomiglio a loro nel modo piu' perfetto -
con i miei pensieri andati in nebbia.
Stare sdraiata e' per me piu' naturale.
Allora il cielo ed io siamo in aperto colloquio,
e saro' utile il giorno che resto sdraiata per sempre:
finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me.

(28 marzo 1961)

*

Sylvia Plath nacque a Jamaica Plain (Boston) nel 1932, da genitori di origine austro-tedesca. La sua carriera scolastica fu esemplare e brillante. A soli nove anni ottenne il primo riconoscimento letterario per la pubblicazione di una sua poesia; al termine della junior high school fu la migliore studente dell'anno; al conseguimento del diploma risultò la prima tra tutti gli studenti del corso; in seguito frequentò tre borse di studio ove spiccò per meriti. Anche da questo passato si può comprendere il senso di inadeguatezza e la paura di non essere all'altezza delle aspettative altrui nei suoi confronti.
Iniziò a scrivere con successo e conseguì molti premi, uno dei quali la condusse a New York, ospite di un'importante rivista del tempo, ma la metropoli, col suo ritmo di vita frenetico ed ossessionante, la condusse presto ad un tracollo emotivo.
Tornata a casa non riuscì più a dormire, a mangiare, a scrivere. Andò da uno psichiatra che le praticò l'elettroshock, tentò il suicidio, fu salvata, entrò in manicomio.

"Chiusi gli occhi. Ci fu un breve silenzio, come un respiro trattenuto.
Poi qualcosa calò dall'alto, mi afferrò e mi scosse con violenza sovraumana. Uii-ii-ii-ii-ii, strideva quella cosa in un'aria crepitante di lampi azzurri, e a ogni lampo una scossa tremenda mi squassava, finché fui certa che le mie ossa si sarebbero spezzate e la linfa sarebbe schizzata fuori come da una pianta spaccata in due. Che cosa terribile avevo mai fatto, mi chiesi."

*
La psicoterapia e gli elettroshock le consentirono di abbandonare presto la clinica, e la sua vita riprese con l'Università, i corsi di poesia, la tesi di laurea su Dostoevskij. Arrivano anche, in rapida successione, il matrimonio con il poeta inglese Ted Hughes e la maternità. La vita familiare si trasforma, quasi subito, da fonte di gioia in responsabilità asfissiante e frustrazione continua. Sylvia è combattuta tra il suo essere madre e moglie e la volontà di essere donna e poetessa innanzitutto. Infine scoprì che il suo Ted la tradiva. Si separò e portò i figli con sé, cominciando a vivere in gravi ristrettezze economiche.

*
“Sono un groviglio di nervi senza identità. Ora so cos’è la solitudine, credo. Parte da un punto indefinito dell’Io: come una malattia del sangue che si diffonde in tutto il corpo sicchè non si può localizzarne il focolaio.[...] Non ho consistenza, sono vuota, dietro gli occhi sento una caverna pietrificata, un abisso infernale.”

*
E' proprio in questo periodo che esplose la sua attività letteraria; nel 1960 pubblicò The Colossus e, come tentativo di liberazione andando indietro nel tempo, testimonianza del suo crollo psichico, scrisse il suo primo e unico romanzo, La campana di vetro, che pubblicò nel 1963 con lo pseudonimo di Victoria Lewis. Definito anche la storia di una schizofrenica, più che la ricostruzione di una patologia, "La campana di vetro" è la testimonianza del disperato bisogno di affermazione di una donna lacerata dal conflitto irrisolto tra le aspirazioni personali ed il ruolo imposto dalla società.

*
L’astratto uccide, il concreto protegge. […] Quanto aiuta spolverare, lavare i piatti tutti i giorni, parlare con gli amici che non sono matti e [che] spolverano, lavano e pensano che questa sia la vita che c’è da vivere…”. [da Diari] Un anelito lacerante di soddisfazione e tregua, riversato nella scrittura con una dedizione ossessiva, vorticosa. Ecco cosa significa per lei la scrittura: una sorta di "rito religioso".

*


[un tributo video ispirato al poema "Mirror"]

*
"Luglio 1950. Forse non sarò mai felice...ma stasera sono contenta. Mi basta la casa vuota, un caldo, vago senso di stanchezza fisica per aver lavorato tutto il giorno al sole a piantare fragole rampicanti, un bicchiere di latte freddo zuccherato, una ciotola di mirtilli affogati nella panna (...) in momenti come questi sarei una stupida a chiedere di più." [da Diari]
*

S’intitola “Sylvia” il film di produzione inglese (2003), per la regia di Christine Jeffs, che ha portato sul grande schermo la vita della Plath, interpretata da una credibilissima Gwyneth Paltrow. Bella, nervosa e solare come doveva essere la Plath.

“Mi sembrava che la cosa più bella del mondo doveva essere l’ombra, le mille mobili forme e i mille anfratti dell’ombra. C’era ombra nei cassetti delle scrivanie, negli armadi, nelle valigie, ombra sotto le case, gli alberi, le pietre, ombre dietro gli occhi e i sorrisi della gente, e ombra, miglia e miglia e miglia di ombra, sulla faccia notturna della terra.” [da La Campana di vetro]
*
Un mese dopo la pubblicazione de "La campana di vetro", preparò fette di pane imburrato per i figli, li mandò a giocare dai vicini, poi rientrò in casa, sigillò porte e finestre con del nastro adesivo, scrisse l'ultima poesia, “Orlo“, aprì il gas, infilò la testa nel forno e si tolse la vita.
*

  
Dedica del cantautore inglese Ralph McTell

“Come un gatto ho nove vite da morire. Questa è la numero tre. La prima volta successe che avevi dieci anni. Fu un incidente. Ma la seconda volta ero decisa a insistere, a non recedere assolutamente. Mi dondolavo chiusa come conchiglia. Dovettero chiamare e chiamare e staccarmi via i vermi come perle appiccicose. Morire è un’arte, come ogni altra cosa. Io lo faccio in un modo eccezionale. Io lo faccio che sembra come un inferno. Io lo faccio che sembra reale. Ammetterete che ho la vocazione” [da Lady Lazarus]

*
  

 Sylvia Plath
(Boston 1932 - Londra 1963)

Sulla sua lapide è inciso:
"Anche tra fiamme violente si può piantare il Loto d'oro"

 *

 
 
 

.27.

Post n°29 pubblicato il 10 Agosto 2012 da L.Onely
 

*

*

*
Nel mio cuore c’è un uccello azzurro che
vuole uscire
ma con lui sono inflessibile,
gli dico: rimani dentro, non voglio
che nessuno ti
veda.

Nel mio cuore c’è un uccello azzurro che
vuole uscire
ma io gli verso addosso whisky e aspiro
il fumo delle sigarette
e le puttane e i baristi
e i commessi del droghiere
non sanno che
lì dentro
c’è lui

nel mio cuore c’è un uccello azzurro che
vuole uscire
ma io con lui sono inflessibile,
gli dico:
rimani giù, mi vuoi fare andar fuori
di testa?
vuoi mandare all’aria tutto il mio
lavoro?
vuoi far saltare le vendite dei miei libri in
Europa?

nel mio cuore c’è un uccello azzurro che
vuole uscire
ma io sono troppo furbo, lo lascio uscire
solo di notte qualche volta
quando dormono tutti.
gli dico: lo so che ci sei,
non essere
triste

poi lo rimetto a posto,
ma lui lì dentro un pochino
canta, mica l’ho fatto davvero
morire,
dormiamo insieme
così col nostro
patto segreto
ed è così grazioso da
far piangere
un uomo, ma io non
piango, e
voi?

Un uccello azzurro _ Charles "Hank" Bukowski

*

*
Un fragile cuore azzurro,
nascosto alle fauci del mondo,
 nella propria gabbia di dolore.
*

*
La Bellezza è un segreto.

*

 

 
 
 

.26.

Post n°28 pubblicato il 08 Agosto 2012 da L.Onely
 

*

 
[Femme paysage]

Annaffiami la luna.
Spazzolami i denti delle scale.

Trasportami nella tua valigia di carne sul mio letto d’ossa.
Cuocimi un tuono.
Raccogli i terremoti in una gabbia
E coglimi un mazzo di lampi.
Tagliati in due e mangia una di queste metà.
Eiaculati nell’aria orgogliosa dei getti d’acqua di Versailles.
Bruciati arrotolati a palla.
Sii una palla dal riso arcaico
Che rotola intorno a una pillola.
Getta tutte le tue lingue alle rose.
Regala le tue lingue ai dolci rinoce-rosa.
Pasticciati un pasticcio.
Ranati in rana.
Poniti come firma sotto la mia lettera.

Annaffiami la luna

* * *

Sono tante stelle i cuori,
negli uomini fan fiori.
Tutti i fiori sono cieli.
Tutti i cieli sono fiori.
Tutti i fiori incandescenti.
Fanno fiori tutti i cieli.
*
Mi ripeto a bassa voce
ogni giorno due parole.
È per farmi un po’ coraggio
e confondermi, e scordare
quel dolore così grande,
l’impotenza in cui viviamo,
che ripeto queste semplici parole.

[Danseuse, 1925]

I mari sono fiori.
E fiori son le nubi.
E sono fiori gli astri,
in cielo son fioriti.
La luna è un fiore solo.

Mi ripeto a bassa voce
queste semplici parole
di continuo le ripeto.
Ogni giorno mi ripeto due parole, un niente.
Le ripeto come piccole campane
si ripetono, ripetono.

 Sofia è un cielo.
Sofia è una stella.
Sofia è un fiore.

Tutti i fiori in fiore,
fioriscono per te.
Tutti i cuori accesi,
s’incendiano per te.

Ma ora tu sei via.
Perché tocca a me venire qui e stare.
Ho solo una domanda.
Ti voglio rivedere.

[Foglie e ombelichi, 1929]

Un passo è questa vita
nel chiaro buio in Dio.
Appena hai detto oggi
trascorso è già domani.
E van così anche gli anni
tra indugi, sogni, giochi.
Così trascorre il tempo
su cui s’attarda il fiore.

Da che sei morta
a ogni giorno che trascorre dico grazie.
Ogni giorno già trascorso
mi avvicina a te.
*
Sophie (part 1)

*
A Sophie Täuber, (pittrice, architetto, ballerina e insegnate. 1889-1943), compagna di Arp dal 1915, anno del loro incontro, per il resto della propria esistenza.

 * * **

[L'Araignée]

A Zurigo, nel 1916, viene fondato il Cabaret Voltaire, dedicato al filosofo francese che aveva sostenuto i valori della ragione. Qui nasce il Dadaismo, un movimento che durò pochi anni, ma che ha avuto un’esplosiva capacità di mettere in gioco le comuni regole e attività artistiche.                                        [Star]

Al Cabaret Voltaire gli artisti vivevano serate con esecuzioni di musica e letture di poesie dada e a queste serate il pubblico partecipava di solito molto attivamente.


Recitavano poesie anche in lingue sconosciute,
solo per il gusto di sentirne il suono,
a prescindere dal loro significato.

 

 

Nelle sue composizioni, spesso assemblate con materiali insoliti, Arp crea solo forme semplici, armoniose, spontanee e assolutamente, senza significato. Il titolo, solitamente sorprende, lascia senza parole, stuzzica la fantasia.
Arp sviluppa con il tempo un linguaggio basato sulla combinazione di forme elementari, spesso mutuate direttamente da oggetti reali, ma isolate e riproposte, colte fuori del contesto d’uso. Tali caratteristiche ritornano nei legni scolpiti, nei collage e in altri lavori dipinti a colori vivaci o a rilievo. È così portata avanti la ricerca per le forme neutre, tema ricorrente nella sua scultura degli anni Trenta.

Di questo periodo è l’esplorazione della casualità, dell’aggregazione spontanea come atto creativo: compone nuovi collage con frammenti di carta lasciati cadere e incollati. Meccanismi analoghi saranno successivamente elaborati anche in ambito poetico dadaista.

*

* * *

Quattro fanciulle decidono di crescere fino a
diventare donne.
Una volta diventate donne
sposano quattro uomini piccoli
e continuano a crescere
fin quasi a toccare il soffitto.
Per passare dalla porta
devono strisciare a quattro zampe.
Più le donne crescono
più gli uomini diminuiscono.
Prima per la sorpresa
di queste donne che continuano a crescere
poi per amore.
Il corpo degli uomini è ricoperto
di piume grigie e blu.
Gli uomini poco chiacchieroni
parlano sempre meno
cominciano a tubare
poi diventano ancora più taciturni
ma tubano e tubano.
Nel frattempo una delle quattro donne
dorme nella stanza
e continua a crescere e a crescere
dentro la stanza.
La sua massa compatta riempie tutta la stanza
con parti di essa che escono dagli infissi.
Suo marito è un cafone
e senza tanti complimenti
si dichiara stufo di tutta questa crescenza
tuba un’altra volta
e incomincia a volare.
La massa della moglie scoperchia la prigione
poi corre a nascondersi
nel primo abisso disponibile.
Gli altri tre uomini
restano fedeli alle loro gigantesse
e appollaiati sulle loro dita
tubano
e s'ingozzano di briciole di pane.

Quattro donne

* 

*

Jean Hans Arp
(Strasburgo, 1887 – Basilea, 1966 / scultore / pittore / sin dall’infanzia scrive poesie.)

*

 
 
 

.25.

Post n°27 pubblicato il 06 Agosto 2012 da L.Onely
 

 *

Luce a una finestra. Una donna è sveglia ..................................... [sveglia] *
in quest’ora immobile. ...................................................................... [immobile]
Noi che lavoriamo così abbiamo lavorato spesso
in solitudine. Ho dovuto immaginarla ..................................... [in solitudine]
intenta a ricucirsi la pelle come io ricucio la mia ................ [pelle][ricucirsi]
anche se
con un punto
diverso.

Alba dopo alba, questa mia vicina ............................. [dopoalbadopoalbadopo]
si consuma come una candela ................................................. [si consuma][sì]
trascina il copriletto per la casa buia .................................................... [buia]
fino al suo letto buio .................................................................................. [buio]
la sua testa
piena di rune, sillabe, ritornelli .................... [rune.sillabe.ritornelli][rune]
questa sognatrice precisa ....................................................  [sognatrice]

 

sonnambula in cucina .............................. [sonnambula]
come una falena bianca, .................................. [bianca]
un elefante, una colpa. ....................................... [colpa]

Qualcuno ha tentato di tenerla
tranquilla sotto una coperta afgana ............. [afgana]
intessuta di lane color erba e sangue ...... [intessu.Tà]

ma si è levata. La sua lampada
lambisce i vetri gelati
e si scioglie nell’alba.

Non la fermeranno mai ............................................................... [mai][fermerà]
quelli che dormono il sonno di pietra del passato, ..................... [passato]
il sonno dei drogati.
In un attimo di cristallo, io lampeggio
un occhio attraverso il freddo ............................................................ [freddo]
un aprirsi di luce fra noi ......................................................................... [luce]
nel suo occhio che incide il buio ..................................................[buio][incide]
– questo è tutto. L’alba è la prova, l’agonia .................................... [agonia]
ma dovevamo contemplarla: ......................................[contemplarla][si doveva]
Dopo di che potremo forse dormire, sorella mia, ............................ [forse]
mentre le fiamme si alzano sempre più alte, possiamo ............... [si può]
dormire. ..................................................................................... [dormire][dormire]

*

Notte bianca _ Adrienne Rich

*

* al dolore di C.

Eoh (Eihwaz): Albero della vita (tasso), resistenza. Questa runa rappresenta l'albero del tasso, longevo e sempreverde, e unitamente ad esso è la conferma di continuità e perseveranza in grado di sfidare tutte le influenze negative comprese la morte. Essa rappresenta il potere che collega la mortalità del fisico con l'immortalità dello spirito e ci aiuta ad alimentare la speranza dando continuità agli ideali per trasformarli in realtà.

*

 
 
 

.24.

Post n°26 pubblicato il 04 Agosto 2012 da L.Onely
 

*

*
La storia della famiglia Flores è affascinante. Origine catalana, approdata in Sicilia al sèguito di Carlo III, annoverava tra i suoi componenti anche un Filippo Flores, presidente del Consiglio di Guerra che giudicò i fratelli Bandiera. Giovanni, il padre di Luca, geologo di professione, scriverà anche un romanzo di famiglia sull'epopea della famiglia Flores, intitolato Il Re non Risponde.
I primi anni di Luca trascorrono serenamente, in un contesto cosmopolita che farà sempre da sfondo alle vicende della famiglia. La professione del padre porta i Flores in giro per il mondo, finchè non si stabiliscono in Monzambico. La madre Iolanda, donna affascinante, colta e moderna, è una figura da matriarcato moderno, che tiene le file materiali e psicologiche della famiglia. Luca, il fratello Paolo e le sorelle Heidi e Barbara crescono placidamente in questo contesto protetto ... Questa serenità viene a mancare proprio quando viene a mancare la figura cardine della famiglia, cioè Iolanda, morta in un incidente d'auto nel 1964. C'era anche Luca con lei, il giorno in cui il bambino Luca Flores lascerà il posto al Luca Flores che coltiverà uno sfuggente tormento per il resto della sua vita. Molto spesso, davanti ad eventi drammatici come questi, cominciano ad affiorare le tensioni, le incomprensioni, in un gioco da tutti hanno torto e tutti hanno ragione, ed inevitabilmente anche la famiglia Flores comincia a cadere in questa spirale. Ognuno prende la propria strada, sempre in giro per il mondo, e dopo ancora un po' di girovagare Luca approda a Firenze. Comincia a studiare da privatista al conservatorio, anni di fermento generale, fatto non solo di musica classica ma anche di musica Pop come Genesis ed EL&P; finchè non arriva un altro elemento nella sua vita: il Jazz. - [tratto da Debaser.it - rec. di Caravan]

*

*
Racconta Cinzia Sanfilippo, compagna di Luca dall´83 all´86 e che in quegli anni gestiva il 'Lush Life' uno degli storici jazz club di Firenze: «Eravamo diversi, io scalmanata e sempre in giro fra lavoro e feste; Luca molto casalingo e taciturno per carattere ma anche per la sua dedizione alla musica, fatta di ore di studio e ascolti quotidiani. All´inizio della nostra convivenza di fronte ai suoi interminabili silenzi pensai "ora me ne vado": finii invece per essere un po´ il suo tramite col mondo, a volte seguiva la mia natura più estroversa e sociale, molte altre no. Era stato questo suo mondo a parte che mi aveva affascinato, oltre alla bellezza sua e della sua musica. Non usava molte parole ma i suoi occhi parlavano per lui, ti dicevano quanto fosse presente anche se la sua introversione poteva far credere il contrario. ... Oggi mi rimane un solo cruccio: come ho fatto a non capire cosa gli stava succedendo dentro. Niente faceva immaginare che la malattia mentale si stesse impadronendo di lui, la sola risposta che riesco a darmi è che la pressione del successo lo abbia spinto in una crisi senza ritorno. Nell´87 lo incontrai a Siena, parlammo tutta la notte, era disperato, mi ripeté non so quante volte: "Io non sono di questo mondo"».

*

Nella sua breve carriera di musicista ha suonato a fianco - tra altri illustri nomi - di Chet Baker, dalla cui tragica morte Luca ne fu stravolto. Nel 2007 e' stato realizzato il film "Piano, solo", diretto da Riccardo Milani e tratto dal libro "Il disco del mondo" di V. Veltroni,  che racconta di Luca Flores e della sua drammatica quanto fragile esistenza.

*

Di Luca Flores, Alessando (Al) Di Puccio fu amico da ragazzo, ricorda: <<Iniziammo a fare qualche concerto a Firenze col nostro Bop Quintet, ma l´era dei club doveva ancora venire, suonavamo mainstream e quella era l´epoca del free, gli addetti ai lavori ci prendevano persino in giro. ... di soddisfazioni ce ne siamo levate tante con il suo quartetto. Poi vennero gli anni della malattia mentale, i sedativi che odiava perché gli impedivano di suonare, il cacciavite nell´orecchio per, come mi disse, "fermare il mio cervello che sta scendendo nella gola.">>

*

*

<<Un giorno un'architetta che lavora al Comune di Roma, compagna di un ottimo jazzista come Nicola Stilo, mi regalò un cd. Conosceva il mio amore per il Jazz, per la musica, per la grandezza e la sofferenza della creazione artistica. … Quando cominciai ad ascoltare il cd che mi era stato regalato capii che qualcosa, dentro di me, stava succedendo. Non sapevo, non sapevo cosa. Mi assalì una strana malinconia, un improvviso, spropositato dolore.
...
E` bello lo stupore delle emozioni che vive Marcel quando, assaggiando una petite madeleine a casa della madre, viene assalito da una misteriosa sensazione di gioia e di benessere. Poi Marcel comprende che il segreto di quella gioia è dentro di lui, nella sua memoria. "Ma quando di un lontano passato non rimane più nulla, dopo la morte delle creature, dopo la distruzione delle cose, soli e più fragili ma più vivaci, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l'odore e il sapore permangono a lungo, come anime, a riconoscere, ad attendere, a sperare, sulla rovina di tutto, a sorreggere senza tremare - loro, goccioline quasi impalpabili - l'immenso edificio del ricordo.">>

[da Il disco del Mondo - Walter Veltroni - Rizzoli]

 *



"How can far you fly" è la sua ultima composizione, scritta qualche giorno prima di togliersi la vita: "Caro papa' so che ti ho chiesto molto, troppo. Avrei voluto essere più forte, costruire una famiglia e cose del genere ma, la maggior parte del tempo se ne andato tra il pianofortee e la lotta per non farmi travolgere dai miei pensieri negativi.Me ne vado prima di diventare niente, uno da imboccare prendere sotto braccio e portare al sole ... Ti mando questa cassetta con tre brani ... uno mio suonato apposta per te ... si chiama "How can far you fly", una domanda che mi sono fatto tutta la vita: quanto si puo' andare lontano? Cosa ci impedisce di volare? Il linguaggio della musica è uno, quello dell'anima. Le parole ci ingannano con i loro significati mentre, la musica è libera, può volare in paradiso, scendere all'inferno, o rimanere a galleggiare nel limbo. E io amo quei musicisti che cantano che scrivono e suonano ogni nota come se fosse l'ultima."

*

*

 Luca Flores
(Jazzista / Palermo, 1956 - Montevarchi, 1995 / Solo)

*

 
 
 

.23.

*
Bruno era un bambino indaffarato.

Anche se la testa greve gli rallentava il correre sobbalzando a ogni passo, lui trottava tutto il giorno per salvare il padre dai guai in cui si cacciava con le sue metamorfosi improvvise.

Colpa di Adela, governante troppo zelante, spaventata dalle continue apparizioni che infestavano casa Schulz.

*

*

Un’altra volta, nello studio, il battipanni di Adela stava per abbattersi su un piccolo ragno in vertiginosa scalata sulla libreria

*
ma Bruno intervenne miracolosamente un attimo prima che si consumasse l’irreparabile.

  

Un’altra volta ancora la governante si mise a inveire contro un fiero pompiere di rosso vestito, fermo al centro del salotto. Quello si fece beffe dei rimproveri di Adela, strizzò l’occhio alla testa di Bruno e volò fuori dal balcone atterrando su un lenzuolo magico.

*
Il pompiere era il ragno, era l'uccello colorato. 
*Bruno. Il bambino che imparò a volare - Ed. Orecchio Acerbo
Era stato anche un libro segreto,
uno scarafaggio chiazzato,
uno scampolo di stoffa ricamata,
un fiore assolato.
*

 Però rimaneva sempre Jakob,
il padre di Bruno.

 


 

 

 [tratto da “Bruno. Il bambino che imparò a volare” – Nadia Terranova/Ofra Amit – Ed. Orecchio acerbo – Tutti i diritti riservati] - Omaggio a BRUNO SCHULZ

**

 

 * * *

"Che aspetto ho? Di tanto in tanto mi guardo allo specchio. Che cosa strana, ridicola e dolorosa! Fa vergogna confessarlo. Non mi vedo mai en face, faccia a faccia. Ma un po' più dentro, un po' più lontano, sto là, in fondo allo specchio, mezzo di fianco, mezzo di profilo, sto là pensieroso e guardo di lato."
*
[Bruno Schulz, «Solitudine» in Le botteghe color cannella. Tutti i racconti, i saggi e i disegni, Einaudi]

*

*
«Le botteghe color cannella» è la sua prima e più famosa raccolta di racconti (1933). Il tentativo attraverso l’invenzione linguistica e la fantasia di ricostruirsi una infanzia e giovinezza partendo dal ristretto spazio che fu il piccolo negozio di stoffe del padre Jacob.  Quest'opera lo segnalerà come uno dei più interessanti scrittori della letteratura polacca del Novecento, ed inizierà poi a collaborare a varie riviste letterarie, continuando la sua attività di pittore.
*

*

 *

*

"Mi sembra che il genere di arte che mi sta a cuore sia proprio una regressione, sia un'infanzia reintegrata. Se fosse possibile riportare indietro lo sviluppo, raggiungere di nuovo l'infanzia attraverso una strada tortuosa - possederla ancora una volta, piena e illimitata -, sarebbe l'avveramento dell'"epoca geniale", dei "tempi messianici", che ci sono stati promessi e giurati da tutte le mitologie. Il mio ideale è "maturare" verso l'infanzia." - B. Schulz, Lettere perdute e frammenti, Feltrinelli, 1980. 

* * *

*
“E spesso capitava che all'ora del pranzo, quando tutti sedevamo a tavola, mio padre non ci fosse. Mia madre allora doveva chiamare a lungo: «Jakub! Jakub!» e battere col cucchiaio sulla tavola, prima che egli uscisse fuori da qualche armadio, tutto coperto di ragnatele e di polvere, lo sguardo vacuo e immerso in questioni complicate e a lui solo note, che lo assorbivano completamente. Di tanto in tanto si arrampicava sulla cornice della finestra e assumeva una posizione immobile in perfetta simmetria con il grande avvoltoio impagliato che stava appeso alla parete di fronte. In quella posizione immobile e rannicchiata, con lo sguardo annebbiato e un malizioso sorriso sulle labbra, restava per ore e ore, finché a un tratto, all'apparire di qualcuno nella stanza, si metteva a sbattere le braccia quasi fossero ali e a cantare come un gallo. A poco a poco cessammo di prestare attenzione a quelle stranezze in cui si ingolfava sempre più, di giorno in giorno. Totalmente sbarazzatosi, pareva, dei bisogni corporali, senza toccare cibo per settimane, sprofondava ogni giorno di più in complicati e strani affari, che noi non riuscivamo a comprendere.

Soltanto oggi comprendo il solitario eroismo con cui egli, da solo, mosse guerra all’elemento sconfinato della noia che soffocava la città. Senza alcun appoggio, senza alcun riconoscimento da parte nostra, quell’uomo straordinario difese la causa persa della poesia. Egli era come un mulino magico, nelle cui macine si riversava la crusca delle ore vuote, per riemergere dai suoi ingranaggi fiorita di tutti i colori e i profumi delle spezie d’Oriente."

da "Le Botteghe color cannella". Bruno Schulz

* * *

*
Bruno Schulz
 (nasce il 12 luglio 1892 a Drohobycz, nella Galizia Orientale, oggi Ucraina.
Il 19 novembre del 1942 viene ucciso per strada da un ufficiale della Gestapo. Il suo corpo non verrà mai ritrovato.)

 
 
 

.22.

Post n°24 pubblicato il 15 Luglio 2012 da L.Onely
 

**

*

Ho trovato un posto dove stare seduta tranquilla
e alzarmi ogni tanto nell’attesa
espirare piano tutta l’aria del corpo
restare vuota ad aspettare che anche tu sia vuoto
e neanche vuoto sarà abbastanza.

* *

Tutto ciò che muove sale
come sapienza lungo vie esplorate dai santi
che salamandre e caprioli conoscono molto bene
da molto più tempo
e che le cose praticano nel silenzio della loro natura e mai per caso.
Qui le cose tendono a ciò che è bene per loro
obbedienti
come frecce scagliate verso il bersaglio
e non starò a dire chi è l’arciere.

* *

Dov’e quel tetto di coppi e lamiera
e il muretto – gonfiato d’abbandono
il tornante la sorgente il sentiero
i gesti dei campi le corse in salita il cielo
gonfio di navi ancorate?
Tutto si alza in volute come da un bollitore
svanendo a spirale tutto torna
alla fonte sonora originale
per prendere forma memorabile.

* *

Siedo da anni nell’ansa
dove curvano i pensieri
si congiungono e riavviano
mi infilo nello spazio tra uno e l’altro
allargo le gambe – divarico il tempo
tra la fine e il principio
della pausa prendo l’impronta.

*

*

“In questo testo si compone verso dopo verso la suggestione della sparizione come passaggio. È il mio canto stanziale che si fa parola nomade e apre, ingloba, sputa e riaccoglie al proprio interno. [...] La salvezza insita nella sua saggezza. Mi rivolgo e parlo direttamente a lui: al paesaggio. Invoco la sua forza, l’essenza fisiologica della vita, perché operi un risanamento. È un’invocazione ma è anche una lotta, un’imprecazione, un sacrificio affinché tutto sparisca e rinasca a nuova vita.”
(Antonella Bukovaz)

* * *

non sto in piedi e la terra non manca
io però cerco un'altra materia
a sostenere la geografia che porto
tatuata sotto la pianta dei piedi

*
del prato mi piace l'orlo
dove sfrangiano i cespugli
al limitare del bosco
come i pizzi di una sottoveste
il vento li solleva
in un frusciare di vespe

*
(ed. LietoColle)

ogni giorno sgrano
per le mie figlie un melograno
ne raccolgo le perle in due ciotole
mentre osservano impazienti
e imparano a contare

da Tatuaggi

* * *

*

 

Se io fossi un viaggiatore inquieto e tu la mia casa
ti traslocherei ad ogni partenza
vorrei vedere cosa va perso
e cosa pensato perduto ricompare.

. . .

 

 Draga moja danzo al tuo ritmo
senza mai essere a casa
nei campi a cui
Šiman risaliva la terra
il bosco soffoca ai meli muschiati
la voce fruttuosa
tesa ad arco la faggeta
l’idea aperta dovrebbe invaderti
scatenarsi così intensamente
trasformarti da bersaglio in freccia
ma incaglio è l’antica nomadezza.
Impasto
mederjavka
uova
luštrik moko an mlieko
per risentire l’unica voce che mi appartiene.
*

Voce voce voce
ho bisogno di voce
con la voce
cercata
parlata nella voce.
È stata.
Dove?
Tam! Tam!
Dajte mi glas
glas glas
E ora è
tardi
e ora è
domani.
Tam je blo
ali tamle
... al talee
kje?

da Al limite

* * *

Antonella Bukovaz
(il cognome significa "colei che vive nei pressi del faggio".
Bukev è faggio, bukva è libro)

 

 
 
 

.21.

Post n°23 pubblicato il 14 Luglio 2012 da L.Onely
 

*

Caras Ionut work's

*

Caras Ionut work's

*

Caras Ionut work's

*

Caras Ionut work's

*

Caras Ionut work's

**

Caras  Ionut
(Photographer - Romania)

*

 
 
 

.20.

*

Disegno della tua voce nella riva del sogno,
scogliere di cuscini con quest’odore di costa vicina,
quando gli animali buttati nella cala, le creature di sentina
odorano l’erba e per i ponti si arrampica
un tremito di pelle e di furioso godimento.
Allora mi capita di non conoscerti, aprire l’occhio di questa lampada
a cui sfuggi coprendoti il viso con i capelli,
ti guardo e non so più
se ancora una volta affiori dalla notte
con il disegno esatto di quest’altra notte della tua pelle,
con il ventre che palpita la sua respirazione soave
abbandonata appena nella nostra tiepida spiaggia
da un leggero colpo di risacca.
Ti riconosco, salgo per il profumo dei tuoi capelli
fino a questa voce che nuovamente mi sollecita,
contempliamo
nello stesso tempo la doppia isola sulla quale siamo
naufraghi e paesaggio, piede e arena,
anche tu mi sollevi dal nulla
con il tuo sguardo errabondo sul mio petto sul mio sesso,
la carezza che inventa nella mia cintura il suo galoppo di puledri.
Nella luce sei ombra e io sono luce, sono la luce della tua ombra
e tu gettata nelle alghe fingi l’ombra del mio corpo,
quando la sua angusta fronte ferisce le pietre e proietta
come un fragore di voragine all’altro lato, un territorio
che inutilmente investe e brama.
Ombra della mia luce, come raggiungerti,
come inguainare questo balenio nella tua notte!
Allora c’è un istante segreto
in cui gli occhi cercano negli occhi un volo di gabbiani,
qualcosa che sia orbita e richiamo,
una consacrazione e un labirinto di pipistrelli,
ciò che sorgeva nell’oscurità come un gemere a tentoni,
una pelle che si raffreddava e scendeva, un ritmo rotto,
si muta in convivenza, parola d’ordine, strappo
del vento che si infrange contro la vela bianca,
il grido della vedetta ci esalta,
corriamo insieme fino a che la cresta
dell’onda zenitale ci travolge
in una interminabile cerimonia di spume,
e ricominciano i naufragi, il lento nuoto verso le spiagge,
il sogno bocconi fra meduse morte e i cristalli di sale
dove arde il mondo.
*
L'infinito inizia
*
*
 * * *
Tocco la tua bocca, con il dito tocco il bordo della tua bocca, la disegno come se uscisse dalla mia mano, come se per la prima volta la tua bocca si aprisse, e mi basta chiudere gli occhi per rifarlo tutto e ricominciare, faccio nascere ogni volta la bocca che desidero, la bocca che la mia mano sceglie e ti disegna sulla faccia, una bocca scelta tra tutte, con sovrana libertà scelta da me per disegnarla con la mia mano sulla tua faccia, e che per un caso che non cerco di comprendere coincide esattamente con la tua bocca che sorride da sotto la mia mano che ti disegna. Mi guardi, da vicino mi guardi, sempre più da vicino, e allora giochiamo al ciclope, ci guardiamo ogni volta più da vicino e gli occhi si ingrandiscono, si avvicinano, si sovrappongono, ed i ciclopi si guardano, respirando confusi, le bocche si incontrano e lottano debolmente morderdosi le labbra, appoggiando appena la lingua tra i denti, giocando nei suoi recinti dove un’aria pesante va e viene con un profumo vecchio e un silenzio. Allora le mie mani cercano di fondersi nei tuoi capelli, accarezzare lentamente la profondità dei tuoi capelli mentre ci baciamo come se avessimo la bocca piena di fiori e di pesci, di movimenti vivi, di fragranza oscura. E se ci mordiamo il dolore è dolce, e se ci affoghiamo in un breve e terribile assorbire simultaneo dell’alito, questa istantanea morte è bella. E c’é una sola saliva ed un solo sapore a frutta matura, ed io ti sento tremare contro di me come una luna nell’acqua.
*
da "Il gioco del mondo"
*
*
* * *
Se devo vivere senza di te, che sia duro e cruento,
la minestra fredda, le scarpe rotte, o che a metà dell'opulenza
si alzi il secco ramo della tosse, che latra
il tuo nome deformato, le vocali di spuma, e nelle dita
mi si incollino le lenzuola, e niente mi dia pace.
Non imparerò per questo a meglio amarti,
però sloggiato dalla felicità
saprò quanta me ne davi a volte soltanto standomi nei pressi.
Questo voglio capirlo, ma mi inganno:
sarà necessaria la brina dell'architrave
perché colui che si ripari sotto il portale comprenda
la luce della sala da pranzo, le tovaglie di latte, e l'aroma
dl pane che passa la sua mano bruna per la fessura.
Tanto lontano ormai da te
come un occhio dall'altro,
da questa avversità che assumo nascerà adesso
lo sguardo che alla fine ti meriti.
*
Se devo vivere
*
 * * *
*
 "Week end" di Jean Luc Godard, ispirato al racconto di Cortázar: “La Autopista del Sur”.
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* * *
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Lo que me gusta de tu cuerpo es el sexo.
Lo que me gusta de tu sexo es la boca.
Lo que me gusta de tu boca es la lengua.
Lo que me gusta de tu lengua es la palabra.

**
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Julio  Cortàzar
In (de) Finibile
*
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.19.

Post n°21 pubblicato il 12 Luglio 2012 da L.Onely
 

*

*

A John Dillinger con la speranza che sia sempre vivo.

Grazie per il tacchino selvatico
e i piccioni viaggiatori,destinati
a essere cacati attraverso le sane budella americane.
Grazie per un Continente da saccheggiare e avvelenare.
Grazie per gli Indiani che ci procurano quel tanto di stimoli e di pericoli.
Grazie per le immense mandrie di bisonti da uccidere e scuoiare,
lasciando le carcasse a marcire.
Grazie per le laute ricompense
sui lupi e i coyotes.
Grazie per il SOGNO AMERICANO
da involgarire e falsificare
fin quando la nuda menzogna
non vi risplenda attraverso.
Grazie per il KKK,
per gli uomini di legge che
incidono una tacca per ogni negro ucciso,
per le rispettabili signore casa-e-chiesa
con le loro facce meschine, smunte,
sgradevoli, perverse.
Grazie per gli adesivi
«Ammazza un frocio in nome di Cristo».
Grazie per l'AIDS di laboratorio.
Grazie per il Proibizionismo
e la Lotta contro la Droga.
Grazie per un paese dove a nessuno è dato
di badare ai fatti propri.
Grazie per una nazione di spie
si, grazie per tutti i ricordi...va bene,
facci vedere le tue braccia.
Sei sempre stato un problema,
e ci hai proprio rotto i coglioni.
Grazie per l'ultimo e piu grande
tradimento dell'ultimo e piu grande dei sogni umani.

(Giorno del Ringraziamento 28 novembre 1986)

*

*

Tutto il mio lavoro è diretto contro coloro che per stupidità o per calcolo si dedicano al progetto di far saltare in aria il pianeta o di renderlo inabitabile. Io mi occupo della esatta manipolazione delle parole e delle immagini per creare un'alterazione nella Coscienza del Lettore.

*

William S. Burroughs
(Saint Louis, Missouri, 1914 - Lawrence, Kansas, 1997)
(soprannome: The Invisible Man - Statura: 1,85 m)

*

*

 

 
 
 

.18.

Post n°20 pubblicato il 11 Luglio 2012 da L.Onely
 

*

Io cerco una goccia di pioggia
Appena caduta nel mare
In rapida verticale
Che più delle altre brillava
E sola tra tutte le gocce
Sembrava che avesse capito
Che, dolce, nell'acqua salata
Doveva per sempre sparire.
Da allora la cerco nel mare
La cerco per soddisfare
L'incerto ricordo del quale
Son io il solo custode.
Invano, perché ci son cose
Che nemmeno Dio puó fare
Per quanto si sforzi davvero
E goda del valido aiuto
Dell'aria del cielo e del mare.

 da "La fable du Monde".
La goccia di pioggia (Dio parla)

 

 *
È bello avere scelto
Di vivere la vita
E collocare il tempo
Dentro un cuore infinito,
E avere visto le sue mani
Posarsi sopra il mondo
Come su di una mela
In un orto concluso,
Avere amato la terra,
La luna e il sole
Con un’intimità senza pari,
E avere affidato
Il mondo alla sua memoria
Come un cavaliere luminoso
Si concede al suo cavallo nero,
Avere dato un volto
A queste parole:
Donna, bambini,
Di continenti erranti,
E aver ferito l’anima
A piccoli colpi di remo
Per non impaurirla
Con un urto improvviso.
È bello aver conosciuto
L’ombra sotto le foglie
E avere sentito l’età
Arrampicarsi sul corpo nudo
Avere accompagnato
Lo scorrere doloroso
Di sangue cupo nelle vene
E reso lucente come oro il silenzio
Della stella Pazienza,

E avere tutte queste parole
Che si muovono nella testa
Scegliere le meno belle
Per regalare loro un momento di festa,
Aver sentito la vita
Frettolosa e poco amata
E averla imprigionata
In questa poesia.

Inno alla vita

* * *
*

Supervielle poeta, ma anche valente scrittore:

La bambina dell’oceano, pubblicato nel 1931 (ed. Marcos y Marcos, 1987), è il primo di otto racconti inclusi nella raccolta omonima. Questa bambina senza nome vive in un villaggio situato proprio sull’oceano ed attraversato da una strada d’acqua, un villaggio totalmente disabitato ma non per questo in rovina. Quando all’orizzonte compare un’imbarcazione, la bambina s’addormenta subito profondamente, ed il villaggio scompare sotto la superficie marina; la bambina non riesce a parlare, ma va regolarmente a scuola: una scuola senza classi e senza insegnanti, ma lei i libri li ha, e li mette tutte le mattine diligentemente nella sua grande cartella. Solo una volta un piccolo cargo riesce a transitare su quella strada d’acqua senza provocare lo sprofondamento del villaggio e senza che la bambina cada nel sonno: lei si mette a gridare “aiuto!” ai marinai che le passano vicinissimi senza vedere né lei né le case che sfiorano con le fiancate del cargo. L’atmosfera sospesa tra incubo e racconto fiabesco si scioglie nel finale straziante, “Marinai che sognate in alto mare, i gomiti appoggiati al parapetto, guardatevi dal pensare a lungo nel buio della notte, a un viso amato.”: quella del racconto è infatti un essere “che non può vivere, né morire, nè amare e tuttavia soffre come se vivesse, amasse e fosse sempre sul punto di morire”, cui una notte un marinaio aveva dato vita autonoma, pensando con disperazione alla figlia dodicenne che aveva perduto mentre era assente per uno dei suoi viaggi.

 (dal web) 
Il ragazzo della domenica ... e degli altri giorni

"... vantò l’approvazione incondizionata di Eugenio Montale, come noto non tenero con i colleghi di penna. Celebre soprattutto come poeta, ma romanziere di vaglia, Jules aderì al surrealismo, non senza ritagliarsi uno spazio proprio. [...] Secondo Giancarlo Pontiggia, autore di un’acuta ’Introduzione’, ci si trova davanti a un " vero e proprio testo di poetica informa narrativa". Il ragazzo della domenica è però molto di più. Il tema supervielliano dell’approdo nel razionale e nella scrittura della sfera onirica e ’surreale’ è presente all’appello. La descrizione del poeta come ’sognatore’, pure. Non mancano i riflessi autobiografici: l’esordio lirico sotto le insegne dell’usurato romanticismo, la doppia vita francese e uruguaiana. Ma la rete dei messaggi è molto più fitta. Il topos delle metamorfosi, caro alla tradizione occidentale, è trattato in maniera inconsueta. Né principio ordinatore del mondo, come in Ovidio. Né simbolo di claustrofobica immobilità, come in Franz Kafka. Il lettore non potrà fare a meno di interrogarsi, come lo stesso Apestègue , indeciso su come chiamare la parte di sé in viaggio da un essere all’altro, a un certo punto addirittura alle prese con la rivolta delle ’anime’ dei propri organismi. Tavolozza di richiami culturali ricchi, da Virgilio a Pitagora, da Agrippa alla metempsicosi e alla psicanalisi. Un cubo di Rubik le cui facce non combaciano mai." (tratto da "Il Foglio" - 19.09.2001)

 

*
ll ragazzo della domenica... e degli altri giorni
Ed. Meridianozero - 144 pp.

 

 

 Jules Supervielle
(poeta. scrittore. visionario. Montevideo 1884 - Parigi 1960)



"Sarei molto imbarazzato nel dire se devo di più a Omero o alla linea
del transatlantico che fa servizio tra Bordeaux e Montevideo"

*

*

 
 
 

.17.

Post n°19 pubblicato il 11 Luglio 2012 da L.Onely
 

*

*

*

Io sono il viaggiatore e viaggio e viaggio,
viaggio attraverso i bassifondi delle città,
vedo le stelle venir fuori dal cielo,
yeah il cielo splendente e vuoto,
sai, sembra così bello stanotte,

io sono il viaggiatore,
io stò sotto il vetro,
guardo attraverso la mia finestra così lucente,
vedo le stelle venir fuori stanotte
vedo il cielo splendente e vuoto
sui bassifondi squarciati della città,
e tutto è così bello stanotte
cantando la la la...

entra nell'auto,
noi saremo il viaggiatore,
viaggeremo attraverso la città stanotte,
vedremo i bassifondi squarciati della città,
vedremo il cielo splendente e vuoto,
vedremo le stelle che brillano così splendenti,
stelle fatte per noi stanotte.

oh il viaggiatore,
come viaggia?
oh il viaggiatore
e lui viaggia e viaggia.
guarda attraverso le sue finestre,
che cosa vede?
vede il cielo segnato e vuoto,
vede le stelle venir fuori dal cielo,
vede l'oceano un viaggio sinuoso,
e tutto è stato fatto per te e me stanotte,
tutto questo è stato fatto per te e me,
perchè questo appartiene solo a te e me
allora facciamo un viaggio e vediamo cosa è mio,
cantando la la la...

oh il viaggiatore,
viaggia e viaggia,
vede cose da sotto il vetro,
vede cose dalla sua parte di finestra,
vede le cose che sa che sono sue,
vede il cielo splendente e vuoto,
vede la città dormire di notte,
vede le stelle che sono fuori stanotte
e tutto questo è tuo e mio
e tutto questo è tuo e mio
allora facciamo un viaggio e un altro e un altro
cantando la la la...

The Passenger _ Iggy Pop

*

 
 
 

.16.

Post n°18 pubblicato il 10 Luglio 2012 da L.Onely
 

*

Quando uno non ha abbracciato nessuno
da giovane, per anni, per decenni,
perché bloccato, per l'educazione,
per timidezza, per la solitudine,
perché in famiglia non si usa o per altri
motivi, quando finalmente abbraccia
- perché, a un'età qualsiasi, succede
che si sciolgano i nodi - allora lui
mentre abbraccia, è come i sordomuti
quando imparano col metodo vocale:
fanno vibrare le corde e ci contano
di emettere quel suono, ma non è che lo sentono:
guardano l'altro e se l'altro ha capito
sono felici: ci sono riusciti,
con l'impegno e il puntiglio, a fare il suono.



 

 

 

 

 

 

*
Così l'analfabeta degli abbracci,
quando finalmente si decide,
non ha gesti spontanei, studia come
muovere il braccio, la spalla, come stringere
di più o di meno, è stupito e impaurito
- benché felice - del contatto del corpo
sul corpo. È felice, è più felice di altri
che hanno sempre abbracciato, fin da piccoli:
è felice, è una conquista: ma recita
l'abbraccio, è in ansia che gli venga bene,
in pratica lo mette in scena, e gli altri
se ne accorgono, a volte se ne accorgono
e credono che sia un abbraccio finto:
invece è il più felice degli abbracci:
lui ci è arrivato per strade difficili
e quasi piange mentre riesce a fare
ciò che per altri è una cosa normale.

Se incontri uno così, devi capire
che non è finto, è il più vero dei veri:
lui finge ciò che veramente fa
perché non lo sa fare senza fingere:
è un po' come il poeta di Pessoa,
ma è così vero che dopo l'abbraccio
riuscirebbe a volare per la gioia:
però nessuno se ne accorge mai
perché, come l'abbraccio, anche lo sguardo
e gli altri gesti sono troppo incerti,
sgrammaticati, come di straniero,
e si resta perplessi, diffidenti.

Sono persone che fanno fatica
nelle cose più semplici, che mai
ti aspetteresti. Poi da soli in casa
cantano, ridono, scrivono versi.


L'abbraccio analfabeta _ Carlo Molinaro

*

*

*

 
 
 

.15.

Post n°16 pubblicato il 09 Luglio 2012 da L.Onely
 

*


Che miseria il piacere: non egregio,  
ma angusto privilegio,
per quanto dolce, breve
come la foglia che cadrà.
E’ gioia che non dura,
limitata misura.

Che delizia il dolore, quando sai
che domani te ne libererai.
Per quanto freddo e oscuro,
ti lascerà in futuro.
Che gusto quel dolore
che l’indomani muore

Memento mori

*

La speranza che ho sognato era un sogno,
soltanto un sogno, mi risveglio ora,
sconfortata, esausta e vecchia,
per un sogno.

Appendo la mia arpa a un albero,
un salice piangente in un lago:
lì appendo l’arpa ammutolita, logora e spaccata,
per un sogno.

Sta’ quieto, sta’ quieto, cuore infranto,
cuore silenzioso, stai quieto e spezzati:
la vita e il mondo sono cambiati, ed io stessa,
per un sogno.

Miraggio

*

Alla mia morte,amore,
meste canzoni non cantare,
al mio capo non piantare rose
né cipresso ombroso.

Ma l’erba sopra di me
irrora di piogge e rugiade,
e se ti piace ricorda
e scorda se ti piace.

Io non vedrò le ombre,
e le piogge non sentirò
né non vedrò l’usignolo
cantare, in lungo pianto.

Ma nel crepuscolo sognando
che non tramonta né risorge,
io ricorderò forse
e forse scorderò.

da "Tre canzoni" Traduzione di Cristina Campo

 

Christina  Georgina Rossetti
(poetessa. inglese. genitori italiani. londra, 1830 - 1894)

*

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