Accade che si tracci un profilo. Le linee nascono dall'evolversi dei gesti, delle parole, lo svolgersi delle azioni, delle reazioni, un relazionarsi che via via dà vita al disegno. Linee morbide, che hanno la variabilità dell'umano, sfumature di tinte che mutano, talvolta impercettibilmente, altre con maggiore decisione. Ma il profilo, nella sua forma portante, rimane quello. A volte capita che volgi lo sguardo verso quelle linee, con la certezza ingenua di trovare quel che sai, quel che pensavi di sapere, quel che in qualche modo è diventato consueto, ed ha iniziato ad emanare odore di casa. E invece no. Rabbia - Incredulità - Dolore - Delusione - Accettazione. Certo, colori e linee si aggiungono, si modificano nella variabilità insita nell'essenza stessa del profilo. Azzurro che si bagna di viola, arancione che indebolito sfocia nel giallo, una retta che stancamente si curva un po', un ghirigoro che si fa schizzo... prevedibile, naturale, lecito, quasi irrinunciabile, per chiunque. Ma se ad un certo punto quel giallo diventasse troppo giallo, iniziasse ad emanare una luce accecante, se quell'azzuro rinunciasse alla sua frequenza per sempre coprendosi di nero, se quelle linee si intrecciassero in modo da confondere figura e sfondo come in una illusione ottica gestaltiana, allora, quale odore emanerebbe quel profilo? Forse quello di un'altra casa, non più la tua. E ricerchi con fretta quasi spasmodica tutti quei segni che lo avevano tracciato, che lo avevano colorato di quelle tinte, proprio di quelle, non di altre. Tutte le parole, i gesti, le azioni, i racconti condivisi, le complicità, le emozioni colte e subito rese, gli sguardi, il tocco, il non detto che suona, le ore vissute... dove sono? Che fine hanno fatto? Eppure c'erano, le ricordi, volendo le sapresti raccontare, e le urleresti chiedendone conto, occhi si muovono veloci cercandone segni, ma quel giallo li acceca, quella forma confonde, quel disegno è estraneo. E tutto non è mai esistito. Mai. Rabbia - Incredulità - Dolore - Delusione - Accettazione. Ma anche io sono così?
|
In questi giorni alcune cose si vanno chiarendo o almeno dipanando un po'. Il susseguirsi degli stati d'animo, le reazioni emotive agli eventi, l'agire e soprattutto il non agire che ne consegue, mi raccontano molto del fluire dentro di me, dei passaggi che, se pur lenti e faticosi, si compiono quasi senza che io ne abbia controllo. Si sente. E poi ad un certo punto, dopo che l'oltre, snaturato, diventa inizio e qualsiasi misura anche la più fantasiosa è ormai superata, si sente sempre meno e infine non si sente più. Non so dimenticare e non lo voglio. E non perdono. Certo la chiusura che sento forte e netta in me è innegabile ma forse avrà il suo tempo. Molta prudenza in ogni direzione e poche spinte verso. Mi è sempre più chiaro cosa per me significhi una relazione bdsm e questo è già qualcosa, anche se, come sempre, sto e lascio agli eventi il loro fluire. Insomma, non è un gran bilancio fuori di me, ma dentro non è poi malaccio anche se so di vivere una stasi che credo fisiologica, ma confido nel fatto che anche questa passerà lasciandomi sempre più libera di essere.
|
Post n°5 pubblicato il 25 Gennaio 2009 da inconsueta.mente
Finalmente è arrivata. Un po’ di tepore a scaldarmi, ho sempre troppo freddo. La giacca di pelle e quell’anello che brilla, me lo aveva indicato Laura in quella vetrina d’estate. Non so mai fermarmi su ciò che brilla, ma è un bell’anello. Brilla di verde, come la pashmina da qualche euro che ammicca. La guardo. – Oggi vieni con me –
Ho voglia di camminare, stranamente. E sorrido e sono tranquilla. Stranamente? Non lo so, non sento nulla di ciò che ho letto in rete circa i primi incontri, quella tensione, quel pathos, misto ad imbarazzo, paura ed eccitazione. Nulla di tutto questo. Sono molto tranquilla, uno stato di attivazione gioioso regola il mio passo. Per me non è un primo incontro. Lo conosco, mi conosce. Non ricordo bene come sia accaduto, so solo che doveva accadere. Cammino. Metrò. Mi sono sempre divertita a fare un gioco stupido. Occhi bassi a guadare solo le scarpe dei miei compagni di viaggio e immaginare il resto, cercando di indovinarne i contorni. Chissà cosa dicono le mie scarpe. Chissà se raccontano di me, di noi.
Mi siedo nel locale che mi hai detto, fuori, oggi la temperatura lo permette. Sono sola. Ora un po’ di agitazione inizio ad avvertirla, non so dove mettere le mani. Fumo. Caffè. 10 minuti. Fumo. Cristo santo, ma dove caspita è finito. Non chiamo. Arriverà. Arriva. Si ferma e sorride, un sorriso accennato. Vedo solo gli occhi che si siedono ad un altro tavolo, vicino al mio, occhi che mi guardano e che guardo. Dove siamo? Non so. Silenzio. E mentre si stempera quello sguardo muto e attento, gradualmente mi calmo, appoggio la schiena alla sedia e sto, lì, fra i suoi occhi. Perché non mi saluta? Perché sta lì, lontano? Mi dirà qualcosa? Dovrei dire qualcosa? Mi alzo io? Perché non mi parla? Perché non mi faccio nessuna di queste domande? Non ho nulla in testa, nessuna parola, ogni tanto solo un respiro un po’ più profondo.
- Ora andiamo - Ti seguo, il passo è lento. E non ti guardo, lo sguardo va sulle tue scarpe e sulle mie. Chissà cosa raccontano le nostre scarpe. Il portiere dell’albergo ti porge la chiave, gli fai cenno di darla a me. Sarò io ad aprire la porta. Fermi uno di fronte all’altra, mi spogli solo della giacca. - Come stai? - - Sto bene, sono dove vorrei - - Vuoi venire a vedere? - - Sì - Il tuo sguardo si fa pieno di freddo e caldo, non lo so dire, ti vedo eppure sento solo le mani che giocano con la pashima, la svolgi dal collo e mi avvolgi nel buio.
- Vedrai meglio - - Hai paura? - Ho paura? Non lo so. Non rispondo. E rompi quell’attimo con la lingua mi bagni della tua saliva ed è immediato respiro che si spezza, gambe tremano un po’, emozione che divora e occupa ogni spazio. Non lo avrei mai immaginato, mai. E il mio bacio esplode nel tuo. Il mio bacio vuole, vuole, vuole. Lo senti, ti fermi, mi fermi. E rimango con le labbra aperte bagnate di te. - No, non hai paura – No, non ho paura.
Mi spingi sul letto come per giocare, urlo e rido di quella sorpresa. La mia risata si spegne lentamente sul tuo silenzio che mi guarda e mi spoglia. La tua voce è lì accanto. - Perché sei qui? – Mi agito e accenno a spostarmi su un fianco - Stai ferma! – - Perché sei qui? -
Ora, ho paura, sì. E pretendi ogni parola e nessuna ti basta, parole di resa che dicono ciò che non è più evitabile, ciò che ora esigi mentre non sento il tuo tocco. Le vuoi tutte, non molli, frughi, non risparmi nulla. Le strappi alla mia stessa coscienza. E i miei “non lo so” sbattono contro i “devi saperlo” e tutto si fa fatica, terrore, verità, specchio e fa male, perché forse non sarà vero, forse non sarà così e me lo sputi in faccia con durezza svelando ciò che nessuno ha mai compreso dietro le lacrime del mio orgasmo. Ho paura sì. E ne avrò per molto tempo, e le lacrime scendono senza orgasmo ora e senza tocco e ti imploro di smetterla, di lasciarmi andare, di non torturare la mia fragilità che fagociti come un animale affamato, ma non ti fermi, neanche oltre il singhiozzo e il corpo si scuote mimando da dentro un fuga, debole, appena accennata.
- S t a i f e r m a ! – E continui e mi scavi e sono più nuda della mia pelle che non abbracci. E ti prego ancora. Basta. Basta. Basta. Lasciami, lasciami il respiro almeno. Ma non sono legata, né prigioniera, Solo una pashmina verde sui miei occhi. Solo un semplice gesto per liberarmene. Ma non vorrei che essere qui, fra le tue parole che uccidono le mie. _________________________________________________
|
Post n°3 pubblicato il 19 Gennaio 2009 da inconsueta.mente
Cosa fa dire ciò che non è? Il suono? La voglia imperante che quel melodioso rumore completi il senso, doni armonia arricchendone l’attimo? Cosa fa compiere gesti che iniziano e finiscono al contempo? Quale la spinta di quel movimento che fende l’aria senza spostarla? Totale l’inconsapevolezza della regia e dell’arte candida del proprio delirio, come in un copione senza sbavature. Ecco, forse l’edonismo è la forza propulsiva che tende a disegnare perfetti cerchi di aria che appagano il senso della forma, ma effimeri, si dissolvono in altra aria. Illusa armonia. Odio l’arte. E non c’è menzogna o dolo e lo senti vero perché vero è, ma solo e soltanto nell’hic et nunc. Ho conosciuto sulla pelle la differenza fra il qui e ora e il sempre relativo e la paleso perché non c’è regia e vedo il dentro e il fuori nello stesso istante. Un ragazzina che mai è stata tale che vedeva aprirsi la porta delle proiezioni, proprie e altrui, la loro forza che trascina e invade, il suo arrivare violento per poi scivolare via, come se nessuna tempesta fosse passata. Evanescente simbiosi che evapora. E quale meraviglia, che sconvolgimento conquistare quella consapevolezza, pericolosa ma anche illuminante, come il vedere per la prima volta il mare. Il circoscritto e l’infinito che paiono follemente in contrasto perché se uno è vero l’altro non può esistere, come vivere entrambi i livelli? E invece esistono, coesistono, ma non vanno confusi, mescolati, ingarbugliati. Ore ed ore, giorni e giorni per metabolizzarla, tempo prezioso di quella vita un po’ lontana, ma solo un po’. E l’ingenuità bambina che pur condivide la sua casa con il realismo cinico, mi fa scioccamente credere che tutti abbiano aperto quella porta, che non confondano, che sappiano, ma non è così, quasi per nessuno. Terribile inquietudine rendersene conto, ancora una volta. E quel senso di solitudine e incomunicabilità di ciò che per me è chiaro, palese, quasi banale. Forse questo mi fa davvero diversa, quella doppia prospettiva che si fa tripla e quadrupla e ancora e ancora…. ma mai si confonde. E mai confonde il qui con l’altrove, l’adesso con il sempre. No. Non vale tutto. No. Mi inchino con sacro rispetto di fronte ai non lo so, alle parole contate, al pudore degli slanci trattenuti, al tempo dilatato del sempre e ovunque e con altrettanta intensità mi inchino ai sì urlati nel vento, alle parole e ai sussurri che travolgono, ai tuffi nell’anima, agli istanti brucianti del qui e ora. Mi inchino alla consapevolezza della differenza. Ma delusione e pena per l’inverso. Persino disprezzo. No non vale tutto, perché tutto ha un valore. E prego che nessuno mai lo faccia con i bambini, come potrebbero viverlo se come il più meschino e vile dei tradimenti? Quante volte, mi domando, ripeterò lo stesso errore, quante ancora? E arresa a me stessa so che accadrà fino a quando il fiato verrà a mancare, le lacrime diverranno cristalli, le rughe spiegate nel sonno e la morte prenderà una vecchia che mai sarà stata tale. |
Inviato da: donluisito
il 26/02/2009 alle 14:27
Inviato da: inconsueta.mente
il 18/02/2009 alle 02:10
Inviato da: PoveraLinguaItaliana
il 15/02/2009 alle 19:32
Inviato da: inconsueta.mente
il 28/01/2009 alle 22:10
Inviato da: sguardidinebbia
il 28/01/2009 alle 20:06