Dangerous Liaisons

Il Visconte di Valmont alla Marchesa di Merteuil


Eccola dunque vinta, questa donna superba che aveva osato credere di potermi resistere! Sì, mia cara amica, è mia, interamente mia, e da ieri non ha più niente da concedermi. Sono ancora troppo pieno della mia felicità, per poterla apprezzare, ma mi stupisco dell'incanto ignoto che ho provato. Sarebbe dunque vero che la virtù accresce il pregio di una donna perfino nel momento della sua debolezza? Ma releghiamo quest'idea puerile tra le favole delle donnette. Non si incontra quasi sempre una resistenza più o meno ben mascherata, al primo trionfo? E quando mai ho provato prima un simile incanto? E non è nemmeno quello dell'amore, perché infine, se ho avuto, accanto a questa donna sorprendente, dei momenti di debolezza che assomigliavano a questa passione pusillanime, ho sempre saputo dominarli e tornare ai miei principi. E se anche la scena di ieri mi avesse portato un po' più lontano di quel che pensassi, quando anche avessi condiviso il turbamento e l'ebbrezza che suscitavo, questa illusione passeggera adesso sarebbe dissolta invece rimane il medesimo incanto. Sarebbe anche dolce, lo confesso abbandonarmi a esso se non mi procurasse qualche inquietudine. Sarei dunque, alla mia età, dominato come uno scolaretto da un sentimento involontario e sconosciuto? No, bisogna prima di tutto combatterlo e analizzarlo. Del resto, forse ne ho già intuito la causa. Almeno mi compiaccio di questa idea e vorrei fosse vera. Fra la schiera di donne con cui ho svolto finora il ruolo e la funzione di amante, non ne avevo mai trovata nessuna che avesse tanta voglia di darsi quanta ne avevo io di costringerla a farlo. Mi ero abituato perfino a chiamare schizzinose quelle che facevano soltanto metà della strada, in confronto a tante altre la cui difesa provocante mascherava a malapena le prime avances che esse stesse avevano fatto. Qui invece ho trovato all'inizio una prevenzione sfavorevole rafforzata dai consigli e dalle informazioni di una donna che mi odia ma è lucida; un'estrema timidezza fortificata da un pudore oculato, un'adesione assoluta alla virtù che, guidata dalla religione, trionfava già da due anni; infine alcune abili mosse, ispirate a questi differenti motivi, e tutte volte allo scopo di sottrarsi alla mia persecuzione. Non è quindi come nelle altre avventure, una semplice capitolazione, più o meno vantaggiosa e di cui è più facile approfittare che inorgoglirsi; è una vittoria completa, conquistata con una campagna difficile e decisa da premeditate manovre. Non c'è quindi da stupirsi che questo successo, dovuto solo a me, divenga più prezioso ai miei occhi. Insomma, il maggior piacere che ho provato durante il trionfo e che ancora adesso risento, non è che la dolce sensazione del sentimento della gloria. Questo modo di giudicare la cosa, mi piace perché mi salva dall'umiliazione di pensare che possa dipendere in qualche modo dalla schiava stessa che mi sono asservita; che io non abbia in me solo, la pienezza della mia felicità, e che la capacità di farmela godere sia riservata a questa o quella donna con esclusione di tutte le altre. Queste sagge riflessioni guideranno la mia condotta in questa importante occasione, e potete star sicura che non mi lascerò incatenare tanto, da non riuscire a spezzare questo nuovo legame, gestendolo come voglio. Ma già vi parlo della rottura e voi non sapete ancora in quale modo ne ho acquistato il diritto. Leggete, dunque, e vedete a cosa si espone la saggezza quando tenta di venire in aiuto alla follia. Ho studiato con tanta attenzione le mie parole e le risposte che spero di riportarvele con tale esattezza da farvi contenta. Dalle copie delle lettere qui accluse vedrete quale mediatore ho scelto per riavvicinarmi alla mia Bella, e con quale zelo il sant'uomo si è dato da fare per riunirci. Bisogna che vi dica, anche, che da una lettera intercettata, secondo il solito sistema, il timore e la leggera umiliazione di essere lasciata, avevano fatto vacillare la prudenza dell'austera devota, e le avevano riempito il cuore e la testa di sentimenti e di idee che, pur non avendo alcun senso comune, non erano tuttavia meno interessanti. Dopo questi preliminari interessanti da conoscere, ieri, giovedì 28, giorno fissato e concesso dalla mia ingrata, mi sono presentato a casa sua come uno schiavo timido e pentito per uscirne però vincitore incoronato. Erano le sei del pomeriggio quando sono arrivato alla porta della Bella reclusa; infatti da quando è tornata, la sua porta è rimasta chiusa a tutti. Quando venni annunciato, lei tentò di alzarsi ma le ginocchia le tremavano impedendole di restare in piedi, così si rimise subito a sedere. Siccome il domestico che mi aveva fatto entrare aveva qualche faccenda da sbrigare nella stanza, lei mi sembrò spazientita. Riempimmo questo intervallo coi soliti complimenti d'uso. Ma per non perdere neanche un istante di un tempo per entrambi prezioso, io esaminavo con cura il locale e fin da quel momento stabilii il teatro della mia vittoria. Non avrei potuto sceglierne uno più comodo perché nella stanza c'era un'ottomana, ma notai che di fronte c'era un ritratto del marito, ed ebbi paura, lo confesso, avendo a che fare con una donna così strana, che uno sguardo in quella direzione potesse di struggere in un solo momento l'opera preparata con tanta cura. Alla fine restammo soli ed entrai in argomento. Dopo aver esposto in poche parole che Padre Anselmo avrebbe dovuto averla informata dei motivi della mia visita, mi sono lamentato del severo trattamento a cui ero stato sottoposto, e insistetti soprattutto sul disprezzo che mi era stato dimostrato. Come mi aspettavo e come voi aspetterete, lei si è difesa; e io allora ho basato le mie prove sulla diffidenza e il timore che le avevo ispirato, la fuga scandalosa che ne era seguita, il rifiuto di rispondere alle mie lettere e perfino di riceverle ecc. ecc. Siccome cominciava una giustificazione che sarebbe stata molto facile, ho creduto doverla interrompere e per farmi perdonare il modo brusco l'ho addolcita subito con una frase gentile: «Se il vostro fascino ha avuto un'impressione così profonda sul mio cuore, la vostra virtù non ha agito meno sulla mia anima. Sedotto senza dubbio dal desiderio di imitarvi, avevo osato credermi degno. Non vi rimprovero di avermi giudicato altrimenti, ma mi punisco del mio errore. «Siccome lei taceva imbarazzata, continuai: «Ho desiderato, Signora, giustificarmi ai vostri occhi, o almeno ottenere il perdono per i torti che mi attribuite, per porre fine a una vita che non ha più alcun valore dal momento che avete rifiutato di renderla bella.»A questo punto ha tentato di rispondermi: «Il mio dovere non mi permetteva...» e la difficoltà di completare la menzogna che il dovere esigeva, non le ha permesso di finire la frase. Ho dunque ripreso con tono estremamente tenero: «È me allora che volevate fuggire, vero?» «Questa partenza era necessaria.» «E adesso mi allontanate?» «È indispensabile.» «È per sempre?» «Devo farlo.»Non ho bisogno di dirvi che durante questo breve dialogo, la voce della tenera pudica era soffocata e i suoi occhi non si alzavano mai fino a me. Ritenni di dover vivificare un po' questa scena e perciò alzandomi con aria un po' risentita dissi: «La vostra fermezza mi restituisce tutta la mia. E va bene, Signora, saremo separati, molto di più di quanto pensiate, e avrete tutto il tempo di rallegrarvi dell'opera vostra.»Un po' sorpresa da questo tono di rimprovero, tentò di ribattere: «La decisione che avete presa...» disse.«Non è che l'effetto della mia disperazione! esclamai con impeto. «Avete voluto che fossi infelice; vi proverò che ci siete riuscita al di là dei vostri desideri.» «Io desidero solo la vostra felicità» rispose lei, e il suono della sua voce cominciava a tradire un'emozione vivissima. Allora mi precipitai ai suoi piedi e con il tono drammatico che mi conoscete gridai: «Ah, crudele! Può esistere una felicità per me che voi non condividiate? Dove trovarla lontano da voi? Ah, mai, mai!» Vi confesso che abbandonandomi fino a quel punto avevo contato molto sull'aiuto delle lacrime, ma, sia per la cattiva disposizione, sia per l'effetto della continua e penosa tensione che ponevo in ogni particolare, mi fu impossibile piangere. Per fortuna mi ricordai che per soggiogare una donna ogni mezzo è buono e bastava stupirla con un gran gesto per ottenere un'impressione profonda e favorevole. Quindi supplii col terrore all'emozione che era scarsa e, cambiando solo l'inflessione della voce, mantenendo la stessa posizione: «Sì,» continuai, «o avervi o morire!» E pronunciando queste parole i nostri occhi si incontrarono. Non so che cosa vide o credette di vedere nei miei quella timida creatura, ma si alzò con aria spaventata e sfuggì dalle mie braccia che tentavano di circondarla. È vero che non feci nulla per trattenerla, perché avevo notato più volte che le scene di disperazione troppo insistite cadono nel ridicolo non appena vanno troppo per le lunghe, oppure portano a conseguenze tragiche che ero ben lontano dal volere. Tuttavia, mentre cercava di sfuggirmi, aggiunsi a voce bassa e sinistra ma in modo che potesse udirmi: «Ebbene, sì, la morte!»Allora mi alzai in silenzio e gettai su di lei, come per caso, uno sguardo truce che doveva apparire smarrito, ma era attento e indagatore. L'aspetto sconcertato, il respiro affannoso, i muscoli contratti, le braccia tremanti sollevate a metà, tutto mi dimostrava chiaramente che l'effetto era quello voluto; ma siccome in amore non si conclude niente, se non si è molto vicini e noi eravamo lontani l'uno dall'altro, bisognava prima di tutto avvicinarci. A tale scopo passai rapidamente a uno stato di apparente tranquillità, tale da calmare l'effetto di quella violenta emozione senza affievolirne l'impressione. Ecco i successivi momenti del passaggio: «Sono veramente disgraziato. Ho voluto vivere per la vostra felicità e l'ho turbata. Mi sacrifico per la vostra pace e turbo anche questa.» Poi con aria più composta ma impacciata: «Perdonatemi, Signora, poco abituato alle tempeste della passione, ríesco a stento a reprimerne gli slanci. Se ho avuto torto ad abbandonarmi a essa, pensate almeno che è l'ultima volta. Ah, calmatevi, calmatevi, vi scongiuro!» E mentre facevo questo lungo discorso mi avvicinavo sensibilmente a lei.«Se volete che mi calmi,» rispose la Bella sconvolta, «cercate di essere calmo anche voi.«Ebbene, sì, ve lo prometto,» le dico; e poi aggiunsi con voce più fievole: «Se lo sforzo è grande, almeno non sarà lungo • e ripresi subito con aria smarrita: «Sono venuto per rendervi le lettere, non è vero? Di grazia, degnatevi di riprenderle. Mi resta da compiere questo doloroso sacrificio; non lasciatemi niente che possa indebolire il mio coraggio.» Ed estraendo dalla tasca il prezioso pacchetto: «Ecco il fallace deposito delle vostre dichiarazioni di amicizia. Mi teneva attaccato alla vita, riprendetevelo. Date voi stessa il segnale che deve separarmi da voi per sempre! A questo punto la timorosa innamorata cedette completamente alla sua tenera inquietudine: «M. de Valmont che avete? Che volete dire? Il passo che state facendo non è spontaneo, non è il frutto delle vostre riflessioni? Non sono esse che vi hanno indotto a prendere la decisione necessaria che io ho seguito per dovere?» «Ebbene,» ripresi, «questa decisione ne ha dettata un'altra. «E quale?» «La sola che possa metter fine alle mie sofferenze, separandomi da voi...Ma rispondetemi, qual è? A questo punto la strinsi fra le braccia senza che lei si difendesse minimamente e giudicando da questo oblio delle convenienze quanto doveva esser forte la sua emozione: «Donna adorabile,» le dico tentando la via dell'entusiasmo, «voi non avete idea dell'amore che ispirate, voi non saprete mai fino a qual punto siete stata adorata e come questo sentimento mi fosse più caro della mia stessa vita! Possano i vostri giorni essere tranquilli e felici, possano abbellirsi di tutta la felicità di cui mi avete privato! Ricambiate, almeno, questo mio augurio sincero con un rimpianto, una lacrima, e ricordate che l'ultimo sacrificio non sarà il più doloroso Addio!»Mentre le parlavo, sentivo il suo cuore palpitare violentemente, osservavo il suo volto alterato, vedevo soprattutto le lacrime soffocarla, anche se sgorgavano rare e a fatica. Solo allora presi la decisione di fingere di andarmene, ma lei, trattenendomi a forza: «No, ascoltatemi;» disse vivamente. «Lasciatemi,» risposi. «Mi ascolterete, lo voglio.» «Bisogna che vi fugga, è necessario.» «No!» gridò lei. A quest'ultima parola, si precipitò, anzi cadde svenuta tra le mie braccia. Siccome dubitavo ancora di un così felice successo, finsi un grande spavento; ma pur spaventato davvero, la conducevo o piuttosto la portavo verso il luogo designato come campo della mia gloria; e infatti non tornò in sé, se non quando ormai era sottomessa e già in balia del suo fortunato vincitore. Fin qui, mia bella amica, mi concederete una purezza di metodo che vi farà piacere; e vedrete che non mi sono scostato in niente dai veri principi di questa guerra che, come abbiamo spesso notato, è così simile all'altra. Giudicatemi, dunque, come giudichereste Turenne o Federico. Ho costretto a combattere il nemico che voleva temporeggiare; ho scelto io stesso il terreno e la posizione con sapienti manovre; ho saputo spirare la sicurezza al nemico, per raggiungerlo più facilmente durante la ritirata; ho saputo ispirare il terrore prima di arrivare al combattimento, non ho lasciato niente al caso, se non in considerazione di un grande vantaggio in caso di vittoria e della certezza di molte vie di scampo in caso di sconfitta; infine ho dato inizio all'azione solo dopo essermi assicurato una ritirata attraverso la quale potersi coprire e conservare tutto quello che avevo conquistato precedentemente. Credo che più di così non si possa fare; ma temo adesso, di essermi infiacchito come Annibale nelle delizie di Capua. Ecco cosa è successo dopo. Mi aspettavo che un così grande avvenimento non passasse senza le lacrime e la disperazione d'obbliga; e se notai da principio un po' di confusione e una sorta di raccoglimento li attribuii entrambi alle sue qualità di pudica, così senza badare a queste leggere differenze che ritenevo puramente contingenti, seguivo semplicemente la strada maestra delle consolazioni, convinto, come sempre succede, che le sensazioni avrebbero aiutato il sentimento, e che una sola azione varrebbe più di tutti i di scorsi che però non trascuravo. Ma trovai una resistenza veramente incredibile, non tanto per la violenza quanto per la forma in cui si manifestava. Immaginatevi una donna, seduta rigida, immobile, un volto impietrito che sembra non pensare né ascoltare, dai cui occhi fissi sfuggono lacrime che colano in continuazione, senza sforzo. Tale era Mme de Tourvel, mentre le parlavo; ma se tentavo di portare la sua attenzione su di me con una carezza, col gesto più innocente, a questa apparente apatia seguivano subito il terrore, soffocazioni, convulsioni, singhiozzi, e a tratti un grido ma senza una parola articolata. Queste crisi si ripeterono più volte e sempre più forti; l'ultima fu così violenta, che ne fui decisamente scoraggiato e temetti per un momento di aver riportato una vittoria inutile. Ripiegai sui luoghi comuni d'uso e tra tutti scelsi questo: «E voi siete disperata perché mi avete fatto felice?» A questa frase l'adorabile creatura si girò verso di me, e il suo viso, sebbene ancora un po' sconvolto, aveva tuttavia già ripreso la sua espressione celestiale: «La vostra felicità!» mi disse. Potete immaginare la mia risposta. «Siete dunque felice? ,» Raddoppiai le mie proteste. «E felice per causa mia!» Aggiunsi lodi e frasi piene di tenerezza. Mentre parlavo tutte le sue membra si rilassarono; ricadde mollemente, appoggiandosi alla poltrona e abbandonandomi una mano che avevo osato prendere: «Sento, disse, «che questo pensiero mi consola e mi dà sollievo.» Capite che rimessomi sulla strada giusta, non la lasciai più, ed era davvero la giusta, forse la sola. Così quando volli tentare una seconda volta, trovai all'inizio qualche resistenza; ciò che era avvenuto prima mi rendeva circospetto, ma avendo chiamato in aiuto questa stessa idea della mia felicità, ne sentii subito i favorevoli effetti: «Avete ragione,» mi disse la tenera creatura, «non posso più sopportare la mia esistenza, se non in quanto servirà a farvi felice. Mi consacro interamente a questo scopo; da questo momento mi do a voi, e voi non avrete più da parte mia né rifiuti né rimpianti. Fu con questo candore ingenuo o sublime che ella mi dette tutta se stessa e le sue grazie accrescendo la mia felicità con la sua partecipazione. L'ebbrezza fu completa e reciproca e per la prima volta la mia andò al di là del puro piacere. Mi staccai dalle sue braccia solo per cadere ai suoi ginocchi, per giurarle amore eterno e, devo confessarlo, credevo a quel che dicevo. Infine, anche dopo esserci lasciati, il pensiero di lei non mi abbandonava e ho dovuto fare uno sforzo per distrarmene. Ah, perché non siete qui per bilanciare l'incanto di ciò che è accaduto con quello del premio che mi avete promesso? Ma non perderò niente nell'attesa, vero? E spero di poter considerare, come stabilito tra noi, la felice soluzione che vi avevo proposto nella mia ultima lettera. Come vedete io sto ai patti e le mie faccende come vi avevo promesso saranno tanto avanti da potervi dedicare parte del mio tempo. Sbrigatevi, dunque, a liquidare quel vostro noioso Belleroche e lasciate in pace il mieloso Danceny per non occuparvi che di me. Ma che cosa state facendo in campagna che non mi rispondete neanche? Sapete che ho voglia di darvi una bella sgridata? Ma la felicità rende indulgenti. E poi non dimentico che rimettendomi nel numero dei vostri spasimanti, mi devo di nuovo sottomettere ai vostri piccoli capricci. Ricordatevi, però, che il vostro nuovo amante non vuol perdere nessuno dei vecchi diritti dell'amico. Addio, come un tempo... Sì, addio angelo mio! Ti mando tutti i baci dell'amore. P.S. Sapete che Prévan, terminato il suo mese di prigione, è stato obbligato a lasciare il suo reggimento? A Parigi è la notizia del giorno. Eccolo, in verità, punito di un torto che non ha commesso; il vostro successo è completo. Parigi, 29 ottobre 17...IL VISCONTE DI VALMONT A PADRE ANSELMO(Fogliante del Convento di rue Saint-Honoré) Signore, non ho l'onore di esser conosciuto da voi, ma so che Mme de Tourvel ha in voi piena fiducia e anche come questa fiducia sia degnamente riposta. Credo, dunque, senza essere indiscreto, di potermi rivolgere a voi per ottenere un favore molto importante, degno del vostro santo ministero, e in cui l'interesse di Mme de Tourvel coincide con il mio. Ho in mano carte importanti che la riguardano, che non possono essere affidate a nessuno e che io non devo e non voglio rimettere che a lei. Non ho alcun modo di metterla al corrente perché, per ragioni che forse avrete saputo da lei e di cui non credo mi sia permesso di informarvi, ha preso la decisione di rifiutare ogni corrispondenza con me. Confesso volentieri, oggi, di non poterla biasimare, giacché non poteva prevedere avvenimenti che io stesso ero ben lontano dall'immaginare e che non erano possibili se non per influsso di una forza sovrumana che non si può non riconoscere in essi. Vi prego dunque, Signore, di volerla informare delle mie ultime decisioni e di chiederle a nome mio un intimo colloquio, in cui possa riparare almeno in parte ai miei torti con delle scuse e, come ultimo sacrificio, distruggere sotto i suoi occhi le sole tracce esistenti di un errore o d'una colpa che mi aveva reso colpevole verso di lei. Solo dopo questa espiazione preliminare, oserò deporre ai vostri piedi l'umiliante confessione dei miei grandi traviamenti, e implorare la vostra mediazione per una riconciliazione ben più importante ancora, e disgraziatamente ben più difficile. Posso sperare, Signore, che non mi rifiuterete un aiuto così necessario e prezioso? Che vi degnerete di sostenere la mia debolezza e guidare i miei passi lungo un nuovo sentiero che desidero ardentemente seguire, ma che, vi confesso, arrossendo, di non conoscere ancora? Attendo la vostra risposta con l'impazienza del penitente che desidera riparare, e vi prego di credermi con riconoscenza e venerazione, il vostro umilissimo ecc. P.S. Vi autorizzo, Signore, se lo ritenete opportuno, di leggere per intero questa lettera a Mme de Tourvel, che mi farò un dovere di rispettare tutta la vita e che non cesserò mai di onorare come colei di cui il cielo si è servito per ricondurre la mia anima alla virtù con il commovente spettacolo della sua. Dal castello di... 22 ottobre 17...PADRE ANSELMO AL VISCONTE DI VALMONT Signor Visconte, ho ricevuto la lettera che mi avete fatto l'onore di inviarmi, e già ieri, secondo il vostro desiderio, mi sono recato dalla persona in questione. Le ho esposto l'oggetto e il motivo del passo che volete fare presso di lei. Nonostante l'abbia trovata molto ferma nella saggia decisione che aveva già preso, quando le ho dimostrato che forse col suo rifiuto poteva ostacolare il vostro felice ravvedimento e opporsi in qualche modo ai misericordiosi disegni della Provvidenza, ha acconsentito a ricevere una vostra visita a condizione che sia l'ultima; e mi ha incaricato di informarvi che sarà in casa giovedì 28. Se non poteste quel giorno, dovreste informarla fissando un'altra data. La vostra lettera sarà ricevuta. Tuttavia, Signor Visconte, permettetemi di consigliarvi di non rimandare, salvo ragioni molto gravi, questo incontro al fine di potervi interamente e subito dedicare alle lodevoli intenzioni che mi testimoniate. Riflettete che colui che tarda ad approfittare della grazia si espone al rischio di vedersela sfuggire, perché se la bontà divina è infinita l'uso è però regolato dalla giustizia, e può venire il momento in cui il Dio della Misericordia si muta in Dio della vendetta. Se continuerete a onorarmi della vostra fiducia, vi prego di credere che vi sarà assicurata tutta la mia attenzione, quando lo desidererete. Per quanto importanti siano i miei impegni, il più importante sarà sempre quello di adempiere i doveri del mio Ministero a cui mi sono particolarmente votato. Il momento più bello della mia vita sarà quello in cui vedrò i miei sforzi coronati dal successo della benedizione dell'Onnipotente. Deboli peccatori come siamo, non possiamo niente da soli. Ma il Dio che vi chiama può tutto e dovremo ugualmente alla sua bontà: voi il desiderio costante di riunirvi a lui, e io i mezzi per condurvi. Col suo aiuto spero di convincervi presto che in questo mondo, solo la santa religione può dare quella durevole felicità che invano si cerca nell'accecamento delle passioni umane. Ho l'onore di essere, coi più rispettosi ossequi, ecc... Parigi, 25 ottobre 17...