Dangerous Liaisons

Il Visconte di Valmont alla Marchesa di Merteuil


Insisto, mia bella amica, no, non sono affatto innamorato; e non è colpa mia se le circostanze mi obbligano a recitare questa parte. Ditemi solo di sì, e tornate; vedrete presto voi stessa se sono sincero. Ho fatto ieri la prova e il risultato non può esser invalidato da quello che succede oggi. Ero, dunque, dalla mia tenera ritrosa e non avevo niente da fare: la piccola Volanges, infatti, malgrado il suo stato, doveva passare la notte al ballo fuori stagione dato da Mme V... Da principio l'ozio mi aveva fatto desiderare di prolungare la serata; a questo proposito avevo preteso un piccolo sacrificio, ma appena mi fu accordato, il piacere che mi ripromettevo fu turbato dall'idea di quest'amore che voi vi ostinate ad attribuirmi, o almeno a rimproverarmi, così che non ebbi altro desiderio che quello di poter assicurarmi e convincervi, allo stesso tempo, che si trattava da parte vostra di una pura calunnia. Presi quindi una decisione improvvisa, e, con un pretesto futilissimo, piantai in asso la mia Bella, molto sorpresa, e senza dubbio ancora più rattristata. Me ne sono andato quindi tranquillamente all'Opéra a raggiungere Emilie; e lei potrebbe testimoniarvi che fino a questa mattina, quando ci siamo lasciati, nessun rimpianto ha turbato i nostri piaceri. Eppure avrei avuto abbastanza motivo di essere agitato se la mia assoluta indifferenza non mi avesse messo in salvo; difatti ero appena a quattro isolati dall'Opéra ed Emilie era in carrozza con me, quando quella dell'austera devota venne a mettersi proprio accanto alla mia, e per un ingorgo stradale le nostre vetture restarono l'una a fianco dell'altra quasi un quarto d'ora. Ci si vedeva come a mezzogiorno e non c'era modo di sfuggire. Ma non è tutto. Ebbi l'idea di confidare a Emilie che quella era la donna della lettera (vi ricordate quella follia, con Emilie che fungeva da scrittoio?). Lei che non l'aveva dimenticato ed era ridanciana, non ebbe pace finché non ebbe considerato a suo agio quella virtù, come diceva lei, unendo alle occhiate scoppi di risa, talmente scandalosi da dar sui nervi anche a me. E non è tutto; quella gelosa creatura non ha mandato la sera stessa un domestico a casa mia? Io non c'ero, ma ostinata l'ha mandato una seconda volta con l'ordine di aspettarmi. Io avendo deciso di restare con Emilie, avevo rimandato la carrozza, col solo ordine al cocchiere di venirmi a riprendere questa mattina; costui arrivando a casa, e trovando il messaggero d'amore, senza tanti preamboli gli ha detto che non sarei rientrato la notte. Potete immaginare l'effetto di questa notizia; al mio ritorno infatti trovai la lettera di licenziamento, scritta con tutta la dignità che la circostanza richiedeva. Così quest'avventura interminabile secondo voi, avrebbe potuto, come vedete, esser finita da stamattina; se non lo è, non è affatto perché, come voi crederete, ci tenga a continuarla, ma perché da una parte, non trovo dignitoso lasciarmi piantare, e dall'altra, ho voluto riservare a voi l'onore di questo sacrificio. Ho dunque risposto al severo biglietto con una lunghissima epistola sentimentale; mi sono dilungato in spiegazioni e mi sono affidato all'amore per fargliele parere buone. Ci sono già riuscito. Ho appena ricevuto un secondo biglietto, sempre molto sostenuto, che conferma la rottura definitiva, com'era prevedibile, ma il tono, però non è più lo stesso. Soprattutto non mi vuole più vedere: questa decisione viene ripetuta quattro volte in modo del tutto irrevocabile. Ho dedotto che non c'era un minuto da perdere per andare da lei. Ho già mandato il mio staffiere per conquistare il portinaio; e tra un momento andrò io stesso a far firmare il mio perdono; perché in torti di questo tipo non c'è che una sola formula che porta all'assoluzione generale, e questa non si esplica che di presenza. Addio, mia incantevole amica, corro a sollecitare questo grande evento. Parigi, 15 novembre 17...LA PRESIDENTESSA DI TOURVEL AL VISCONTE DI VALMONT Non c'è dubbio, Signore, che dopo quello che è successo ieri, non vi aspetterete più di esser ricevuto in casa mia, e senz'altro nemmeno lo desiderate. Questo biglietto dunque, non ha tanto lo scopo di pregarvi di non venire più, quanto di richiedervi delle lettere che non avrebbero mai dovuto esser scritte; e se anche hanno potuto interessarvi un momento come prova della cieca passione che avete fatto nascere in me, non possono che esservi indifferenti, ora che non esiste più, e non esprimono altro che un sentimento che avete distrutto. Riconosco e confesso di aver avuto torto a riporre in voi una fiducia, di cui tante altre, prima di me, sono rimaste vittime, e di ciò non accuso che me sola. Ma credevo almeno di aver meritato di non essere esposta da voi al disprezzo e all'insulto. Io credevo che sacrificandovi tutto e avendo perso per voi la stima degli altri e la mia, potessi almeno aspettarmi di non esser giudicata da voi più severamente che dalla gente, la quale, nel giudicare, fa ancora una grandissima differenza tra la donna debole e la donna depravata. Vi parlo solo di questi torti che son poi quelli di tutti. Di quelli fatti all'amore preferisco non parlare. Il vostro cuore non capirebbe il mio. Addio, Signore. Parigi, 15 novembre 17...IL VISCONTE DI VALMONT ALLA PRESIDENTESSA DI TOURVEL Signora, solo adesso mi è stata consegnata la vostra lettera; ho fremuto leggendola, e ho appena la forza di rispondere. Che idea orribile avete dunque di me? Ah, certo ho dei torti, e tali che non me li perdonerò per tutta la vita anche se voi li copriste con la vostra indulgenza. Ma quelli che mi rimproverate sono sempre stati lontani dal mio animo. Io umiliarvi, avvilirvi! Io che vi rispetto tanto quanto vi amo, che non ho conosciuto l'orgoglio se non dal momento in cui mi avete giudicato degno di voi. Le apparenze vi hanno ingannata, e ammetto che hanno potuto essere contro di me, ma non avevate dunque nel vostro cuore ciò che occorreva per combatterle, e non si è ribellato alla sola idea di potersi lamentare di me? Tuttavia l'avete creduto! Così, non solo mi avete giudicato capace di questo atroce delirio, ma avete perfino temuto di esservi stata esposta per la vostra condiscendenza verso di me. Ah, se vi sentite degradata a tal punto dal vostro amore, devo esser ben vile ai vostri occhi! Oppresso dal sentimento doloroso che questo pensiero mi provoca, io perdo, a tentare di respingerlo, il tempo che dovrei usare a distruggerlo. Confesserò tutto. Un'altra considerazione mi trattiene ancora. È necessario dunque ricordare dei fatti che vorrei dimenticare e attirare la vostra attenzione e la mia su un momento di sbandamento, che vorrei riscattare con il resto della mia vita, di cui non riesco ancora a capacitarmi come possa essere accaduto, e il cui ricordo mi umilierà e mi farà disperare per sempre? Se accusandomi dovessi eccitare la vostra collera, non avrete nemmeno da andare lontano a cercare la vostra vendetta: basterà che mi abbandoniate ai miei rimorsi. Eppure chi lo crederebbe, la causa principale di ciò che è accaduto sta nel fascino tanto potente che io provo stando accanto a voi e che mi ha fatto dimenticare per troppo tempo un affare importante che non poteva più essere rimandato. Vi ho lasciato troppo tardi e non ho più trovato la persona che ero andato a cercare. Speravo di raggiungerla all'Opéra, ma la mia ricerca fu ugualmente infruttuosa. Incontrai Emilie, una donna che ho conosciuto in un tempo in cui ero ben lontano dal conoscere voi e l'amore. Emilie era senza carrozza e mi chiese di accompagnarla a casa, quattro passi di là. Non c'era niente di male e acconsentii. Ma allora vi incontrai e capii subito che sareste stata indotta a giudicarmi colpevole. Il timore di dispiacervi, o di addolorarvi era così forte in me che non poteva non essere subito notato, come infatti fu. Confesso anche che fui tentato di persuadere la ragazza a non farsi vedere; ma questa precauzione di delicatezza si è risolta contro l'amore. Abituata, come tutte le donne del suo genere, a non essere sicura di un potere sempre usurpato, se non per l'abuso che si permettono di farne, Emilie si guardò bene dal lasciarsi sfuggire un'occasione così clamorosa. Più vedeva crescere il mio imbarazzo, più faceva di tutto per farsi vedere, e la sua pazza allegria, di cui arrossisco al pensiero che abbiate potuto credere per un momento di esserne l'oggetto, si riferiva all'angoscia che io provavo, angoscia che nasceva ancora dal rispetto e dall'amore per voi. Fino a questo punto, senza dubbio sono più disgraziato che colpevole, e questi torti, che sarebbero comuni a tutti e i soli di cui mi parlate, questi torti, siccome non esistono, non possono essermi rimproverati. Ma invano tacete su quelli fatti all'amore, ma io non manterrò lo stesso silenzio: un interesse troppo grande mi obbliga a romperlo. Certo, nella confusione in cui sono per questo in concepibile sbandamento, non posso, senza un tremendo dolore, sopportare di richiamarne il ricordo. Convinto dei miei torti, preferirei sopportare la pena o attendere il perdono dal tempo, dal mio eterno amore, dal mio pentimento. Ma come posso tacere, quando quello che mi resta da dirvi è così importante per il vostro animo delicato. Non crediate che io cerchi un pretesto per scusare o attenuare la mia colpa; mi confesso colpevole, ma non ammetto, né ammetterò mai che questo errore umiliante possa essere considerato come un torto fatto all'amore. Ma che cosa può esserci in comune tra una sorpresa dei sensi, un momento di oblio di sé a cui segue subito la vergogna e il rimpianto, e un sentimento puro che non può nascere che in un animo delicato, e sostenersi con la stima, e il cui risultato finale è la felicità? Ah, non profanate così l'amore! Dovete soprattutto temere di profanare voi stessa, riunendo in sol fascio cose che non si possono mai confondere. Lasciate alle donne vili e degradate la paura di una rivalità che esse sentono possa nascere, loro malgrado, e provino i tormenti di una gelosia ugualmente crudele e umiliante; ma voi, distogliete gli occhi da questi oggetti che insozzerebbero il vostro sguardo e, pura come la divinità, come lei punite l'offesa senza sentirvi oltraggiata. Ma quale pena potreste impormi che sia più dolorosa di quella che già provo; che possa essere paragonata al dolore di avervi recato un dispiacere, alla disperazione di avervi fatto soffrire, all'idea avvilente di essere meno degno di voi? Voi pensate a punirmi, e io vi chiedo di consolarmi, non perché lo meriti, ma perché ne ho bisogno, e queste consolazioni non possono venirmi che da voi. Se, dimenticando all'improvviso il mio amore e il vostro, non dando più alcun valore, alcuna importanza alla mia felicità, volete invece condannarmi a un eterno dolore, ne avete il diritto: colpite; ma se, più indulgente o sensibile, ricordate ancora quei sentimenti così teneri che univano i nostri cuori; quella voluttà dell'anima sempre rinnovata e sempre intensamente sentita; quei giorni così dolci, così fortunati che ciascuno di noi doveva all'altro; tutti quei beni che solo l'amore sa dare, forse preferite farli rinascere che distruggere. Cosa posso dirvi ancora? Ho perso tutto e tutto è perduto per colpa mia; ma posso riavere tutto per la vostra generosità. Sta a voi decidere ora Aggiungo solo una parola: solo ieri mi giuravate che la mia felicità era sicura finché dipendeva da voi! Ah, Signora, mi condannereste ora a un'eterna disperazione? Parigi, 15 novembre 17...