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La Marchesa di Merteuil al Visconte di Valmont

Post n°47 pubblicato il 30 Agosto 2011 da Just_for_today


Mio dio, Visconte, come siete noioso con la vostra ostinazione! Che cosa vi importa del mio silenzio? Non crediate che se taccio è perché mi manchino ragioni per difendermi. No, a Dio piacendo. Solo non mi va di dirvele.
Parlatemi sinceramente. Volete illudervi o cercate di ingannarmi? La differenza tra le vostre parole e le vostre azioni non mi lascia altra scelta tra questi due sentimenti. Qual è quello vero? Che cosa volete che vi dica, quando io stessa non so cosa pensare? Sembrate farvi un gran merito della vostra ultima scena con la Presidentessa, ma cosa prova a favore della vostra tesi o contro la mia? Certo non vi ho mai detto che amavate quella donna al punto di non ingannarla, di non cogliere tutte le occasioni che vi sembrassero piacevoli o facili, non ho mai messo in dubbio nemmeno che per voi fosse più o meno la stessa cosa soddisfare con un'altra, anche la prima venuta, perfino i desideri che lei sola suscita in voi; e nemmeno mi sorprende che in virtù di quel libertinaggio cerebrale che non vi si può negare, abbiate fatto una volta di proposito quello che avreste fatto mille altre volte per caso. Chi non sa che questa è semplicemente un'abitudine mondana comune a tutti gli uomini, dallo scellerato all'imbecille? Chi se ne astiene, oggi, passa per un romantico e non è questo, credo, il difetto che vi si rimprovera. Ma quello che ho detto, quello che ho pensato, che penso ancora, è che voi non siete per questo meno innamorato della vostra Presidentessa; intendiamoci non di un amore molto puro, o molto tenero, ma di quello che potete provare voi; quello per esempio che induce a trovare in una donna pregi e qualità che non possiede, che la pone in una classe a parte e mette tutte le altre in secondo ordine, che vi tiene ancora legato a lei anche quando la offendete; insomma quello che penso può provare un Sultano per la sua schiava preferita, che non gli impedisce però di preferirle ogni tanto una semplice odalisca. Il paragone mi sembra ancora più pertinente in quanto come il Sultano voi non siete né l'amante né l'amico di una donna, ma sempre suo tiranno o suo schiavo. Per cui sono sicura che vi siate molto umiliato e avvilito per rientrare nelle grazie del vostro amato bene e, troppo felice di esserci riuscito, non appena vi sembra giunto il momento per ottenere il perdono, mi piantate in asso per questo grande evento. Anche nella vostra ultima lettera se non mi parlate unicamente di quella donna è perché non volete dirmi niente dei vostri importanti affari. Vi sembrano talmente importanti che ritenete il silenzio su questo argomento una punizione per me. E dopo queste mille prove della vostra spiccata preferenza per un'altra, mi domandate tranquillamente se c'è ancora qualche interesse comune tra noi due! State attento, Visconte! Se mai una volta vi risponderò, la mia risposta sarà irrevocabile, e temere di darvela adesso, forse è già dire troppo. Per cui non voglio più assolutamente parlarne.
Tutto quello che posso fare è raccontarvi invece una storiella. Avrete tempo di leggerla o di prestarvi abbastanza attenzione per capirla bene? Siete libero di fare come volete. Al peggio sarà una storia sprecata.
Un uomo di mia conoscenza si era inguaiato come voi con una donna che non gli faceva molto onore. Di tanto in tanto aveva il buon senso di capire che presto o tardi quell'avventura gli avrebbe fatto torto; ma, sebbene se ne vergognasse, non aveva il coraggio di rompere. Il suo imbarazzo era ancora più grande in quanto si era sempre vantato coi suoi amici di essere completamente libero, e anche perché non ignorava che il ridicolo cresce in proporzione a quanto ci si dà da fare per difenderlo. Così passava la sua vita non tralasciando di fare sciocchezze e dicendo sempre dopo: «Non è colpa mia!» Quest'uomo aveva un'amica che fu tentata un momento di darlo in pasto al pubblico in quel suo stato d'ebbrezza per rendere così incancellabile il suo ridicolo. Però, più generosa che maligna, o forse ancora per qualche altro motivo, volle tentare un ultimo espediente per essere in ogni caso in grado di dire come il suo amico: «Non è colpa mia.» Gli inviò, dunque, senza alcun commento la seguente lettera come un rimedio che avrebbe potuto essere utile al suo male.

«Ci si annoia di tutto, Angelo mio, è una legge di natura; non è colpa mia.
«Se dunque oggi sono stufo di un'avventura che mi ha tenuto impegnato per quattro noiosissimi mesi, non è colpa mia.
Se, per esempio, il mio amore è stato grande quanto la tua virtù, ed è già sicuramente dire molto, non c'è da meravigliarsi che l'uno sia finito contemporaneamente all'altra. Non è colpa mia.
Ne consegue che da un po' di tempo ti tradisco: ma anche la tua implacabile tenerezza in qualche modo mi ci ha costretto! Non è colpa mia.
Oggi una donna che amo perdutamente esige che ti sacrifichi, non è colpa mia.
Capisco che si tratta di una bella occasione per gridare al tradimento, ma se la natura non ha concesso agli uomini la costanza mentre dava alle donne l'ostinazione, non è colpa mia.
Credimi, scegliti un altro amante, come io mi sono scelto un'altra amica. Questo consiglio è buono, ottimo anzi, ma se non ti piace non è colpa mia.
Addio, angelo mio, ti ho preso con piacere, ti lascio senza rimpianto. Ritornerò forse. Così va il mondo. Non è colpa mia.
» 


Non è il momento, Visconte, di dirvi l'effetto di questo ultimo tentativo e di ciò che ne è seguito, ma vi prometto di dirvelo nella mia prossima lettera. Ci troverete anche l'ultimatum sul rinnovo del trattato che mi proponete. Fino a quel momento, semplicemente, addio.
A proposito, vi ringrazio dei particolari sulla piccola Volanges. È un argomento da tenere in serbo fino all'indomani del matrimonio, per la gazzetta della maldicenza. In attesa vi faccio le mie condoglianze per la perdita del vostro erede. Buonasera, Visconte.

Dal castello di... 24 novembre 17...

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