Smisurata preghiera

Le confessioni del corpo


Ovvero: quello che il corpo non ci dice più, oggi. O lo dice, forse, ma noi non sappiamo più ascoltarlo.C'era, un tempo, il corpo. Il corpo che era vivo. Facente parte di una comunità. Come se ogni individuo col suo corpo facesse parte di un individuo più grande. E la perdita del corpo equivaleva alla perdita come di un organo per la comunità. Ma questo accadeva nelle società primitive. Noi ora si suol dire che siamo evoluti, civili.Nell'antica Grecia, in Omero in particolare, il corpo era lo strumento privilegiato per l'approccio al mondo. Il corpo era un insieme di sensi, un insieme di percezioni. Il corpo nel suo insieme ("swma")  era il cadavere. Poi giunse Platone. Il quale condannava il corpo come prigione, carcere per l'anima (rifacendosi alla tradizione pitagorica) e vedeva il primato dell'anima, immortale e pura, costretta a decadere in questo mondo propio a causa delle passioni del corpo. Nel mondo ebraico, il corpo (nefes) era una creatura di Dio. E diveniva male solo se si allontanava dalla potenza (ruah) di Dio. Il termine nefes, peraltro indica il corpo come essere vivente. Dice infatti Sansone "Muoia la mia nefesh con tutti i Filistei". (Giudici, 15, 30)E poi, Cartesio. Eccolo qui, il padre della scienza moderna. Ecco chi ha iniziato a far perdere di valore il corpo. Certo, la ragione. Ecco che con Cartesio il corpo è un oggetto del mondo, come tanti altri. Alla esperienza di ciascuno si contrappone l'universalità del corpo razionale. La medicina, l'anatomia. L'omologazione dei corpi. Non più una soggettività personale, un corpo che parla alle emozioni, ma un freddo cumulo di carne.E siamo arrivati ad oggi. Per noi la scienza è realtà. Noi non siamo persone, siamo corpi. La scienza ci nega l'anima, e anche il corpo. Voglio dire, la soggettività del corpo. Ed esso non ci parla più, anzi, ha perso persino quella che era la sua carica erotica. Una volta il corpo provocava emozioni, ora, la perversione si è spinta a punti tali che non ci basta più la nudità. Ci vuole di più. Perché il corpo, da solo, non ci parla più.Come un pellegrino penitente, esso vuol confessarsi. Da sempre bistrattato in Occidente, da sempre armoniosamente rispettato in Oriente. Ma che peccato ha il corpo? L'esistenza? Il peccato dell'esistenza? Ma il corpo non nasce forse da un atto d'amore? Il corpo nasce da un altro corpo. Il corpo di madre, che comunica con il futuro bimbo. Un corpo caldo e affettuoso. La scienza ce lo nega. Impedisce il dialogo con il nostro corpo. Vuole un monologo, vuol parlare solo lei. Io non ci sto. Voglio stare a sentire che mi dice, il corpo. E posso scommettere che vuole solo chiedere di esistere. Non vuole altro che questo. Esistere veramente, come fedele compagno dell'anima, non come nemico da evitare. Come negarglielo?Bibliografia: Fedone, Platone; Il corpo, U. Galimberti, Feltrinelli (1983); I vizi capitali e i nuovi vizi, U. Galimberti, Feltrinelli (2003); La disfatta del genere, Judith Butler, Biblioteca Metelmi (2006) Foto: si ringrazia Lady Lucretia von Threstal per la foto