Smisurata preghiera

"Aut bibas aut abeas" (Cic.)


Ti guardiamo noi, della razza / di chi rimane a terra (E. Montale)Da troppo tempo, da Praga, non scrivevo più qui. Non perché mi fossi dimenticato di questo "luogo", seppur virtuale, ma perché il tempo della vita mi scorreva via senza che potessi fermarlo. E forse era un bene, ritengo di aver usato il tempo di questi mesi in modo proficuo. Ho in mente, oltre che ovviamente la prima epistola di Seneca a Lucilio (vindica te tibi), la poesia Falsetto di Montale. La dicotomia fra chi vive e chi guarda vivere forse non è così netta, il tempo per la meditazione può essere tempo di vita. Vivere è anche questo, è anche perdersi nel mare senza averlo mai toccato, e in questo oblio scordare la nostra identità e trovarci armonicamente in-seriti nel cosmo.Vivere è anche leggere il Don Chisciotte, e sognare di diventare cavaliere errante, ricordarsi dei propri sogni, e vedere sempre il mondo con occhi nuovi. E che importa se andiamo a cozzare contro i mulini a vento, con noi c'è il buon Sancio che ci aiuta. E la ricerca del sogno, di qualcosa che ci riempia di senso; questa è la nostra vita, ricerca. E la ricerca si svolge sempre, ed ovunque. C'è una regola che vigeva nei banchetti Greci. "Aut bibas, aut abeas" (era oggetto della versione dell'ultimo Certamen Ciceronianum Arpinas, al quale ho evidentemente partecipato). O bevi, o te ne vai. Ma nessuno ci obbliga a tracannare. "Non pratichiamo la bevuta scitica" diceva Anacreonte. Infatti. A tratti si sorseggia, a tratti, quando la sete è più intensa, si può bere di più. L'importante è non smettere mai di bere.