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Un blog creato da Virplatonicus il 19/06/2006

Smisurata preghiera

Vita di un aspirante filosofo, disputazioni e dialoghi, alla ricerca costante di verità e virtù, viaggiando in direzione ostinata e contraria

 
 

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As I walked on

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Your cheeks flushed with the night
We walked on frosted fields
Of juniper and lamplight
I held your hand

And when I woke
And felt you warm and near
I kissed your honey hair
With my grateful tears
Oh I love you girl
Oh I love you

Simon & Garfunkel

 

 

« NataleMessaggio #99 »

Le confessioni del corpo

Post n°98 pubblicato il 03 Gennaio 2008 da Virplatonicus
 

Ovvero: quello che il corpo non ci dice più, oggi. O lo dice, forse, ma noi non sappiamo più ascoltarlo.

C'era, un tempo, il corpo. Il corpo che era vivo. Facente parte di una comunità. Come se ogni individuo col suo corpo facesse parte di un individuo più grande. E la perdita del corpo equivaleva alla perdita come di un organo per la comunità. Ma questo accadeva nelle società primitive. Noi ora si suol dire che siamo evoluti, civili.
Nell'antica Grecia, in Omero in particolare, il corpo era lo strumento privilegiato per l'approccio al mondo. Il corpo era un insieme di sensi, un insieme di percezioni. Il corpo nel suo insieme ("swma")  era il cadavere. Poi giunse Platone. Il quale condannava il corpo come prigione, carcere per l'anima (rifacendosi alla tradizione pitagorica) e vedeva il primato dell'anima, immortale e pura, costretta a decadere in questo mondo propio a causa delle passioni del corpo.
Nel mondo ebraico, il corpo (nefes) era una creatura di Dio. E diveniva male solo se si allontanava dalla potenza (ruah) di Dio. Il termine nefes, peraltro indica il corpo come essere vivente. Dice infatti Sansone "Muoia la mia nefesh con tutti i Filistei". (Giudici, 15, 30)
E poi, Cartesio. Eccolo qui, il padre della scienza moderna. Ecco chi ha iniziato a far perdere di valore il corpo. Certo, la ragione. Ecco che con Cartesio il corpo è un oggetto del mondo, come tanti altri. Alla esperienza di ciascuno si contrappone l'universalità del corpo razionale. La medicina, l'anatomia. L'omologazione dei corpi. Non più una soggettività personale, un corpo che parla alle emozioni, ma un freddo cumulo di carne.
E siamo arrivati ad oggi. Per noi la scienza è realtà. Noi non siamo persone, siamo corpi. La scienza ci nega l'anima, e anche il corpo. Voglio dire, la soggettività del corpo. Ed esso non ci parla più, anzi, ha perso persino quella che era la sua carica erotica. Una volta il corpo provocava emozioni, ora, la perversione si è spinta a punti tali che non ci basta più la nudità. Ci vuole di più. Perché il corpo, da solo, non ci parla più.

Come un pellegrino penitente, esso vuol confessarsi. Da sempre bistrattato in Occidente, da sempre armoniosamente rispettato in Oriente. Ma che peccato ha il corpo? L'esistenza? Il peccato dell'esistenza? Ma il corpo non nasce forse da un atto d'amore? Il corpo nasce da un altro corpo. Il corpo di madre, che comunica con il futuro bimbo. Un corpo caldo e affettuoso.

La scienza ce lo nega. Impedisce il dialogo con il nostro corpo. Vuole un monologo, vuol parlare solo lei. Io non ci sto. Voglio stare a sentire che mi dice, il corpo. E posso scommettere che vuole solo chiedere di esistere. Non vuole altro che questo. Esistere veramente, come fedele compagno dell'anima, non come nemico da evitare. Come negarglielo?

Bibliografia: Fedone, Platone; Il corpo, U. Galimberti, Feltrinelli (1983); I vizi capitali e i nuovi vizi, U. Galimberti, Feltrinelli (2003); La disfatta del genere, Judith Butler, Biblioteca Metelmi (2006)

Foto: si ringrazia Lady Lucretia von Threstal per la foto

 
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SMISURATA PREGHIERA (DA “ANIME SALVE”, 1996)

Alta sui naufragi
dai belvedere delle torri
china e distante sugli elementi del disastro
dalle cose che accadono al disopra delle parole
celebrative del nulla
lungo un facile vento
di sazietà di impunità

Sullo scandalo metallico
di armi in uso e in disuso
a guidare la colonna
di dolore e di fumo
che lascia le infinite battaglie al calar della sera
la maggioranza sta la maggioranza sta
recitando un rosario
di ambizioni meschine
di millenarie paure
di inesauribili astuzie

Coltivando tranquilla
l'orribile varietà
delle proprie superbie
la maggioranza sta
come una malattia
come una sfortuna
come un'anestesia
come un'abitudine

per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
col suo marchio speciale di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte una goccia di splendore
di umanità di verità

per chi ad Aqaba curò la lebbra con uno scettro posticcio
e seminò il suo passaggio di gelosie devastatrici e di figli
con improbabili nomi di cantanti di tango
in un vasto programma di eternità

ricorda Signore questi servi disobbedienti
alle leggi del branco
non dimenticare il loro volto
che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti
come una svista
come un'anomalia
come una distrazione
come un dovere

Fabrizio Dé André

 

SHIVA

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SOCRATE

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PLATONE ED ARISTOTELE

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BUDDHA

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DORME, DORME PLACIDO SULLA COLLINA

“… E dov’è Jones, quel vecchio suonatore
che giocò con la vita per tutti i suoi novant’anni,
affrontando la tormenta a petto nudo,
bevendo e facendo chiasso,
senza mai un pensiero né a moglie, né a parenti,
non al denaro, non all'amore, né al cielo?
Eccolo! Ciancia ancora delle porcate di tanti anni fa
delle corse bel boschetto di Clary
di ciò che Abe Lincoln disse una volta a Springfield

(da “La Collina” di E.L. Masters)

 
 
 
 

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