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Un blog creato da Virplatonicus il 19/06/2006

Smisurata preghiera

Vita di un aspirante filosofo, disputazioni e dialoghi, alla ricerca costante di verità e virtù, viaggiando in direzione ostinata e contraria

 
 

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LAO TZU

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SCHOPENHAUER

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FOR EMILY, WHENEVER I MAY FIND HER

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What a dream I had
Pressed in organdy
Clothed in crinoline
Of smoky burgundy
Softer than the rain

I wandered empty streets
Down past the shop displays
I heard cathedral bells
Tripping down the alleyways
As I walked on

And when you ran to me
Your cheeks flushed with the night
We walked on frosted fields
Of juniper and lamplight
I held your hand

And when I woke
And felt you warm and near
I kissed your honey hair
With my grateful tears
Oh I love you girl
Oh I love you

Simon & Garfunkel

 

 

Per un'amica

Post n°116 pubblicato il 11 Agosto 2008 da Virplatonicus

Mi piacerebbe avere le parole per confortarti. Di più, mi piacerebbe pronunciare queste parole che non ho guardandoti negli occhi, e dirti che andrà tutto bene. Anche se forse non è vero. Ma so che tu non abbandonerai mai te stessa. Che, anche se aspetti il principe che ti tiri fuori dai guai, sai cavartela da sola. Certo non sono un principe, ma forse la parte di uno dei nani di Biancaneve può andar bene comunque. D'altronde, non sono loro che vegliano su di lei mentre aspetta il principe?

Sii forte. Ti sono vicino. Sai anche tu che la strada per la vetta non si raggiunge attraverso la pianura. E io so che tu ami le stelle. E credimi, dalla vetta si vedono molto meglio.

Abbi cura di te, E.

 
 
 

Del sogno (part II)

Post n°115 pubblicato il 10 Agosto 2008 da Virplatonicus
 

I sogni sono finestre aperte su un mare di illusioni (Jim Morrison)

Nel post nr. 80 ho parlato un po' del sogno. Pensavo di aver esaurito l'argomento, che non ci fosse altro da dire. Sbagliavo. C'è molto altro da dire. Anche se temo di non avere le parole adatte.

Ho letto quella frase che trovate in apertura, e ne sono rimasto fortemente colpito. Soprattutto per la parola illusione. Alcune delle parole più interessanti della nostra lingua nascono da latino ludus, gioco. Alludere, illudere, collusione, eludere, preludio, ... C'è una ragione per cui da una radice che sembra così insignificante.

Il concetto di gioco è un perno della nostra esistenza, anche se non ce ne rendiamo conto. Esso è generalmente legato al mondo dell'infanzia (in greco, ad esempio, pais, fanciullo e paizein, giocare, hanno la stessa radice). L'idea che mi è subito venuta in mente, leggendo quell'illusione è quella del Dioniso fanciullo, riportato da Eraclito e poi da Nietzsche, nella Nascita della tragedia, che costruisce mucchi di sabbia e poi li distrugge... come in un'eterna danza ciclica. Fare e dis-fare. Ecco il divenire: il gioco di un bambino. L'eternità, diceva François Villon, è un bambino che piange e ride. Un bambino volubile, che cambia idea, prima si diverte, poi soffre. Ma tutto con estrema innocenza. Come quel Dioniso, che, fatto un mucchio, subito cambia idea. E questo gioco, questa danza cosmica, questo è ciò che avviene. Un gioco. Lo spirito Zen vuole puntare a questo, a farci vedere il mondo con gli occhi del bambino. Rosanna Campo, nell'introduzione a Poesie Zen (ed. Newton) traduce tutto ciò con un un'espressione inglese: absolute beginners. Principianti estremi. Così dovremmo essere, poeti alla prima poesia, pittori al primo quadro.

Guardare il mondo come bimbi, con stupore, tamquam spectator novus, direbbe Seneca. Tutto come fosse la prima volta. Sempre. E il sogno? Cosa centra? Il sogno è una finestra aperta sul mare di illusioni, dice Jim Morrison. E cos'è il mare di illusioni se non il mondo? Questa distesa d'essere di cui non conosciamo la natura, che ci illude, ossia gioca con noi, come il bimbo colla sabbia. E se non nel sogno (vedi post nr. 80), dove si rivela a noi il mondo?

 
 
 

Cosmopolitismo e anima mundi

Post n°114 pubblicato il 02 Agosto 2008 da Virplatonicus
 

Vi sono diversi doni, ma uno solo è lo Spirito. [...] Tutte le parti, anche se sono molte, formano un unico corpo. (1 Cor 12, 4;12)

Sono stato alla GMG. Non di mia scelta, sia chiaro. E ho visto qualcosa di difficile interpretazione. Ho visto masse di gente adorare un uomo come un Dio. Inconcepibile. Masse credere che in un pezzo di pane ci sia la carne di un uomo, che perpetua quotidianamente il suo sacrificio: un Dio, dicono, che, fattosi uomo, ha redento l'uomo, ossia sé stesso, immolandosi. Che ha negato il mondo, trasferendo la Vita altrove. Un Dio che si è fatto beffe di chi lo ha rinnegato, volendo assomigliargli, volendo anche lui tentare la strada della perfezione. E un uomo - un uomo! - si diceva suo vicario in terra, si definiva Santo e Padre, un uomo diceva di sapere tutto di Lui, che quando parla di Lui è in-fallibile. Ho visto questo, e molto altro. Ho visto masse di altri uomini e donne riunirsi per testimoniare una cosa. Che oltre a quell'uomo, oltre a vuoti discorsi, il Vangelo vale ancora. La buona notizia, l'annuncio di un amore eterno dell'uomo per l'uomo, la promessa di un futuro migliore, la speranza di vivere serenamente in eterno, finché il mondo duri, tutto ciò ha ancora valore. Il Vangelo vale ancora. E non solo. Li ho visti credere che in fondo siamo tutti parte dell'umanità, un solo grande corpo, tutti pervasi da un comune sentire la vita, tutti affermare che siamo in-seriti assieme ad altri, che ci danno continunamente senso. Lo Spirito, al di là delle storpiature religiose, esiste.  Non come Dio, magari, non come persona, ma come ente a sé. Come fonte inesauribile di Bellezza. Cicerone lo chiamava calor, fervor. Noi lo chiamiamo Spirito. Per differirlo dalla materia nuda; lo Spirito è materia, madre di tutte le cose. Fuoco, o soffio, come voleva Eraclito, o Anassimene, fa poca differenza. Esiste. Con un nome o con l'altro.

 
 
 

Medioevo tecnologico*

Post n°113 pubblicato il 25 Giugno 2008 da Virplatonicus
 

Si può ricordare qualcosa senza per forza fare una foto? Si può visitare un posto magnifico ma non su Internet? Si può guardare il mondo dall'alto ma non attraverso uno schermo? Si può, ma se non si paga, perché non approfittarne? Senza esagerare, eh.

E' l'ultimo slogan di una nota marca di telefonini. Quando l'ho sentito per la prima volta, sono rimasto a bocca aperta! Sembrava una cosa davvero seria! E poi siamo scaduti su quel "se non si paga".

Ogni cosa è mercificata. Davvero le cose valgono solo se hanno valore economico? Davvero tutto si può comprare? Davvero chi ha più denaro è migliore di altri? E i poveri sono davvero così moralmente poveri come la società li descrive? A cosa ci ha portato la fede nel progresso?

Pro-gredior, da cui l'italiano progresso, vuol dire andare avanti. Ma siamo davvero progrediti? Il nostro valore è uno solo, quello monetario. Il nostro punto di riferimento è uno solo, noi stessi. Diciamo che la modernità è complicata da capire, ma la verità è una sola: non comprendiamo il mondo perché siamo troppo concentrati su noi stessi. Consideriamo il mondo come un oggetto, un certo tipo di scienza ben ci guida in questo, abbiamo perso il punto di vista cosmocentrico.

Nel Medioevo, il fatto che la terra fosse ritenuta al centro dell'universo faceva credere nella superiorità umana. E oggi, nonostante sappiamo che non è così, tuttavia pensiamo lo stesso. Che immensa tristezza. Per fortuna, Tagore può risollevare qualche anima assetata.

L'anima ha finito di essere sovrindividuale, è solo nostra. E possiamo venderla, anche. Tutto è nostro. Possediamo cose prima ancora di desiderarle. E il vuoto esistenziale ci assale. Abbiamo perso di vista la prospettiva principale, ossia che noi siamo in-seriti. E poiché sero in latino significa intrecciare, significa che noi siamo in una fitta serie di relazioni (sanscrito anicca) con il cosmo. Anche se -e ci stiamo riuscendo!- vogliamo davvero tagliare i fili fra noi e il mondo.

*la definizione è di Stefano "Cisco" Bellotti

 
 
 

Libertà e pudore 

Post n°112 pubblicato il 21 Giugno 2008 da Virplatonicus
 

Se chiamiamo "intimo" ciò che si nega all'estraneo per concederlo a chi si vuole far entrare nel proprio segreto profondo e spesso ignoto a noi stessi, allore il pudore, che difende la nostra intimità, difende la nostra libertà. E la difende in quel nucleo dove la nostra identità personale decide che relazione instaurare con l'altro.
(U. Galimberti, Spudoratezza, in I vizi capitali e i nuovi vizi, Feltrinelli, 2003)

Affermazione sconcertante. Il pudore difende la nostra libertà. Non ci avevo mai pensato in questi termini, a dire il vero. Avevo sempre considerato il pudore come una convenzione sociale, una forma di garbatezza e buona educazione, e guardavo con stupore e, allo stesso tempo, un po' di invidia gli spudorati. In realtà, pensavo che costoro fossero coloro che abbattevano i freddi retaggi sociali, sapevano affermare sé stessi, manifestavano la loro libertà assolutamente. E forse dimenticavo che la libertà non può mai essere assoluta, ma è sempre relazionale. Io sono libero in quanto ho un limitato campo d'azione in una determinata circostanza, e in esso allora io posso agire. Senza campo d'azione (cosa che accadrebbe anche avendoune uno infinito), la libertà non esiste.

La libertà, tuttavia, non è una condizione, ma una sensazione. Io intendo questo almeno. La costrizione sociale obbliga a determinati comportamenti: questo impedisce la libertà? No. Perché colei che ti fornisce la libertà, la società, paradossalmente, ti fornisce anche le situazioni per applicarla (cfr. sempre Galimberti in La libertà del corpo, in Il corpo, Feltrinelli, 1983). Certo anche Alfieri si sentiva oppresso, e ha voluto avere prova della libertà assoluta, dicendo di averla trovata lì, solo, nei ghiacciai della Svezia. Ma poi? Certo, liberi, ma infelici.

La libertà, dunque, credo che sia interiore. Il nostro intimo, le nostre sensazioni, i nostri pensieri. Difesi dal pudore, dalla riservatezza, dalla libertà di rivelare noi stessi a chi preferiamo. Certo, ogni tanto la società sa essere opprimente e falsa. Per questo anche una o due settimane fra i detti ghiacciai non possono che fare bene all'anima.


 
 
 

Roma, fra echi e giorni di perla

Post n°111 pubblicato il 15 Giugno 2008 da Virplatonicus

And then one day you'll find
ten years have gone behind
(Time, Pink Floyd, 1973)

Ci sono città che fanno bene al cuore. Roma è una di queste. Ho letto I dolori del giovane Werther, all'andata. Le premesse erano così, romantiche. Ho oziato in Piazza del Popolo, e passeggiato per Villa Borghese. Ho cercato per tre giorni una scultura di Bernini che solo ora ho scoperto dove si trova. Sono passato a salutare Caravaggio in tutti i posti che ricordavo. Mi sono sentito misero e abietto, dentro S. Paolo fuori le mura. Ho ricordato papà, dentro al foro, con Echoes nelle orecchie. E ho respirato quegli echi di secoli, nelle rovine. Ho compreso il valore dell'Uno nei sotteranei di S. Clemente. Ho passato un pomeriggio incantevole con S., che ancora non so come ringraziare. Ho riscoperto il piacere del Bello nelle piccole cose, a S. Pietro in Montorio. Sono stato disgustato dalle masse di turisti vociferanti nella Galleria Borghese, quando quelle opere di Correggio non meritano altro che il nostro più sacro silenzio.

Dice Elisa che alcuni giorni sono di perla. Questi lo sono stati.

 
 
 

Sforzo immane... 

Post n°110 pubblicato il 29 Maggio 2008 da a15456
Foto di Virplatonicus

Sforzo immane
che mi fa uomo
trasudo fatica...

la materia che mi ha ostaggio
preme sulla mia volontà
ma l'impeto non demorde

e in questo faticoso
durare io vinco
e ri-nasco ogni giorno

libero di tendere
alla luce inesauribile
che in me si fa
Vita.

Al tuo inesausto cercare
che tanto conosco. Lù

 

 
 
 

Per un'amica

Post n°109 pubblicato il 18 Maggio 2008 da Virplatonicus

Avrei potuto riempire questo post di citazioni di autori, come sono solito fare, ma preferisco dire quello che penso con parole mie, come piace a te.
Potrei spendere centinaia di parole per ringraziarti, ma proprio adesso, quando mi servono, ecco che mi mancano. Non so davvero che dire, non so come iniziare né come terminare. So solo che voglio dirti qualcosa, non so come, non so cosa.
La scrittura è una gran cosa, mi hai detto ieri. E io scrivo.

Grazie.
Grazie per avermi ascoltato.
Grazie per il tempo passato insieme.
Grazie per tutto, E.

 
 
 

Delle contraddizioni e dell'incoerenza

Post n°108 pubblicato il 06 Maggio 2008 da Virplatonicus
 

La natura ama nascondersi (Eraclito di Efeso)

Non esistono cose: solo interpretazioni, diceva Nietzsche. Non voglio scadere nel relativismo, parola tanto di moda oggi. Voglio solo capire una cosa. Che male c'è nell'incoerenza? Che male c'è nelle contraddizioni?

Siamo abituati a credere che il famoso principio di non contraddizione sia vero. E non lo applichiamo solo sul piano logico, ma anche su quello etico: esistono regole precise per tutto. Ne siamo davvero sicuri? Ho leggiucchiato un articolo su Adorno, che smonta tutto questo. Si va sempre in cerca delle contraddizioni delle idee vigenti, e non appena sfioriscono, ecco altre idee, altre critiche. E' tutto un ciarlare vano davvero?
Non credo. Mi si permetta di avere dei dubbi. Sì, sono incerto, non ho una condotta coerente, credo di non sapere nemmeno cosa significhi essere coerente.

Un viandante. Un viandante sulla via della perfezione. E' una via impervia, e forse ci sono più vie. Non ho diritto di salirla come credo questa via? Non ho anche diritto all'incoerenza, non ho diritto di prendere un'altra via?

Polemos di tutte le cose è padre, di tutte le cose è re (Eraclito)

Come ha detto Frost: Due strade trovai nel bosco e io scelsi quella meno battuta ed è per questo che sono diverso. Sì. Sono diverso. Nel senso vero. Nel senso che mi volgo (lt.vertere) in un'altra direzione. E' mio diritto. E' una mia scelta.

 
 
 

Viaggi interiori

Post n°107 pubblicato il 11 Aprile 2008 da Virplatonicus
 

Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare terre nuove, ma avere nuovi occhi (Voltaire)

Il viaggio di scoperta. Ma io voglio ampliare questo senso, oggi. C'è stato un tempo in cui la filosofia potesse dare regole valide per tutti, che avrebbe migliorato la mia vita dandomi precetti da seguire. Ma questa non è filosofia, questa è religione, è andare ogni domenica dal parroco che ti dice cosa devi fare. No, non ci sto. Ho sbagliato, e di grosso.

Qui, su questo blog ho tentato di dare definizioni oggettive di valori e di idee. Ho sbagliato. Non si fa così. E' chiaro che la diversità umana è inoggetivizzabile. Sbagliava Platone colle sue idee, sbagliava Cartesio. L'unità non è sinonimo di verità. La sapienza è sferica. Non si può guardarla in tutti i suoi aspetti contemporaneamente.

Voglio ripartire da me. Non voglio che sia presto come un rigurgito di egoismo (anche se in fondo, questo è), vorrei che fosse come una passeggiata nel bosco. Su un sentiero non segnato. Due strade trovai nel bosco, scelsi quella meno battuta, ed è per questo che sono diverso (da "L'attimo fuggente"). Voglio rendere quotidiana l'oggettività di Platone. Ho sbagliato a pormi come paradigma dell'umanità intera. Ora voglio provare a vedere come stanno le cose dal mio punto di vista. Aiutato certo. Puntando sempre lassù, alla Verità. Cosa che avevo dimenticato, ma che ora sono pronto a reintrodurre.

 
 
 

Epicuri de grege porcum

Post n°106 pubblicato il 26 Marzo 2008 da Virplatonicus
 

Ad Albio (Tibullo)

Albio, severo giudice delle mie "Conversazioni",
[...] dirò che vai vagando lento e taciturno fra salubri boschi
pensoso di ciò ch'è degno d'uomini saggi e buoni?
Non eri certo uomo senz'anima; gli dèi t'han dato la bellezza
la ricchezza, e le occasioni per goderne.
La tua buona nutrice non poteva augurarti di meglio:
"che si faccia il bravo, che possa esprimere le sue idee,
che trovi simpatia nel mondo, salute, tanto di tutto questo;
e vita comoda, e un borsello sempre pieno".
In mezzo a speranza, angosce, paure e rancori
vivi con la certezza che ogni giornata è l'ultima tua luce:
e l'ora che verrà dopo, inattesa, ti sarà cara.
Se poi vorrai riderem darai un'occhiata a me
grasso, lucido, con la pelle curata
- un porcellino del gregge di Epicuro.

(Orazio, Epistole, I, 4)

Che ti succede? Anche tu non sai che fartene, dei doni degli dèi? Anche tu vorresti vagare nei boschi? Che fare? Tempo, amico mio. Tempo. Sì, quello che fugge. Quello che non ti aspetta. Te lo dicono tutti, che il tempo corre; e tu credi di essere eterno. Amico mio, è ora di crescere: abbiamo passato assieme 18 anni, ne abbiamo viste tante. Crescere è faticoso, nessuno mai lo dice: ma niente paura, ci sono passati tutti, ci passerai anche tu. E poi, non sei solo. Certi momenti passano. Una passeggiata nei boschi, come il buon Tibullo, il sorriso di qualche donna. La Bellezza non si estingue. Casomai, i nostri occhi si volgono altrove. Ma tu cerca di guardare nel verso giusto. E vedrai che forse, tra quei tranquilli porcellini ci sarai pure tu.

 
 
 

Chi vuole vivere per sempre?

Post n°105 pubblicato il 16 Marzo 2008 da Virplatonicus
 

[An open place. Thunder amd lightning. Enter three Witches]

1st Witch: When shall we three meet again
                 in thunder, lightning or in rain?
2nd Witch: When the hurlyburly's done,
                  when the battle's lost and won.
3rd Witch: There will be ere the set of sun.
1st Witch: Where the place?
2nd Witch: Upon the heath.
3rd Witch: There to meet with Macbeth
[...]
All: Fair is foul, and foul is fair:
      hover through the fog and filthy air.  (Exeunt)

Quando? Che domanda banale e sconvolgente. Quante volte ce la poniamo? Quando moriremo? Quando ci vediamo? Quando finirà la riunione? Quando si cena? La stessa domanda che si pone Macbeth: quando sarò Re? Quando le predizioni delle streghe si avvereranno? E preda dell'ambizione, si fa prendere la mano.

Oggi noi siamo abituati a pensare al tempo quantitativamente. Siamo convinti che il tempo possa essere oggettivato, uguale per tutti. Che un orologio possa renderci efficienti, produttivi. Abbiamo dimenticato, volendo conoscere cosa sia il tempo, quale sia il tempo. Senza minuti, senza scadenze. Il mio tempo. Il tempo per stare con me. Quant'è? Non lo so. Non mi interessa. Il tempo per il sorgere del sole. Il tempo di un giorno. No, un giorno non dura 24 ore. Dimentichiamocelo. Dura quel che dura. Ci sono giorni che durano un niente, altri che sembrano infiniti. Agostino, cercando di definire il tempo, ha scoperto che è intimamente personale. E' il tempo psicologico, il tempo della psiche, dell'anima.

Ho voglia di vivere il mio tempo. Porto con me il passato ogni giorno. E il futuro ha senso come attesa nel presente. Pres-ente, essere presso le cose. Qui, ora, per sempre. "Who wants to live forever?" chiedeva una canzone dei Queen. Basta chiederci: chi vuole vivere oggi? Perché oggi è il tuo sempre.

 
 
 

Vivere forte

Post n°104 pubblicato il 20 Febbraio 2008 da Virplatonicus
 

Non so chi mi abbia messo al mondo,né cosa sia il mondo, né cosa sia io stesso. Sono in un ignoranza spaventosa di tutto. Non so che cosa siano il mio corpo,i miei sensi,la mia anima e questa parte di me che pensa quel che dico,che medita sopra di tutto e sopra se stessa,e non conosce sé meglio del resto. Vedo quegli spaventosi spazi nell'universo,che mi rinchiudono; e mi trovo confinato in un angolo di quest’immensa distesa, senza sapere perchè sono collocato qui piuttosto che altrove, né perchè questo po’ di tempo che mi è dato da vivere mi sia assegnato in questo momento piuttosto che in un altro di tutta l'eternità che mi ha preceduto o di tutta quella che mi seguirò. Da ogni parte vedo soltanto infiniti, che mi assorbono come un atomo o come un'ombra che dura un istante,e scompare poi per sempre. Tutto quello che so è che debbo presto morire; ma quel che ignoro di più è, appunto questa stessa morte, che non posso evitare. (Pascal, Pensieri, 194)



Che immensa verità. Ecco il problema primo del filosofare: il senso dell'esistenza. Punizione, casualità, volontà divina: cos'è la vita? Non lo so. Ho coltivato per tanto tempo l'illusione di poter avere delle risposte: più cerco, più rimango invischiato. E pure, sono ottimista. Ho voglia di indagare, di conoscere, di capire. Che ci faccio qui? Perché qui e perché ora? E chi sono io? E i miei simili? Troppe domande, troppe. Questo da solo è il problema dell'esistenza. Chi pensa ad altro, ha trascurato questa risposta: ma io non voglio transigere. Voglio cercare. Con l'altrui aiuto, voglio capire cosa faccio qui e in che modo posso, come dicono i Nomadi, vivere forte.

 
 
 

To be or not to be (part II)

Post n°103 pubblicato il 13 Febbraio 2008 da Virplatonicus
 

Se qualcuno di voi osa leggere queste righe senza esser passato per il post di sotto, farà la fine del re Claudio. Amleto ha un problema: non riesca ada agire. Il fantasma di suo padre gli ha rivelato la verità, suo zio è un lussurioso usurpatore, e Re Amleto vuole vendetta. Ma il Principe Amleto non ci riesce, i pesi che egli porta sono più grandi di lui.
E allora, perché non farla finita? Tanto, come dirà poi al teschio di Yorick, finiremo tutti lì, sotto terra, polvere. Che senso ha tutto questo? Che senso ha sopportare la vita?
Amleto vuol dirci: perché vivere in-attivamente? Uomini, donne, vivete. La morte è un ostacolo? C'è timore di quello che c'è dopo? Sì, forse è vero, Amleto, gli uomino commettono un errore: allontanano dagli occhi la morte, non la guardano nel volto. Sì, sappiamo che abbiamo poco tempo e viviamo come se fossimo immortali, sappiamo che dobbiamo morire ma consideriamo l'aldilà come un luogo verso cui non siamo diretti. Timore? Timore di cosa? Di trapassare? A tal proposito, propongo un altro celebre passo, stavolta di Platone:

Gli uomini, a causa della loro paura della morte, mentono anche sui cigni, e dicono che essi, lamentandosi della morte, cantano per (il) dolore, e non pensano che nessun uccello canta quando ha fame o ha freddo o prova qualche altra sofferenza, neppure lo stesso usignolo, né la rondine né l’upupa, che dicono che cantino lamentandosi per il dolore. Però a me sembra che né questi né i cigni cantino per il dolore, ma, poiché, credo, (questi ultimi) sono sacri ad Apollo, sono indovini, e cantano prevedendo i beni (che troveranno) nell’Ade e si rallegrano in quel giorno più che nel tempo precedente. E anch’io penso di essere compagno di servitù dei cigni e (di essere) sacro allo stesso dio e di avere non meno di loro, da parte del (mio) signore, l’arte divinatoria, e di non allontanarmi dalla vita con minor gioia di loro.

Sì, la morte è nostra sorella, e noi la respingiamo come nostra nemica. Amleto ci da una grande lezione: essere o non essere, non chiediamo noi né l'uno né l'altro, si suol dire. E invece sì, dobbiamo scegliere di esistere, e dire "sì, siamo vivi". Proprio la morte dà senso alla vita: senza la morte, non ci sarebbe la vita. Diceva Eraclito: "Noi viviamo la loro morte, loro vivono la nostra". E' un ciclo, come dice anche Archiloco "questo phythmos governa i mortali".
Infatti noi non abbiamo poco tempo, ne perdiamo molto (Seneca). Impariamo ad essere.

 
 
 

To be or not to be? (part I)

Post n°101 pubblicato il 13 Febbraio 2008 da Virplatonicus
 

Hamlet (Atto III, scena I).

To be, or not to be: that is the question:
whether 'tis nobler in the mind to suffer
the slings and arrows of outrageous fortune,
or to take arms against a sea of troubles,
and by opposing end them? To die: to sleep;
no more; and by a sleep to say we end
the heart-ache and the thousand natural shocks
that flesh is heir to, 'tis a consummation
devoutly to be wish'd. To die, to sleep;
to sleep: perchance to dream: ay, there's the rub;
for in that sleep of death what dreams may come
when we have shuffled off this mortal coil,
must give us pause: there's the respect
that makes calamity of so long life;
for who would bear the whips and scorns of time,
the oppressor's wrong, the proud man's contumely,
the pangs of despised love, the law's delay,
the insolence of office and the spurns
that patient merit of the unworthy takes,
when he himself might his quietus make
with a bare bodkin?  Who would fardels bear,
to grunt and sweat under a weary life,
but that the dread of something after death,
the undiscover'd country from whose bourn
no traveller returns, puzzles the will
and makes us rather bear those ills we have
than fly to others that we know not of?
Thus conscience does make cowards of us all;
and thus the native hue of resolution
is sicklied o'er with the pale cast of thought,
and enterprises of great pith and moment
with this regard their currents turn awry,
and lose the name of action.

[Per i non anglofoni, propongo una mia traduzione del testo... ]

Essere o non essere: questo è il problema:
se sia più giusto nell’animo sopportare
i colpi e i dardi della sorte insolente
o armarsi contro questo gorgo di guai
e nella lotta por loro fine. Morire. Dormire,
nulla di più: e nel dormire, dire che poniamo fine
alle passioni e alle migliaia di sciagureche questa carne eredita: un logorio di cui esser
devotamente grati. Morire. Dormire;
dormire: magari sognare, sì, questo è il punto;
perché, quali sogni possano giungere in questo sonno di morte,
una volta sbrogliato questo viluppo mortale,
deve farci riflettere: ecco il timore
che dà alla sventura una vita così lunga;
altrimenti, chi sopporterebbe il sferzate e i dileggi del tempo,

i torti degli oppressori, le offese dei superbi,
le fitte di un amore rifiutato, il ritardo delle leggi,
la sfrontatezza del potere e il disprezzo
che il merito paziente riceve dal volgo,
quando egli stesso potrebbe star sereno
con un nudo pugnale? Chi porterebbe fardelli,
agognando e sudando sotto il peso di una gravosa vita
se il timore di quel che c’è dopo la morte,
questa landa sconosciuta dai cui confini
nessun pellegrino è mai tornato, non turbasse la volontà
e ci facesse sopportare i nostri mali piuttosto
che volare verso altri ignoti?
Sì, la consapevolezza ci rende proprio vili
e il naturale colorito della risolutezza
è sbiancato dal pallido aspetto del pensiero
e imprese e azioni di grande importanza
per questo deviano il loro corso
e perdono il nome di azione.

 
 
 

A me stesso (pare ieri)

Post n°100 pubblicato il 26 Gennaio 2008 da Virplatonicus
 

"Waiting for the wind of change"
Rush, da "2112"


Vecchio compagno,

                             fedele amico nella buona e nella cattiva sorte, fratello di sventure e attimi magici, guarda dove sei arrivato! 18 anni, stenti ancora a crederci, di' la verità.  Pare ieri che venivi al mondo. Pare ieri che entravi a scuola, tutto orgoglioso col tuo zaino delle "tartarughe ninja". Pare ieri che giocavi con Jacopo, che poi è andato a Padova perché "la mamma ha cambiato lavoro". Pare ieri cheti trasferivi, lasciavi la tua città natale, verso dove non si sa. Pare ieri che papà ti lasciava, per scoprire cosa c'è dopo la morte. Pare ieri che andavi alle medie, il più alto di tutti. E pare ieri che iniziavi a raderti, ché non sopportavi che il bidello ti chiamasse "baffo moretti". Pare ieri che sceglievi il classico, ché "la matematica non mi piace, e lì se ne fa poca". Pare ieri che scoprivi quel libro blu, Così parlò Zarathustra, che da qualche parte avevi già sentito. E poi iniziano i dubbi, ma si stava tanto bene prima, senza tutti quei libri che inondano la stanza e alleggeriscono il patrimonio. Ma tu, ascoltare mai, perché voglio sbagliare io. Pare ieri che scoprivi che le persone non sono proprio tutte uguali. Pare ieri che ti sentivi vivo solo perché lei ti sorrideva.
Pare ieri che eri religiossisimo, e si andava a messa 3/4 d'ora prima per stare con Signore. Che poi, in cambio, ti ha portato via il papà. Pare ieri che papà ti portava a destra e a manca, e tu lo prendevi in giro per la sua misera pancetta. Pare ieri che chiedeva alla Signora Mayer se ti avesse fatto la sacher, che a lui piace tanto. Pare ieri che hai scoperto i Floyd e la musica "seria". Pare ieri che passavi le tue "adolescenti sere" solo a guardar le stelle, in compagnia della tua amata, la luna. Pare ieri.

Vecchio mio, ieri sei diventato maggiorenne. Lo senti il vento? Sta cambiando. Non sei più Giovannino ora, dopo l'1 ora c'è un 8. Sei grande.
Ma forse testardo, strambo e Giovannino lo sarai per sempre. Ché io so come sei: tu sei indefinito. Cambi. Muti forma. Ieri eri piccolo, oggi sei grande. Vedi di non farmi pentire di esser venuto sin qui con te.

Lo sai che il vento soffia in faccia al tempo. Ora è il tuo tempo ad essere scosso. Sei tu, in prima persona, che sei scosso dal vento. Il vento del cambiamento. The wind of change.

 
 
 

Post N° 99

Post n°99 pubblicato il 25 Gennaio 2008 da katyjo




BUON COMPLEANNO!!!!!!!

Auguri adatti, adesso che sei diventato grande! :-)) non aprofittare nel tuo nuovo status di maggiorenne per fare troppe stupidaggini. Per il resto, divertiti.

Un abbraccio forte ragazzo

 
 
 

Le confessioni del corpo

Post n°98 pubblicato il 03 Gennaio 2008 da Virplatonicus
 

Ovvero: quello che il corpo non ci dice più, oggi. O lo dice, forse, ma noi non sappiamo più ascoltarlo.

C'era, un tempo, il corpo. Il corpo che era vivo. Facente parte di una comunità. Come se ogni individuo col suo corpo facesse parte di un individuo più grande. E la perdita del corpo equivaleva alla perdita come di un organo per la comunità. Ma questo accadeva nelle società primitive. Noi ora si suol dire che siamo evoluti, civili.
Nell'antica Grecia, in Omero in particolare, il corpo era lo strumento privilegiato per l'approccio al mondo. Il corpo era un insieme di sensi, un insieme di percezioni. Il corpo nel suo insieme ("swma")  era il cadavere. Poi giunse Platone. Il quale condannava il corpo come prigione, carcere per l'anima (rifacendosi alla tradizione pitagorica) e vedeva il primato dell'anima, immortale e pura, costretta a decadere in questo mondo propio a causa delle passioni del corpo.
Nel mondo ebraico, il corpo (nefes) era una creatura di Dio. E diveniva male solo se si allontanava dalla potenza (ruah) di Dio. Il termine nefes, peraltro indica il corpo come essere vivente. Dice infatti Sansone "Muoia la mia nefesh con tutti i Filistei". (Giudici, 15, 30)
E poi, Cartesio. Eccolo qui, il padre della scienza moderna. Ecco chi ha iniziato a far perdere di valore il corpo. Certo, la ragione. Ecco che con Cartesio il corpo è un oggetto del mondo, come tanti altri. Alla esperienza di ciascuno si contrappone l'universalità del corpo razionale. La medicina, l'anatomia. L'omologazione dei corpi. Non più una soggettività personale, un corpo che parla alle emozioni, ma un freddo cumulo di carne.
E siamo arrivati ad oggi. Per noi la scienza è realtà. Noi non siamo persone, siamo corpi. La scienza ci nega l'anima, e anche il corpo. Voglio dire, la soggettività del corpo. Ed esso non ci parla più, anzi, ha perso persino quella che era la sua carica erotica. Una volta il corpo provocava emozioni, ora, la perversione si è spinta a punti tali che non ci basta più la nudità. Ci vuole di più. Perché il corpo, da solo, non ci parla più.

Come un pellegrino penitente, esso vuol confessarsi. Da sempre bistrattato in Occidente, da sempre armoniosamente rispettato in Oriente. Ma che peccato ha il corpo? L'esistenza? Il peccato dell'esistenza? Ma il corpo non nasce forse da un atto d'amore? Il corpo nasce da un altro corpo. Il corpo di madre, che comunica con il futuro bimbo. Un corpo caldo e affettuoso.

La scienza ce lo nega. Impedisce il dialogo con il nostro corpo. Vuole un monologo, vuol parlare solo lei. Io non ci sto. Voglio stare a sentire che mi dice, il corpo. E posso scommettere che vuole solo chiedere di esistere. Non vuole altro che questo. Esistere veramente, come fedele compagno dell'anima, non come nemico da evitare. Come negarglielo?

Bibliografia: Fedone, Platone; Il corpo, U. Galimberti, Feltrinelli (1983); I vizi capitali e i nuovi vizi, U. Galimberti, Feltrinelli (2003); La disfatta del genere, Judith Butler, Biblioteca Metelmi (2006)

Foto: si ringrazia Lady Lucretia von Threstal per la foto

 
 
 

Natale

Post n°96 pubblicato il 24 Dicembre 2007 da Virplatonicus
 

Niente paura, non farò letture filosofiche della festività del Natale, anche se potrei... Mi trattengo. Scrivo solo per un motivo, per augurare ai miei amati e fedeli lettori (se ce ne sono... ma sì che ce ne sono) un sereno Natale... Che dentro quei pacchettini che si mettono sotto l'albero possiate trovare qualcosa di buono per voi e per la vostra vita... perché, in realtà, il Natale è questo, il rinnovamento del mondo ad opera dell'incarnazione di un Dio. E allora, accettiamo questo rinnovamento, e facciamolo nostro....

Buone feste.

 
 
 

Il sogno (part II)

Post n°95 pubblicato il 19 Dicembre 2007 da Virplatonicus
 

Chiedo scusa per il tonoi mistico-profetico che avrà questo post, sono in uno stato entusiastico (nel senso etimologico, c'è un qualche dio ora in me), non sono responsabile di ciò che scrivo.

Io ho visto dove si nasconde la vita. Ho visto, e voglio rivelarlo anche a voi. Ho baciao le labbra della notte con lo stesso impeto con cui una valanga travolge un arbusto. Ho danzato sulle curve della strada come un agile antilope. Ho gridato alla luna con tutta la voce della mia gola, ho camminato al freddo pungente con la musica nelle orecchie e la vita nel petto. Ho rinunciato a una festa di falsi sorrisi e vuoti convenevoli, ho scelto una via non battuta. Ho passeggiato al freddo nella notte, col cappello e la borsa. E "Como estais amigos" nelle orecchie. Una di quelle canzoni che pare durino per sempre, e quando finiscono, ti lasciano vuoto. Ho cantato il ritornello, la luna come guida e le stelle come ascoltatori. "No more tears", non più lacrime, dovessimo vivere cento anni. In mezzo alla strada, con gli automobilisti, sfacciati, che pensavano fossi ubriaco. E in fondo lo ero, ma non di vino, di vita. Non ne ho mai abbastanza. Ne tracanno crateri interi, e ne voglio ancora, e ancora. Più ne bevo, più ne bramo. E ne ho bevuta molta questa sera.
Io ho visto cos'è la vita vera, il sogno esistenziale, il dire di sì al mondo. Ho detto di no agli uomini, ho detto di sì alla notte. Che, ammiccante, non mi ha deluso. Che mi ha portato on a "Higway to Hell", nessuno mi rallenterà. Gli occhi dei vecchi ubriaconi addosso. Il loro rancore e perché no, la loro invidia. Non mi interessa. Io sono vivo, lo grido, che mi senta la città intera! Io sono vivo. O me, o vita! E sono le 23.33, e ho voglia di vita.

P.S.: le canzoni citate nel post sono Como estais amigos, Iron Maiden, da "VIrtual XI", 1998 e Higway to Hell, AC/DC, da "Higway to Hell", 1979

 
 
 
 

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SMISURATA PREGHIERA (DA “ANIME SALVE”, 1996)

Alta sui naufragi
dai belvedere delle torri
china e distante sugli elementi del disastro
dalle cose che accadono al disopra delle parole
celebrative del nulla
lungo un facile vento
di sazietà di impunità

Sullo scandalo metallico
di armi in uso e in disuso
a guidare la colonna
di dolore e di fumo
che lascia le infinite battaglie al calar della sera
la maggioranza sta la maggioranza sta
recitando un rosario
di ambizioni meschine
di millenarie paure
di inesauribili astuzie

Coltivando tranquilla
l'orribile varietà
delle proprie superbie
la maggioranza sta
come una malattia
come una sfortuna
come un'anestesia
come un'abitudine

per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
col suo marchio speciale di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte una goccia di splendore
di umanità di verità

per chi ad Aqaba curò la lebbra con uno scettro posticcio
e seminò il suo passaggio di gelosie devastatrici e di figli
con improbabili nomi di cantanti di tango
in un vasto programma di eternità

ricorda Signore questi servi disobbedienti
alle leggi del branco
non dimenticare il loro volto
che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti
come una svista
come un'anomalia
come una distrazione
come un dovere

Fabrizio Dé André

 

SHIVA

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SOCRATE

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PLATONE ED ARISTOTELE

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BUDDHA

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DORME, DORME PLACIDO SULLA COLLINA

“… E dov’è Jones, quel vecchio suonatore
che giocò con la vita per tutti i suoi novant’anni,
affrontando la tormenta a petto nudo,
bevendo e facendo chiasso,
senza mai un pensiero né a moglie, né a parenti,
non al denaro, non all'amore, né al cielo?
Eccolo! Ciancia ancora delle porcate di tanti anni fa
delle corse bel boschetto di Clary
di ciò che Abe Lincoln disse una volta a Springfield

(da “La Collina” di E.L. Masters)

 
 
 
 

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