FEMMINILITA'

Berlino 2009 - La Teta Asustada vince l'Orso d'oro


La Teta Asustada Regia : Claudia Llosa ; sceneggiatura : Claudia Llosa ; fotografia : Natasha Braier ; montaggio : Frank Gutierrez ; musica : Selma Mutal ; interpreti : Magali Solier (Fausta), Marino Ballòn (Onkel Lucido), Susi Sànchez (Aida), Efraìn Solìs (Noe) ; produzione : Oberon Cinematogràfica, Wanda Vision ; distribuzione : Tha Match Factory ; origine : Spagna/Perù, 2009 ; durata : 94’. 
  Non tutti si ricordano che la storia recente del Perù è stata segnata da un drammatico clima di terrore. Dal 1980 al 2000, nel paese sudamericano, sono stati registrati 70000 omicidi ed innumerevoli casi di stupro e di abuso. Un ventennio indubbiamente tragico ed oscuro. La regista Claudia Llosa, nata a Lima nel 1976, ha vissuto in prima persona la tragedia di questo periodo e conosce perfettamente le sensazioni che si provano in quei momenti. Llosa, già apprezzata per il film MADEINUSA (2006) e qui alla sua seconda prova nel lungometraggio, ha sentito ora il bisogno di raccontare il dramma di questi venti anni e di farlo in maniera indiretta, puntando il suo sguardo sulle conseguenze del presente piuttosto che sulle colpe del passato. Calamitando il suo sguardo sull’attuale realtà peruviana, la regista-sceneggiattrice ci narra la storia di Fausta, giovane ragazza che ha contratto una malattia dal latte della madre. La malattia, denominata la teta asustada, non consiste in nessuna infezione batterica, bensì in una condizione in cui vengono rinchiuse tutte le donne che durante il periodo del terrorismo hanno subito un abuso od uno stupro. La vera malattia di Fausta è la paura. E’ questa infatti l’eredità ricevuta dalla madre. L’anziana donna, che muore e scompare dalla scena dopo pochi minuti dall’inizio del film, ha vissuto sulla sua pelle il dolore degli anni del terrorismo e la figlia è proprio il frutto di questo periodo. Fausta sente dentro di sé la sua malattia, indotta più che altro dall’assuefazione alla credenza popolare in essa. Vissuta sempre con il marchio della teta asustada stampatogli addosso dalla famiglia, la ragazza manifesta la sua paura nei confronti della vita, della società e dei rapporti interpersonali, con l’inserimento di una patata nella vagina finalizzato alla protezione da eventuali stupri. E’ in questo gesto che la storia scritta da Claudia Llosa riassume l’irrimediabile fragilità della sua protagonista. Quest’azione autoprotettrice porta in sé i dolori del passato di un intero popolo, è il segno di una ferita ancora difficile da rimarginare, è la metafora di un dolore ereditario. Attraverso il personaggio di Fausta, la regista riesce a fare un salto nel passato nero del Perù ed allo stesso tempo a guardare con speranza (rappresentata nel finale) verso il futuro. In lei viene racchiuso quel senso di impotenza che ha vissuto la nazione nei vent’anni di terrore e solo in lei può essere scovato il coraggio per ripartire verso un nuova ricostruzione, una nuova era che però deve sempre ricordarsi del passato. Finora ci siamo focalizzati solamente sul personaggio di Fausta. Ciò non vuole però implicare l’assenza di una dettagliata delineazione delle figure di contorno. Tutt’altro. Se infatti Fausta costituisce il perno centrale del film, attorno a lei ruota un nutrito gruppo di personaggi che rispecchia le diverse anime del paese. Dalla ricca signora per cui lavora, all’affettuoso zio -seriamente convinto, nonostante il tentativo di persuasione di un medico, che la giovane sia malata di teta asustada - fino a tutti i componenti della sua famiglia, i caratteri che si muovono nel contraddittorio territorio peruviano sono l’immagine delle loro tradizioni e della loro cultura unica e singolare. Una nota conclusiva la merita il lavoro registico di Claudia Llosa. Sebbene il film presenti in diversi momenti un’eccessiva dilatazione dei tempi del racconto, appare sorretto da un pacato - e mai presuntuoso - senso poetico, espresso in un’insistenza ammaliante sui silenzi e sulle sensazioni della splendida protagonista Magali Solier.di A.Spera