Solamente io: Gianni

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Lettera a mia moglie Amore mio, mesi fa ti ho scritto una lettera che hanno letto in tanti: amici, estranei, curiosi. Gente che ha pianto con me la tua morte e gente che la sera del funerale era già scappata. Provo a darle un seguito. Sei via da otto mesi e mezzo, tempo in cui sono successe cose che avresti condiviso con me. Sempre un po' in disparte, però, non amavi apparire. Un amico in radio mi ricordava l'altro giorno che una foto in cui siamo in gruppo, dopo una diretta mattutina, la scattasti tu. Quando lui ti propose di farti fotografare, dicesti che preferivi stare dietro l'obiettivo. Ti facevi fotografare solo da me o da Susi, ma quella era famiglia: la tua missione. Nel romanzo nuovo ho inventato una ragazza di quindici anni, l'ho chiamata Mirka. Anche lei non ama farsi fotografare. Dice che le foto in cui uno si mette in posa e viene bene poi le usano per la sua lapide: "Se vengo male in tutte le foto c'è il caso che non debba morire mai". Non ti è capitato - forse perché venivi bellissima in qualunque scatto, in vestaglia e ciabatte o in abito da sera - di non dover morire. Sai cosa mi riempie di tristezza? Il vuoto. Che cosa scema, paradossale. Ora fotografo casa, nella speranza di trovare un tuo riflesso sulla pellicola, un'ombra sul muro, un bicchere sporco di rossetto. Le stanze si aprono e chiudono e non c'è nessun fantasma a parte quello del bene che ci siamo voluti, e opprime, e da solo non so quanto riuscirò a sopportarlo. Ho conosciuto quei ragazzi che da ragazzi ci facevano sognare, e ballare abbracciati tutto un pomeriggio e baciarci fino a non aver più labbra e quando dico che li amo perché fanno parte della nostra storia qualcuno ride, qualcuno alza le spalle. Ma non importa. Ho parlato loro di te. A Red ho regalato l'Apocalisse: è stato buffo, caotico, indimenticabile. Siamo diventati amici, ogni tanto ci sentiamo. Lui mi chiama Franci di Narni, perché se no dice che si confonde col figlio di Facchinetti, siamo andati a mangiare insieme, avrei dato un braccio perché ci fossi anche tu. Un altro anno scolastico è finito, il più doloroso e difficile, hanno promosso gran parte dei nostri ragazzi: un discreto successo. Amici che si sposano, amici che si lasciano: è capitato anche questo. Susi gioca a basket come una veterana: ha classe ed è cattiva il giusto; va in seconda media, come sai. Bei voti, a parte matematica: la prof le ha dato sei. D'altronde, il sangue non è acqua. Di questi tempi facevamo le valigie. Tu eri previdente a metter dentro tutto quello che serviva e molto di più. Questa estate tocca a me farla, io e Susi andiamo un po' al mare. Metterò nel trolley cose doppie e dimenticherò qualcosa di importante: non ho il tuo talento. Poi riprenderà la scuola, e a novembre il libro nuovo. Tornerò a Siracusa e questo, già lo so, mi farà male. Fausta mi ospiterà di nuovo a Casa Dodò, dove siamo stati bene e dove ci siamo regalati l'ultima vacanza da soli. Non lo sapevamo che era l'ultima e ce la siamo goduta. Ti ricordi  che abbuffate di arancini e cassate? Eri bellissima, la chemio non ti aveva scalfito. Soffro di solitudine, è evidente a tutti. Non hanno ancora inventato qualcosa per trasformare la disperazione in energia; se esistesse un apparecchio così lo comprerei subito. Con la mia, sofferta in quattro anni di malattia e poi di perdita, potrei mandare avanti una centrale atomica. A consolazione, ho solo questa povera scrittura artigiana.  La nostra piccola casa ci ha costretto a sfruttare tutti gli spazi: nel tuo comodino, in fondo a un cassetto, ho trovato un reggiseno. C'è ancora il profumo della tua pelle: giuro, non è follia. Si è conservato là dentro per tutto questo tempo. Ho chiuso gli occhi e - anche se sulle foto non riesco a scovarti - mi sei tornata davanti magnifica e innamorata. Poi quando ho provato ad abbracciarti non c'eri già più