Ishtar

Lo spirito armonico mediterraneo


Canto, musica e danza sono gli ingredienti basilari di questo discorso su alcune danze popolari del sud Italia che mi porterà a scavare nelle loro più arcaiche origini. Queste probabilmente, sono da ricercare nel mondo classico o pre-classico, come d’altronde tante altre manifestazioni culturali odierne del mondo mediterraneo. Vedremo, inoltre, come esse possano essere dei veri e propri rituali, alla stregua di quella sorta di rituale che era lo spettacolo teatrale in Grecia. In effetti, con il culto del teatro queste danze hanno molto in comune, non soltanto per l’ampio uso della cosiddetta mousiké costituita appunto, dalla triade canto-musica-danza, ma anche per il concetto di enthousiasmos collegabile ai riti in onore del dio dell’ebbrezza, dell’unione degli opposti vita e morte, ossia Dioniso ma dove, soprattutto, gli abitanti della polis avevano modo di riflettere, confrontarsi con le proprie passioni e ottenere per mezzo degli esempi dei grandi eroi del mito, la catarsi. A quest’effetto del teatro ellenico, ampiamente conosciuto, ne aggiungerei un altro, ovvero l’effetto di rilassamento e ulteriore purificazione ottenuto grazie al “pensiero armonico”. Strettamente collegato al mondo mediterraneo (dove il mare omonimo con il suo moto ondoso che collega le terre che vi si affacciano, permette l’accoglienza del diverso portando con sé un certo grado di liberalismo mentale). Il pensiero armonico potrebbe essere quindi, tra le altre cose, uno degli elementi costitutivi ideologicamente di rituali come lo spettacolo teatrale nel mondo classico oltre che altre manifestazioni dominate dalle tre arti menzionate sopra. Per una prima comprensione di esso bisogna analizzare l’etimologia della parola“armonia”. Vi ritroviamo il greco harmozèin: connettere, unire. Esso nasce dal rapporto anticamente molto forte con la natura (physis). I greci modellavano su di esso il proprio agire: i cicli della natura come l’alternarsi delle stagioni, il ciclo lunare ecc... venivano osservati e poi imitati con riti che li celebravano così come aveva già fatto il mito. Lo spirito armonico, perfettamente rappresentato, non dal cerchio e nemmeno come vuole il pensiero storiografico per cui tutto tende ad un fine senza possibilità di ritorno, dalla retta. Il suo simbolo che, se vogliamo, mette insieme i significati dell’uno e l’altro approccio, è la spirale. Stiamo parlando di un simbolo che vuole riassumere il significato del ciclo della physis e del suo eterno vivere-morire-rinascere, inteso non come ritorno dell’identico, bensì come ritorno dell’analogo. Il pensiero armonico mette in campo, per prima cosa, l’eterno scorrere del tutto, il “panta rei di Eraclito” a cui si aggiunge “l’imprescindibile aspetto dinamico dell’harmonia oppositorum”. Sono manifestazioni culturali che potrebbero derivare da un mondo mediterraneo antico, dunque, dominato da questo pensiero armonico, che potrebbe influenzare ancora oggi molti aspetti della vita dei paesi che affacciano su quest’affascinante mare. Se il lettore mi darà ragione, si potrà intravedere una sorta di sopravvivenza del rituale dionisiaco-coreutico-musicale. Luoghi come l’ex Magna Graecia che, ricordiamo, comprende oltre la Sicilia, le Puglie e parte della Campania, hanno meglio preservato l'essenza ultima delle manifestazioni rituali e mitiche del pensiero armonico. In effetti, si può notare la continuità con lo spirito di un antico mondo mediterraneo, di alcune danze che, sembrano poter fungere da fil rouge ricongiungente le pratiche di iatromusica e iatrodanza (terapeutiche) elleniche (come il dionisismo, l'orfismo e il coribantismo greco) alle danze popolari di buona parte del sud Italia. La pizzica salentina, alcune tarantelle irpine (la tarantella Montemaranese, in particolare) la tammurriata campana, sono forme coreutico-musicali apparentemente differenti l'una dall'altra ma, in realtà, imparentate per la loro connotazione mitico-rituale. Esse sono, soprattutto, frutto di una cultura tutta mediterranea che, a sua volta, potrebbe affondare le radici, come già sostenuto poc'anzi, in una cultura fondante per i popoli che affacciano sul mare nostrum. Forme di terapia psichica e di cura che permettono il distaccarsi momentaneo dalla quotidianità e dai suoi problemi per entrare in un mondo-altro grazie a ciò che, in potenza, ciascuno di noi potrebbe ottenere, ossia una forma di trance. A me piace definirle“danze estatiche”. Questa definizione è giustificata e riconosciuta dai tanti cultori di suddette forme coreutiche, che d'altronde, permettono anche a questo grande repertorio culturale di sopravvivere. Parlando con danzatori di varia provenienza ed età, infatti, mi è stato confermato che danzando e liberando la mente dai pensieri, cosa che avviene sopratutto grazie al suono degli strumenti utilizzati per la musica a supporto di queste danze (vedi il suono caldo e ripetitivo del tamburello) e facendo sì che gli arti si muovano quasi meccanicamente senza concentrazione, è possibile raggiungere uno stato mentale simile, per molti aspetti, ad una trance. Potremmo trovare riscontro, giusto per fare un esempio, negli stessi studi demartiniani sulle “tarantate” salentine che riescono a danzare per ore accusando poco o nulla la stanchezza e, al termine della danza, non ricordano quello che hanno detto o fatto. Esse presentano tutte le caratteristiche analizzate da Rouget nel suo lavoro sulla trance (trance di possessione). Spesso si è riluttanti ad accogliere queste forme coreutiche nell’albo dell’arte o danza colta, optando a relegarle nel rango di quella minore o, in senso dispregiativo, folklorica. Benedetto Croce riflettendo proprio su questo, sostiene che la gente “incolta” produca un’arte che ritrae “sentimenti semplici” con “cose semplici” mentre l’arte individuale un sentire complesso e ricco di sfumature5. Ma se le cose di cui gli artisti popolari possono disporre sono semplici, i sentimenti (come i tarantati con la loro danza fortemente simbolica dimostrano) possono essere tumultuosi, profondi, complessi e ricchi di sfumature. Ciò che li differenzia in realtà è il fatto che si tratta di sentimenti condivisi e collettivi, non coincidenti con quelli soltanto individuali. Ci troviamo di fronte ad un’arte diversa che ha semmai come forza in più proprio il fatto di essere condivisa e di fare riferimento ad un inconscio collettivo le cui origini risalgono ad una remota età dell’oro. Analizzerò quindi innanzitutto la storia, le tecniche coreutiche e quelle strumentali e musicali senza basarmi unicamente su, quella che è considerata da molti etnomusicologi, la “Bibbia del tarantismo” che è La terra del rimorso di Ernesto De Martino.Più che “terra del rimorso”, il Salento si possa definire una “terra della rinascita” e queste forme coreutiche e musicali hanno, quindi, un retaggio culturale antico che si fa portavoce di un sistema di pensiero e riti che, se posti come modello di comportamento, potrebbero portare ad un nuovo “Umanesimo mediterraneo”.