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Il mio libro AFFARI CINESI acquistabile anche on line

Post n°13 pubblicato il 26 Gennaio 2009 da KeenScore
 

Affaricinesi_cop1  Voci dal campo è il sottotitolo di questo manuale. Non una trattazione accademica sul Celeste Impero, ma una guida per le Piccole e Medie Imprese impegnate, con diverse modalità, a ritagliarsi il proprio spazio cinese. Storie di difficoltà, insuccessi ed errori, ma anche di grandi opportunità e grandi risultati. Spunti, commenti, case histories e suggerimenti pratici per non perdere una occasione storica. Nel momento in cui la Cina non è più solo la Fabbrica del Mondo, ma è ora il più grande Mercato del Mondo, il sistema delle Piccole e Medie Imprese italiane rischia di rimanerne fuori. Un’analisi a volte impietosa ma realistica del ritardo del sistema Italia. Il testo vuole essere un contributo concreto per chi intende entrare in Cina, e rimanerci. Il taglio è pragmatico e concreto, il linguaggio mutuato dalla quotidianità del linguaggio imprenditoriale e manageriale.

Per acquistare il libro on line www.affaricinesi.com

 
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Cina e crisi mondiale: i 36 stratagemmi cinesi tornano utili?

Post n°12 pubblicato il 26 Gennaio 2009 da KeenScore
 

Come ho sempre sostenuto, economia, societa', cultura e storia cinese sono un intreccio indistinguibile, e ognuno di questi elementi ha riflessi sugli altri. Non si capisce l'economia cinese senza conoscere la storia e la cultura di questo Paese. Cultura e storia in Cina sono catalizzatori e "booster" dell'economia, anche quando, ad una analisi superficiale, non si distinguono questi elementi nello sviluppo economico, o nella complessa e schizofrenica realta' sociale cinese. Questi aspetti sono stati in molti casi una ragione, non riconosciuta, (la cosa peggiore e' proprio "non sapere di non sapere") di disfatte, incomprensioni, abbandono del campo da parte di molte imprese europee.

Ora ci si mette anche la crisi, ed in questo scenario ritorna forse utile richiamarci alle antiche strategie cinesi, spacciate o camuffate da strategie militari (anche questo forse e' uno stratagemma), ma forse utili per leggere la crisi, e affrontarla con la visione e la strategia dei cinesi. Le basi culturali delle strategie cinesi sono innumerevoli. Da "L'arte della guerra", al "Libro dei cambiamenti", (l’Yi Jing) fino a "I 36 stratagemmi", risalente probabilmente alla dinastia dei Ming (1366-1610), e probabilmente scritto da monaci guerrieri.
Strategie e stratagemmi nella cultura cinese sono intrecciate, si sviluppano, sostengono e giustificano a vicenda.

Con una operazione certamente semplicistica, scorporiamo dal tutto solo alcuni degli stratagemmi cinesi, per capire se e come la storia e le modalita' culturali cinesi potrebbero aiutare ad assumere decisioni e disegnare strategie rispetto alle problematiche della crisi globalizzata.
Il concetto fondamentale di questi stratagemmi, come delle strategie cinesi in generale, è "l'arte di vincere il nemico senza opporvisi", cioè la capacità di entrare in sintonia con le leggi della natura e della vita, per volgerle a proprio vantaggio con il minimo sforzo. Si tratta della stessa filosofia che ispira alcune delle arti marziali in cui chi attacca finisce per essere vittima della sua stessa forza, che gli viene rivolta contro attraverso uno spostamento di equilibrio e un unico gesto. Significa in sostanza seguire a fondo "i cicli". Anche quando sono sfavorevoli, le contingenze presentano sempre opportunita'.

Non a caso il concetto di "crisi" in cinese si traduce con due ideogrammi 危機, il primo, 危 wei, significa pericolo. Il secondo, 機 ji, significa opportunita'. Basterebbe questo per dare una sintesi di come i cinesi vedono le cose.

Consapevole dei "rischi culturali" che mi assumo con questo uso improprio, e magari anche approssimativo, degli stratagemmi, scusandomene quindi con i "cultori ortodossi", proviamo ad esemplificare l'uso di alcuni di questi nella realta' economica di cui mi occupo: le strategie di internazionalizzazione.

Il Secondo stratagemma sostiene: "Assediare Wei per salvare Zhao”: è più saggio sferrare un attacco quando le forze nemiche sono disperse. I nostri concorrenti internazionali sui mercati mondiali non hanno avuto bisogno di usare questo stratagemma. Il "sistema Italia" nel mondo e' "disperso" da sempre. I concorrenti hanno solo dovuto aspettare i frutti della situazione.

Il Quinto stratagemma sostiene: "Approfittare dell'incendio per darsi al saccheggio”: attaccare direttamente il nemico, quando si trova in un momento critico. La crisi internazionale e' un momento molto critico per tutti, inclusi i concorrenti cinesi, che in molti casi non hanno avuto il tempo di consolidare strategie di marketing internazionale, di dare spessore qualitivo adeguato ai loro prodotti, di formare, consolidare e irrobustire le Risorse Umane. In questa fase possono uscire i grandi vantaggi della storia europea, fatta di qualita', immagine, forza commerciale. I cinesi per un po' saranno impegnati a leccarsi le ferite industriali derivate dall'aver concentrato gli sforzi sulla manifattura per conto terzi. Supereranno le difficolta', ma il Sistema Italia ha davani un momento (ma sara' solo un breve momento) per sfruttare al massimo i propri "plus", magari acquisendo concorrenti cinesi in difficolta', o investendo nel sistema distributivo.

In questa logica, possiamo usare anche il Sesto strategemma: "Clamore a Oriente, attacco a Occidente”: attaccare quando il nemico perde il controllo ed è nella confusione", e l'Ottavo: “Avanzare di nascosto verso Chenchang”: attaccare di sorpresa, di soppiatto.

Continuando con questa inusitata (e spregiudicata) modalita' di interpretazione della cultura cinese, possiamo citare il 23.mo stratagemma: “Allearsi ai lontani per attaccare i vicini”: è più facile conquistare i nemici vicini che i lontani. E per far questo ci si può alleare temporaneamente con i nemici lontani".

La battaglia commerciale e industriale tra le imprese occidentali oggi si combatte in Asia. Molte aziende tedesche, francesi, americane, hanno struttuato da anni la loro presenza in questo continente, creando alleanze, esperienze, potenzialita' che hanno puntualmente sfruttato per combattere le battaglie commerciali in occidente, mietendo vittime illustri anche tra le realta' industriali del Bel Paese.

Per finire, cito forse lo stratagemma che piu' sintetizza la mia idea rispetto ai concetti di internazionalizzazione delle economie: il 30.mo: "Mutarsi da ospite in padrone di casa”: estendere abilmente la propria influenza nel nemico, mettendolo finalmente sotto il vostro controllo.

L'applicazione di questo stratagemma, che in realta' e' un risultato delle strategie messe in atto, sinifica proprio passare da un concetto di internazionalizzazione "spot", quindi superficiale, senza impegno, con visione a breve, ad un concetto strategico di internazionalizzazione, in base al quale il mondo intero diventa casa nostra, e nel quale ci sentiamo "a casa". Un concetto molto difficile per le piccole e medie imprese italiane, nate e cresciute spesso in realta' provinciali nelle quali si sono arroccate, lasciando ad altri il controllo di un mondo esterno (in particolare del mondo asiatico), senza accorgersi che le leve del mondo, manovrate dalle industrie, dai grandi flussi finanziari e dalle oculate politiche governative dei Paesi asiatici, si stavano spostando da occidente ad oriente. Le strategie delle imprese italiane all'estero si sono spesso ridotte ad essere "ospiti" nei vari Paesi, altre economie hanno consolidato le presenze fino ad essere "padroni di casa" in molti settori industriali asiatici. Hanno piantato radici, ora trattano alla pari "con il nemico"

 
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Asia, le opportunita' della crisi

Post n°11 pubblicato il 26 Gennaio 2009 da KeenScore


Che l'Asia stia soffrendo la crisi economica e finanziaria mondiale, non vi sono dubbi. La chiusura di DECORO a Shenzhen (uno dei maggiori investimenti italiani in Cina), considerato il piu' grande produttore mondiale di divani, con un fatturato di circa 500 milioni di Euro, che ha deciso in questi giorni di mettere in liquidazione l'azienda, ne e' un caso emblematico.

Ma i cinesi dicono che tutte le nuvole hanno una linea argentata, e questo sembra quanto mai vero sui mercati asiatici.
Nel corso di una indagine di mercato che stiamo conducendo in Vietnam per conto di un importante gruppo industriale italiano in questi giorni, mi e' tornata alla mente piu' volte una citazione, a cui non so piu' attribuire la paternita', ma che trovo molto adatta alla attale situazione economica: "Esistono due tipi di aziende, quelle veloci e quelle morte".
La reattivita' sui mercato, la velocita' di decisioni strategiche, la flessibilita' mentale di manager e imprenditori si sta rivelando la chiave per uscire dalla crisi. Le imprese "veloci" stanno utilizzando la crisi spostando il focus sui mercati di grande espansione, bilanciando il peso della recessione sui mercati occidentali. Il Vietnam, secondo uno studio di un importante centro ricerche, crescera' in media del 9% nei prossimi dieci anni. Lo stesso studio sostiene che il consumatore vietnamita sceglie ancora, nel 70% dei casi, sulla base del prezzo, ma che la sensibilita' verso i Marchi e verso il rapporto prezzo/qualita' sta crescendo vertiginosamente, in parallelo con la crescita della classe media.
Il mercato al consumo per il prodotto italiano in Vietnam appare immenso, ma le difficolta' di accesso a questo mercato (finanziarie, culturali, logistiche), e la necessita' di investire a medio termine frenano le mosse delle PMI italiane.
Altri nostri clienti stanno usando la crisi per strutturarsi in maniera pesante sul mercato cinese, acquisendo, a prezzi molto convenienti, aziende di produzione in difficolta' per il calo drammatico degli ordini dagli USA.
La crescita della Cina nel 2008 (dato ufficiale di pochi giorni fa) e' stata del 9%. Si tratta del primo anno di crescita sotto il 10% dopo tanti anni di crescita a doppia cifra, ma e' pur sempre un 9%, e tutte le previsioni per il 2009 danno la crescita cinese intorno all'8%. In calo si, ma e' una "crescita" in calo, non e' recessione.
Ma soprattutto, il contenuto della crescita cinese e' dato per la prima volta in buona parte dai consumi interni, e molto meno dalle esportazioni, in linea con la proclamata strategia del governo cinese. I 600 miliardi di dollari che il governo cinese ha messo a disposizione per fronteggiare la crisi, non andranno a coprire perdite di banche e istituti finanziari (come succede per i fondi USA) ma sono denaro fresco sul mercato. Il che significa maggiore disponibilita' di disposable income per i cinesi, quindi maggiori consumi interni.
In questo quadro le imprese veloci stanno sfruttando la situazione in maniera straordinaria. Un importante gruppo italiano nel settore moda, ha aperto 400 punti vendita in Cina in 4 anni, con marchio cinese e styling italiano, (la mia teoria dell' Italian Style - China Made applicata perfettamente), posizionando i prezzi al livello corretto (e molto profittevole) rispetto ai consumatori medi cinesi.
Fuori da queste realta', rischiamo aziende morte o moribonde. Nelle ultime settimane riceviamo una quantita' enorme di richieste di PMI italiane che richiedono assistenza per entrare nel mercato cinese del consumo. Poche di queste hanno una qualche consapevolezza dei tempo, investimenti, pianificazioni necessarie per farlo. Nella maggior parte sembrano richieste di soccorso. I loro principali clienti si sono spostati con le produzioni in Asia, e queste aziende non sono state abbastanza veloci, o capaci, nel seguire questi spostamenti, con il risultato che ci si trova improvvisamente senza ordini, essendo calati i sostituti europei e americani.
Queste imprese non hanno futuro in Asia. Mancano prospettive strategiche, capacita' o volonta' di investimento (margini e cash flow sono stati erosi nel vano tentativo di fronteggiare la concorrenza asiatica a colpi di sconti e tagli dei margini).
Manca la capacita' di aggregare filiere e di fare fronte comune, ottimizzando le risorse per tagliare i costi e ridurre l'impatto degli investimenti. Manca, e' vero, anche una politica pubblica di indirizzo, spesso orientata alle grandi imprese e poco attenta alle esigenze delle PMI.
In Vietnam sembra che ICE, Governo e Confindustria si stiano impegnando in maniera diversa. Alcuni recenti accordi tendono a favorire le filiere produttive dove i nostri distretti possono inserirsi, e attraverso questi interventi potremmo probabilmente vendere la nostra merce piu' preziosa: il know how in termini di tecnologia, estetica, bellezza, stile italiano. In tutti i settori.
 
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Acquistare in Cina: i costi nascosti della non-qualita'

Post n°10 pubblicato il 06 Giugno 2008 da KeenScore
 

Ho sempre sostenuto che in Cina e' possibile produrre, far produrre o acquistare prodotti di qualita' analoga a quelli europei, e confermo questa mia convinzione. Devo pero' anche ribadire che questo non e' scontato, e che questo risultato si ottiene attraverso un processo di rapporto con il Fornitore fatto di: fiducia, continuita' del rapporto, affidabilita' reciproca e soprattutto controllo.
In effetti, basti solo citare il settore automobilistico, nel quale molte aziende europee (tra cui molte italiane) stanno fornendo i loro abituali clienti (grandi marche automobilistiche, soprattutto tedesche), esattamente come prima le fornivano dall'Italia.
Non credo che qualcuno dubiti della qualita' dell'impianto di condizionamento della Golf, ma pochi forse sanno che l'impianto e' fatto completamente in Cina da un'azienda italiana. In questo settore i casi di aziende italiane di successo sono molto numerosi, e varrebbe la pena di citarli uno per uno per riconoscerne il merito, ma ovviamente la riservatezza di queste informazioni impedisce di farlo.
Questi importanti risultati non sono ovviamente frutto di improvvisazione, sono gli effetti di una pianificazione strategica, di un investimento in risorse umane adeguate, di un corretto approccio al mercato cinese, soprattutto nella costruzione della supply chain.

A fronte di questa situazione di assoluto successo, esistono pero' innumerevoli casi di grave insuccesso, nei quali il costo della non-qualita' supera talvolta i benefici derivanti dall'acquisto in Cina.
Citiamo alcuni casi di conoscenza diretta, senza ovviamente citarne i nomi.

Azienda italiana nel settore degli elettrodomestici. Acquista dalla Cina componenti in ghisa. Tasso di difettosita' circa 30%. Incapacita' a far migliorare la qualita', nessun tecnico sul campo, fornitore unico, nessun controllo di qualita' in loco.

Azienda italiana nel settore della ferramenta: Acquisto di circa 40.000 E di minuteria metallica. Pagamento anticipato del 30%, resto con lettera di credito. Campioni approvati da tecnici italiani. Merce pervenuta totalmente diversa dal campione (spessori inferiori, finiture diverse, materiale scadente). Inoltre, rispetto al packing list mancava merce per crca 6.000 E. Il fornitore contesta la difettosita', l'Azienda probabilmente intentera' una causa contro il fornitore. Scarse possibilita' di successo, ed in ogni caso tempi molto lunghi. Il danno comunque e' fatto.
La ragione e' nel fatto che il Cliente, probabilmente senza saperlo, ha acquistato da una trading cinese, che certamente si e' fatta fare i campioni da un fornitore, ha poi prodotto la merce da un diverso fornitore, che certamente gli ha proposto un prezzo inferiore. Le trading hanno una grande capacita' di camuffarsi da produttori, soprattutto nelle Fiere, e molte aziende sono convinte di acquistare dal produttore.

Azienda spagnola nel settore degli articoli promozionali. Anticipo di circa 16.000 E di borsette promozionali a fronte di un ordine di circa 40.000. Campioni consegnati e approvati. Rimanenza del pagamento alla consegna. Prodotto mai consegnato, fornitore irreperibile.

Potremmo purtroppo continuare a lungo con molti casi di imprese italiane che improvvisano gli acquisti in Cina, subendo danni molto importanti non solo rispetto al valore dei beni, ma soprattutto in termini di immagine, di mancata consegna, talvolta di interruzione del ciclo produttivo in Italia.

Eppure i rimedi esistono, ma sembrano molto difficili da spiegare alle imprese italiane. La nostra organizzazione ha messo a punto un servizo di gestione degli acquisti che prevede:

1. Validazione dei fornitori, attraverso visite dirette in azienda, verifica degli impianti e delle condizioni di lavoro (abbiamo messo a punto anche un filtro "etico") e report all'azienda cliente

2. Controllo in fase di pre-produzione (per prodotti nuovi o OEM)

3. Controllo in fase di produzione

4. Controllo pre-carico. In questa fase l'Ingegnere delegato al controllo esegue verifiche a norma ISO, emettendo (o non emettendo) una certificazione di conformita', sulla base del quale autorizza o meno la spedizione della merce. In caso di incertezza il prodotto viene fotografato e inviato dal sito produttivo al cliente in tempo reale, in modo che il cliente stesso autorizzi o meno la spedizione.
In alcuni casi, la certificazione di conformita' viene inserita tra i documenti richiesti dalla Lettera di Credito, quindi diventa un documento essenziale per il fornitore, in quanto la Banca lo paghera' solo a fronte di tale documento. Quindi il fornitore non ha alcun interesse, e non e' nella posizione, di fornire un prodotto non conforme.

Questo servizio ovviamente ha un costo, seppur molto contenuto, e tale costo diventa un ostacolo a volte insuperabile per molte aziende, apparentemente disposte a subire il costo, incerto e spesso molto alto, della non-qualita', ma non a subire il costo - certo e rassicurante - del controllo di qualita'.
Spesso sono anche disposte a pagare, a posteriori, un costo molto piu' elevato, e spesso con scarsi risultati, per azioni legali o per il tentativo di ripagamento almeno parziale del danno subito da parte del fornitore. Impresa praticamente impossibile per le imprese straniere che non abbiano un appoggio sul campo, molto piu' facile per chi vive il mercato in Cina, direttamente o attraverso il supporto di strutture organizzate che possono avere un rapporto diretto, one-to-one, in cinese, con il fornitore.

 
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Cessione di tecnologia per mantenere la competitivita' italiana

Post n°9 pubblicato il 04 Giugno 2008 da KeenScore
 

Il titolo di questo articolo contiene naturalmente un paradosso provocatorio. Cedere tecnologia non aiuta normalmente a mantenere la competitivita', ma le esperienze in Cina stanno dimostrando che attraverso la cessione "in licenza" di tecnologia italiana, si sostiene la competitivita' delle stesse imprese italiane che la possiedono.

Di che cosa stiamo di fatto parlando? Esistono molte situazioni, soprattutto nella meccanica, e nelle PMI italiane, nelle quali le imprese italiane stentano fortemente a mantenere il passo competitivo di competitor cinesi o, molto piu' spesso, di competitor europei che hanno decentrato la produzione in Cina. Le aziende italiane stanno cercando di mantenere il passo, e le quote di mercato, con l'unico strumento di immediato utilizzo: la riduzione dei margini di profitto. Questa strada ha come premessa la convinzione che prima o poi il fenomeno cinese si sgonfi, e che il differenziale qualitativo italiano venga riconosciuto e ripagato.
In effetti la realta' sembra molto diversa. Da un lato le imprese cinesi sono ben lontane dall'aver esaurito la loro forza propulsiva sui mercati esteri, dall'atro bisogna riconoscere che la loro velocita' di innovazione tecnologica e' veramente straordinaria.

Il risultato e' che prima o poi il gap "effettivo" sulla tecnologia italiana verra' superato. Perche' parlo di gap "effettivo"? Esiste indubbiamente un differenziale tecnico e qualitativo dei prodotti italiani rispetto alla produzione cinese, ma molto di questo gap viene interpretato dai mercati emergenti come "fronzoli" poco rilevanti rispetto al vero gap di "efficienzao economicita' della produzione" che davvero interessa alle industrie di questi mercati.
Su questi importantissimi mercati (Cina, India, Vietnam, ecc.) conta naturalmente molto il livello tecnologico, ma conta soprattutto il rapporto tra costi ed efficienza. Quindi, le imprese orientali sono certamente diposte a pagare un prodotto italiano piu' di quello locale, ma limitatamente agli effettivi vantaggi che questo prodotto puo' determinare rispetto ad un analogo prodotto locale.

Una delle possibili strade che possono aiutare a risolvere questo problema, riguarda la possibilita' di far produrre in Cina componenti, parti finite, o intere apparecchiature, da partner cinesi, attraverso un contratto di licenza che vincoli fortemente il partner al rispetto dei diritti di proprieta' intellettuale. Esistono diverse strade per ottenere questo risultato, una delle quali e' costituire una Joint Venture con il partner, per il solo sfruttamento della licenza, o per produrre insieme.

Gli effetti di questa soluzione sono molteplici:

1. L'Azienda italiana mantiene il controllo della propria tecnologia

2. Nello stesso tempo, puo' concedere al partner cinese di vendere i prodotti derivati da questa tecnologia sul mercato cinese, direttamente o in partnership, attraverso il riconoscimento di royalties all'azienda italiana

3. L'Azienda italiana puo' essa stessa commissionare prodotti derivanti dalla tecnologia ceduta, sia per il mercato interno italiano, sia per i propri mercati di esportazione, recuperando quei margini competitivi (e i profitti) che sta perdendo

Il mix che si genera e' veramente interessante, e va a coprire un bisogno di tecnologia che effettivamente esiste sui mercati orientali, offrendola ad un prezzo competitivo derivante dal minor costo della produzione cinese.
Nello stesso tempo, l'Aziende recupera la possibilita' di contrastare le produzioni orientali sui mercati europei, grazie al mix tra tecnologia italiana e minor costo della produzione cinese.

 
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Starbucks caffe' in Cina. Meno prodotto e piu' comunicazione per un esplosivo fenomeno da manuale di marketing

Post n°8 pubblicato il 24 Aprile 2008 da KeenScore

Starbucks, la famosa catena americana di caffetterie, presente in Cina con oltre 300 punti vendita, e almeno 4000 addetti, ha annunciato l'apertura di 80 nuovi punti vendita nel solo 2008.
E' un successo travolgente, e non nuovo. Gli americani sono riusciti a far coincidere, nella mente dei consumatori cinesi, in particolare dei giovani, la parola caffe' con la parola Starbucks. Ci sono riusciti usando una modalita' completamente opposta a quella che abitualmente siamo abituati ad usare in Italia, patria indiscussa del caffe' di qualita' (almeno secondo i canoni europei).
Le imprese italiane, nel settore alimentare, puntando all'eccellenza del prodotto, hanno investito e investono moltissimo nel prodotto stesso, nel suo perfezionamento, nella esaltazione delle caratteristiche organolettiche e proprieta' alimentari, con una attenzione quasi maniacale, ottenendo in effetti quanto di meglio al mondo si possa ottenere in termini di qualita'.
Molto meno hanno investito, e quasi nulla in Cina - salvo la lodevole eccezione di Illy che sembra destinato a combattere da solo una improba battaglia contro la multinazionale di Seatle - hanno investito per dare al'espresso quei caratteri identitari per cui il consumatore cinese riconosca in un brand taliano il sinonimo di "espresso".
Cosa distingue Starbucks? Cosa hanno fatto gli americani con il caffe'? La ricetta e' terribilmente semplice (come tutte le cose che si analizzano a posteriori): hanno "tolto prodotto" e hanno "aggiunto comunicazione". Come? Con una forza identitaria travolgente. Tuti gli Starbucks sono identici, offrono tutti esattamente gli stessi prootti (di media qualita') allo stesso prezzo, il personale e' addestrato esattamente allo stesso modo, e rende tutto molto semplice, anche a scapito del servizio. Sono piazzati piu' o meno tutti nelle stesse posizioni strategiche, puoi quasi indovinare dove trovi uno Starbacks, e se non c'e' quasi ti meravigli. Chiunque si avvcini ad una insegna Starbucks sa gia' cosa trovera' dentro, e si sente in un ambiente amichevole. L'attenzione al caffe' e' scarsa, giusto alcuni manifesti che spiegano come a Starbucks stia a cuore la vita dei coltivatori di caffe' (un po' di etica e' politically correct). E poi via con i tavoli all'aperto, le reti wireless, fondamentali per attirare i giovani cinesi che vi passano ore collegati con il loro ultimo laptob da esibire.
Gli esperti di marketing lo hanno gia' denominato "Il fattore Starbucks".
Per gli italiani e'piuttosto umiliante sedersi da Starbucks e rendersi conto che per i cinesi quello e' quasi l'unico riferimento per il mondo del caffe'.
Anche nei supermercati, del resto, il caffe' italiano fa da comparsa di secondo piano. Imperversano i marchi tedeschi (Tchibo in testa), americani, sudamericani.
Illy e Lavazza, si devono accontentare delle posizioni di rincalzo. Nonostante la qualita', che vale solo se viene comunicata con il linguaggio che i giovani cinesi capiscono.


 
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CRESCE IL MERCATO AL CONSUMO IN CINA. YUPPIES NUOVI PROTAGONISTI

Post n°7 pubblicato il 20 Aprile 2008 da KeenScore
Foto di KeenScore

Il mercato cinese "consumers" mostra numeri colossali, con un tasso di crescita estremamente interessante. Gli ultimi dati parlano di un incremento dei consumi del 17% (2007 su 2006), e non sembra mostrare alcun segno di cedimento a seguito della crisi finanziaria internazionale. Il contatto con questo mercato, tuttavia, non e' affatto facile, in particolare per le PMI italiane, sia per la vastita' del mercato stesso, che pone soglie di accesso molto impegnative, sia per la scarsissima conoscenza che in Italia si ha di questo mercato. Vi e' in Italia, la credenza che il mercato cinese sia riservato ai grandissimi brand del made in Italy, quindi formato da quel 10% di grandi ricchi cinesi che aspirano allo status symbol italiano. In effetti, il grande mercato emergente cinese del consumo si sta aggregando intorno a quel target di consumatori che ho definito "chyuppies" - chinese yuppies - formato prevalentemente da giovani sotto i 32 anni, con uno o due stipendi in famiglia intorno ai 1.000 € mensili, con forte propensione agli acquisti, fortemente attratti dallo stile italiano, e in generale occidentale. Una recente indagine pubblicata da Newsweek su 500 giovani cinesi appartenenti a questa fascia di consumatori, ha evidenziato come il 90% di queste persone pensi di spendere nel 2008 molto piu' di quanto abbia speso nel 2007, in considerazione di una aspettativa di incremento dei loro salari variabile da un + 10 ad un + 25% nei prossimi due anni. Quello che pero' appare ancora piu' rilevante, e' che i modelli di acquisto sono sempre meno condizionati dai mezzi tradizionali di persuasione o pubblicita', in particolare dalla televisione, e sempre piu' invece da Internet. Questo significa, per le imprese interessate a conquistare questi giovani cinesi, un ripensamento delle strategie di avvicinamento e di persuasione, e che i modelli utilizzati in altri mercati sono molto poco applicabili in Cina. Questo principio, del resto, sta diventando quasi una regola per il mercato cinese.

 
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PIL CINESE: PRIMO TRIMESTRE 2008 AL 10,6%

Post n°6 pubblicato il 20 Aprile 2008 da KeenScore

Consapevole che il surriscaldamento dell'economia trascina con se' anche elementi negativi, non ultimo il tasso di inflazione, il governo cinese ha adottato negli ultimi mesi diversi provvedimenti, soprattutto di natura monetaria, per controllare l'eccessivo incremento del PIL.
Ciononostante, e sembra una maledizione al contrario, se ci mettiamo nei panni di noi poveri italiani, il tasso di crescita del PIL del primo trimestre 2008 e' stato registrato al 10,6%, contro un aumento del 11,7% nello stesso periodo del 2007.
Le ragioni di questo "arretramento" non sono dovute a ragioni strutturali, che potrebbero far pensare ad un logico ridimensionamento dello sviluppo cinese, ma semplicemente al fatto che il freddo particolare dello scorso inverno ha bloccato per diverse settimane alcune produzioni, e cio' ha pesato sul tasso di crescita del Prodotto Interno.
Le previsioni degli esperti, non fanno intravedere, comunque, ulteriori azioni restrittive nella politica monetaria del governo cinese.

 
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NUOVA LEGGE SUL LAVORO IN CINA

Post n°5 pubblicato il 20 Aprile 2008 da KeenScore
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E' entrata in vigore la nuova legge sul lavoro in Cina. Un cambiamento molto forte, per quanto atteso, che allinea la legislazione cinese alle norme abitualmente utilizzate in occidente, mettendo peraltro fine a quella infinita serie di critiche e accuse rispetto allo sfruttamento della manodopera cinese. L'effetto di questo cambiamento peraltro, sta iniziando a provocare un piccolo terremoto rispetto agli investimenti esteri in Cina. Gia' alcune delle grandi imprese manifatturere occidentali, americane in particolare, la cui produzione e' ad alta intensita' di lavoro, stanno pensando di trasferire le loro produzioni in Vietnam, India, o altri Paesi orientali. Quali sono le caratteristiche princiali di questo cambiamento: Viene introdotta l'obbligatorieta' del contratto scritto, si stabiliscono le regole di orario (8 ore giornaliere per 5 giorni la settimana) e conseguentemente viene riconosciuto il diritto al compenso straordinario per l'overtime (che arriva fino a 3 volte il compenso ordinario per lavoro prestato in giornate festive). Vengono definiti i benefit sociali e assicurativi, e si introduce il concetto di "liquidazione". Si tratta di norme che nel mondo occidentale sono del tutto scontate, facendo parte della normativa reltiva alla protezione dei diritti dei lavortori. L'effetto che questa nuova legislazione sta provocando in CIna e' invece piuttosto pesante, soprattutto per le imprese straniere, che saranno probabilmente molto piu' controllate rispetto alle imprese cinesi. C'e' indubbiamente un impatto rispetto al costo del lavoro, e questo ha allarmato la comunita' degli investitori stranieri. In effetti, questa nuova legislazione giuslavorista si inquadra in una serie di tasselli legislativi (ristorni Iva, restrizioni a particolari attivita' industriali, ecc.) che fanno intravedere una strategia industriale del governo cinese tendente a valorizzare produzioni con alto valore aggiunto, a minore intensita' di lavoro, con alto valore tecnologico e di innovazione, oltre naturalmente a continuare la politica di "allineamento" agli standard sociali richiesta a gran voce dal mondo occidenale. Quello stesso mondo, probabilmente un po' ipocrita, che non si scandalizza se le proprie multinazionali decidono di spostare la produzione in Vietnam, in modo da poter continuare a comprare (per scelta o per necessita') scarpe, vestiti e prodotti vari a prezzi accettabili.

 
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CAMBIANO LE TASSE PER LE IMPRESE STRANIERE IN CINA  di Leonello Bosco

Post n°4 pubblicato il 20 Aprile 2008 da KeenScore

Le imprese straniere in Cina hanno goduto di trattamenti fiscali particolarmente vantaggiosi, grazie ad una politica di incoraggiamento degli investimenti esteri. Questo naturalmente rendeva le imprese a capitale straniero particolarmente avvantaggiate rispetto alle imprese cinesi.
Dal 1 Gennaio 2008 le regole sono cambiate, e tutte le imprese, straniere e cinesi, sono ora tassate, salvo alcune eccezioni, con una aliquota media del 25%.
Questo aspetto va tenuto in considerazione dalle imprese italiane che si accingono a sbarcare in Cina.

 
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Post N° 3

Post n°3 pubblicato il 20 Aprile 2008 da KeenScore

Impressioni e commenti di un operatore italiano
 
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By Daniele Brunori
 

Il mercato cinese del vino assomiglia ad una bottiglia di Prosecco; una bottiglia a cui è stata appena incisa la capsula esterna. La gabbietta è ancora al suo posto ed il tappo dovrà ancora aspettare un po’ prima di godersi la sua rumorosa libertà.

Fuor di metafora è innegabile che il mercato cinese è ancora lontano da una vera e propria esplosione, presentandosi ancora acerbo su molti aspetti.

In primis, le quantità non sono ancora paragonabili con i più profittevoli mercati europei, quello statunitense o quello russo, specialmente se si considerano i vini d’importazione. Dei 4 milioni di hl consumati in Cina soltanto una percentuale tra il 7-10% è attribuibile alle importazioni.

In secondo luogo il vino non fa parte della cultura cinese; la stessa lingua cinese non presenta una parola ad hoc. In mandarino jiu significa vino ma anche liquore in generale, tanto che bai jiu (letteralmente “bianco vino”) non si riferisce a Vermentino o Chardonnay ma a distillati di riso. Per indicare il vino come lo intendiamo noi occorre specificare putao jiu (vino d’uva).

Altro fattore frenante è rappresentato dalle tasse d’importazione che, sebbene in diminuzione, ammontano a quasi il 50% del valore del vino. Inoltre l’atteggiamento malcelatamente protezionista delle dogane cinesi (ritardi, richieste esose di certificazioni, aumento arbitrario del valore presunto, etc.) non fa che aggravare la situazione.

Cosa fa ben sperare allora? Per fortuna esistono potenzialità convincenti.

La costante crescita di una classe media che ha nei milioni di chuppies, i più appetibili consumatori di vino importato.

Va anche specificato che la trattazione del mercato cinese nel suo complesso è sicuramente una prospettiva dispersiva se non del tutto erronea. Le grandi aree metropolitane di Shanghai, Pechino, Tianjin, Guangzhou, Shenzhen assomigliano molto più alle cities europee piuttosto che alle zone rurali della Cina interna. Gli stessi consumi pro-capite che nella old China non raggiungono gli 0,3 l. pro capite, mentre nelle suddette aree raggiungono quasi 10 volte quel valore con tassi di crescita che hanno permesso incrementi annui delle importazioni oscillanti tra il 30% e il 50% dal 2001 ad oggi.

Quanto al vino italiano, la situazione presenta altresì luci ed ombre.

Gli aumenti del primo semestre 2007 (+56,7%) fanno ben sperare, ma le quote di mercato in mano a Francia (37%) e Australia (22%) palesano la necessità di un approccio al mercato diverso. Un approccio più market oriented (ad esempio un po’ di umiltà a studiare i gusti cinesi in fatto di sapori ed etichette non guasterebbe) condotto non solo dalle singole aziende ma supportato a livello di sistema, con l’auspicabile coinvolgimento di istituzioni, consorzi e associazioni. In questo francesi e australiani sono stati maestri.

È evidente che politiche di marketing del genere comportano corposi investimenti di denaro, tempo e risorse umane, con una visione almeno di medio periodo.

Investimenti che però permetterebbero di salire sul tappo prima che la Cina si decida a togliere capsula e gabbietta.

 
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QUALCHE VOLTA SI VENDE

Post n°2 pubblicato il 20 Aprile 2008 da KeenScore

di Leonello Bosco

Cambio di passo delle Piccole e Medie  imprese italiane sul mercato cinese 

 

 

 

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By Leonello Bosco

 

 

 

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Un grande centro commerciale a Shanghai

 

 

Deciso cambio di passo e di mentalità delle PMI italiane rispetto al mercato cinese. Dal nostro osservatorio consulenziale in Cina, stiamo assistendo da diversi mesi ad una netta diversificazione nella tipologia di assistenza richiesta.

Fino a pochi mesi fa, l’interesse delle imprese italiane verso la Cina, e di conseguenza le richieste di consulenza erano monopolizzate da due elementi che catalizzavano la stragrande maggioranza delle richieste:

 

  • Assistenza tecnica e legale per gli acquisti sul mercato cinese
  • Assistenza per la costituzione di Società produttive.

 Il cambio di passo, che purtroppo non possiamo ancora considerare generalizzato, riguarda la consapevolezza che il mercato cinese può rappresentare un autentico mercato strategico per i prodotti italiani. Non per tutti, e non facilmente.

Le prime a prendere consapevolezza sono ovviamente le aziende che lavorano da tempo in Cina, sia sul versante degli acquisti che della produzione, oltre che, naturalmente, le aziende che hanno già una esperienza di vendita in Cina. Va però sottolineato che queste ultime potrebbero trovarsi in ritardo se ritenessero il loro posizionamento commerciale intoccabile o scontato. I nuovi strumenti societari introdotti dalla legislazione cinese (FICE ), Società commerciali a totale partecipazione straniera, dotate di tutte le licenze necessarie per l’import – export e per la distribuzione in Cina, hanno aperto un varco importante a molte imprese, anche di dimensioni medio-piccole, abbassando fortemente le barriere di accesso.

I processi di ingresso sul mercato cinese sono comunque complessi, per una serie di ragioni, alcune facilmente comprensibili, altre intrinsecamente legate all’evoluzione storica e sociale della Cina.

Innanzitutto il concetto di ricerca di mercato è relativamente recente in Cina, e i dati sono scarsamente strutturati secondo la logica del marketing. Si deve poi tenere in considerazione l’enorme dimensione del mercato cinese, che pian piano si va omogeneizzando su standard conosciuti alle nostre imprese, ma che tuttora presenta forti diversità tra città come Pechino e Shenzhen, e non solo per il posizionamento geografico.

Esistono da tempo delle reti di vendita strutturate, sia nel settore industriale che nei beni di consumo, dove si sta rafforzando il fenomeno del franchising, anche grazie ai recenti provvedimenti legislativi che hanno portato maggiore chiarezza nel settore, mentre il concetto di “distributore” sta assumendo connotati sempre più simili a quelli occidentali.

Va però notato come molto spesso uno degli ostacoli alla sottoscrizione di contratti di distribuzione sia legato alla riluttanza delle imprese italiane a sostenere i distributori nella loro richiesta di produrre in Cina, in toto o in parte, la merce “italiana”.

Non sembri un controsenso: è il futuro. 

Soprattutto per i prodotti tecnici e industriali, le aziende cinesi sono disponibili a pagare un pò di più per un prodotto di tecnologia occidentale rispetto ad uno cinese, molto più economico ma di bassa qualità. Non sono però sempre in grado di pagare il doppio o il triplo di un prodotto cinese, probabilmente sono in grado di pagarlo il 40 / 60% in più, un valore insufficiente per la remunerazione dell’impresa italiana.

La soluzione in molti casi, anche nella nostra esperienza consulenziale, è quella di mantenere molto elevato il livello “soft” del prodotto, (design, progettazione, elettronica), con forte coinvolgimento dello staff tecnico italiano, e lavorare in Cina sullo sviluppo del prodotto e sulla sua industrializzazione.

In questo modo si possono ottenere posizionamenti di prezzo / qualità tale da risultare competitivi con le stesse imprese cinesi.

All’interno di questa nuova ondata di forte interesse da parte delle imprese estere per la vendita sul mercato cinese emerge anche un nuovo, anche per noi inaspettato, fenomeno, vale a dire la vendita Cina su Cina.

Alcuni dei nostri clienti acquistano prodotti da fornitori cinesi, e lo rivendono ad altri clienti cinesi. Ancora, non c’è alcun controsenso. Tra i due passaggi vi è il sostanziale incremento di valore del prodotto, che può variare da 10 a 100 volte, per i prodotti tecnologicamente più sofisticati, ed è costituito dal know how, dalla capacità di sottostare e garantire strette normative tecniche, dalla creatività nell’applicazione in settori diversi, e soprattutto nella “validazione tecnica” di alcuni prodotti, in particolare nell’elettronica, che grandi aziende multinazionali localizzate in Cina richiedono ai loro fornitori. 

Questo importante fenomeno non è più in fase embrionale. Molte importanti aziende europee delocalizzate in Cina richiedono ai loro abituali fornitori europei di fornire i loro prodotti in loco, a prezzi competitivi con i prodotti cinesi.

 

La mancata risposta a tali richieste comporta due possibili risultati:

 

a) Il cliente europeo che produce in Cina fa crescere i fornitori cinesi;

b) il fornitore italiano continua a fornire il cliente dall’Italia, ma a prezzi cinesi.

 

In entrambi i casi significa una secca perdita di quote di mercato, nel secondo caso anche una drastica riduzione dei margini, che porta prima o poi a mollare l’impresa e a rassegnarsi a perdere il Cliente.

Normalmente le imprese partono con contratti OEM con fornitori cinesi, e pian piano passano ad una loro produzione diretta (all’inizio solo di assemblaggio), verificando poi che anche il mercato delle imprese cinesi è in grado di pagare il prezzo giusto per un prodotto di qualità fatto in Cina.

Le nuove società commerciali (FICE) consentono agevolmente di strutturare le modalità per gestire queste operazioni Cina su Cina, magari passando prima per una fase intermedia in cui si utilizzano assemblatori locali che possono anche essere utili per i servizi logistici e di distribuzione quando si tratti di prodotti di consumo destinati alla grande distribuzione parcellizzata in molti punti vendita all’interno del Paese.

In una fase iniziale, o per le Aziende che non vogliano, o non possano strutturarsi autonomamente, esistono ora anche alcuni servizi specifici forniti da "business platform" che si accollano tutte le attività operative per conto dell'impresa italiana, risolvendo problematiche relative a pagamenti, incassi, problematiche valutarie, amministrative e burocratiche.

 
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THE NEW DRAGON IS ON THE WAY

Post n°1 pubblicato il 20 Aprile 2008 da KeenScore
 
Tag: auto, cina, keen

Soon in Europe the new Roewe 750. Reason to be afraid?

 

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By Emmanuelle Boudet

 

Soon in the European Market : The Roewe 750

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China is the 3rd largest car maker and the 2nd consumer in the world. Since China entered the WTO (5 years ago), the Chinese automotive market is hugely growing. Do we have to be afraid? The Chinese automotive production has doubled in four years. The foreign investment, joint venture and different kind of agreement contributed to this growth. The biggest worldwide automobile producers don’t stop to talk about China and all of them have their associate or at least whish to have it. In addition, we can see that the Chinese n°1 car makers are foreign company like General Motor or Volkswagen. 25.69% of the production world leader Toyota is “made in China”. Moreover, this development is available also for trucks. FAW leader on the national Chinese automobile market is also n°1 in the world for truck’s production. So we can understand why big companies like Benz or Isuzu would like to be associated with FAW.

The automobile consumer’s desire of personal car is always growing. The affluence during the last Shanghai automobile show broke the record, more than 500 000 visitors on 7 days. China forecast an output around 9 million units this year (7.3 million units in 2006). From here on the end of 2010, the total output capability could reach 20 million. It means the double of the real demand.

Here from on 2020, the economist forecast the automobile industry will surpass the Chinese GNP in development terms.

However, even if the Chinese industry is growing, it is not without defect. Indeed, the counterfeit automobile parts, the widespread industrial espionage and the lack of protection for intellectual property are recurring problem for which the Chinese government pretends to have few way of action.

The incomprehension from some of the Chinese manufacturers in respect to the foreigner’s society’s expectation and the lack of knowledge concerning the international quality norms can stand in the way of the business. Chinese quality products are a

current topic, and seem to be reconsidered. Chinese car makers are doing a lot of effort concerning quality. Whether we compare the Chinese’s increase to the Japanese one, China realized in 4 years what Japan did in 40 years! Even China is still far from reaching the Japanese technology level, it won’t be so slow. In fact, the vehicle made in China by the foreigner company use 80% of Chinese parts against 40% the two last years. Can China be competitive with the biggest world carmakers? Brilliance Jinbei Automotive, one of the biggest Chinese automotive manufacturer is going to introduce in Europe by Germany his new « Zhonghua », Geely plans to produce 650 000 vehicles this year and to export two-thirds, in particular in USA. Others brands like Chery, Roewe will be present in the European market soon. Regarding Landwind, it already sells his 4×4 in Europe even if it failed to the “crash test” and really has some strange similarities with the Opel Frontera…

Chinese automotive industry is the pillar government industry. The government offers a financial system help to research and development, and many others fields, include exportation. 

Nevertheless, this increase is not without environmental consequences. We are waiting for a bigger hybrid vehicles’ growth already proceeded by some constructors like Dongfeng, FAW, Chery, Changan… This environmental question should be treated until 2010 according to the economical experts.

 
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