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LA FIAMMA ROSSA

Post n°51 pubblicato il 17 Dicembre 2008 da Ivano1964

 Il Tour de France comincia sabato, Gianni Mura parte lunedì. Non due giorni dopo, ma cinque prima. S’incontra con il Carletto, che è Carletto e basta, anche se di cognome fa Pierelli, che con quel piede di velluto lì pilota la macchina come se cullasse un infante. Carica la Troia, affettuoso nomignolo regalato a qualsiasi vettura designata al loro trasporto, e che speriamo sia il diminutivo non di "Porca T." ma di "Cavallo di", nel senso che i due compari ci ficcano dentro di tutto, guide manuali mappe valigie nonché cd di Paolo Conte e Giovanna Marini perché sono la passione di Mura e dunque anche del Carletto, e ancora cd di Edith Piaf e Jacques Brel per fare un po’ di Francia. Infine comincia un viaggio nel viaggio, un viaggio di avvicinamento al Tour e allontanamento da Milano, un viaggio di ambientamento e, diciamo così, di villeggiatura. Poi la coppia Mura-Pierelli improvvisa: come vecchi chansonnier, come autentici griot, come stagionati jazzmen, come eterni viaggiatori. Qualcosa si prenota, magari a metà strada fra un arrivo e una partenza; qualcosa si trova, perché la strada è una minera; qualcosa si studia, si riceve, s’intuisce; e da qualcuno si torna, perché l'avventura è l'avventura, ma di qualche certezza, a questo mondo, e anche al Tour, bisogna pur vivere. Trenta giorni, fra andata, Grande Boucle e ritorno, passano così: vivendo, scrivendo, guidando, a ciascuno il suo. Il suo di Gianni Mura è un pezzo al dì: lungo, un centinaio di righe quando agli altri ormai ne spacciano uno di 60 definendolo come di ampio respiro, che non vuole dire niente, ma tant’è.
PASTAMATIC - In questo centinaio lui fa un’operazione che classifica come pastamatic, e dentro ci centrifuga un po’ di tutto, dal ciclismo all'enogastronomia, da intrighi di corte a imbrogli di doping, da viali con platani a macchie di lavanda, da fossili e pantadattili (Pantani) a grifagni (Abdujaparov). E’ l’unico, Mura, a battere ancora a macchina, con una Olivetti da modernariato. E’ rimasto anche l’unico, Mura, a fumare. Così, per ballare liberamente il suo tip tap, per polverizzare tranquillamente le sue sigarette, e per respirare aria di festa mentre gli altri si sciolgono nel microclima caldo-umido di un tendone che appiattisce 1500 inviati da tutto il mondo, Mura compone, con gesto plateale ma mai esibizionista estrae i fogli mentre gli altri arrancano ancora sulle notizie o s’interrogano su un congiuntivo o si macerano dietro a una teoria, infine telefona e detta. E alla faccia delle nuove tecnologie, sarà come sarà, i suoi pezzi entrano in pagina prima di tutti gli altri. Non solo. Con una notizia, un dettaglio, un particolare, una storia sempre in più, mai in meno.
"La fiamma rossa" è una specie di "greatest hits", il meglio, una collezione di pezzi - uno più ricco dell’altro - scritti prima per "La Gazzetta dello Sport" e poi per "la Repubblica". Massimo comune divisore: il Tour. Pezzi fine anni Sessanta scritti quando Mura faceva il galoppino per la Rosea: c’era il tecnico, che sapeva di tecnica e tattica; c’era il colorista, che scriveva del mondo; e c’era il galoppino, che faceva tutto il resto. Zero telefonini, neanche il fax, si beccava una linea e la si difendeva fino ad aver dettato tutto, anche a braccio. Poi pezzi dal 1991 in poi: inutile cercare di convincere il maestro Mario Fossati a tornare sulla strada, lui spiegò benissimo il suo punto di vista: "Che ciclismo è con quei colleghi che bevono Coca Cola". Neanche bisogno del punto interrogativo.
LETTERA 32 - Dentro, appunto, operazione pastamatic. Pescando a caso: "Si va all’antica. Fino a ieri ero l’unico a scrivere a macchina, adesso sono l’unico a scrivere a mano. Non è che ci tenga a segnalarmi, è che nella notte di Liegi ci hanno forzato l’auto e rubato quasi tutto. Passi per camicie, maglioni e scarpe, si ricomprano. Passi un po’ meno per un borsone di libri e uno di cd, capisco ancora la Piaf e Jean Ferret, ma non so quale mercato possano avere le canzoni di Arigliano, Murolo, Pietrangeli e Gardel. E perdere un caro ferrovecchio come la mia Olivetti Lettera 32 è una brutta botta. Aveva 37 anni, come Dierckxsens". "Brera lo diceva già molti anni fa: a forza di gonfiare il normale rendendolo eccezionale, finiranno per non riconoscere l’eccezionale e lo appiattiranno a normale". "Annesso alla sala stampa c’è un capannone con un buffet che andrebbe benissimo se piovesse: prosciutti, formaggi, ciccioli di maiale e d’oca, a malincuore scartati per legittima difesa". "Ci sono momenti in cui ogni scatto si porta dietro l’anima e i polmoni, tanto più in questa pietraia". "Fermo restando che Marco Pantani originario di Sarsina, il paese di Plauto, non è un ciclista. E’ un cuore in bicicletta. Più si sale e ci si avvicina al cielo, più questo cuore batte, ribatte, combatte. E abbatte Ullrich". E a proposito di Pantani, e di molti, troppi altri: come faccia a emozionarsi ancora Mura, dopo tutto quello che è successo al ciclismo, non è un mistero: "E’ avventura, è una buona occasione per scrivere e raccontare, è ancora un mondo umano e ragionevole". Però ha imparato a scrivere e raccontare con il freno a mano tirato. "Altrimenti, come predicava Gian Paolo Ormezzano, bisognerebbe aprire o chiudere ogni pezzo con un ’s.c.a.’, salvo controllo antidoping". Nella terza della sopracopertina c’è scritto che "gli sarebbe piaciuto fare il medico o il cantautore". Sarà. Ma uno Jannacci c’era già.
La fiamma rossa (Storie e strade dei miei Tour), di Gianni Mura. Minimum fax. Pagine 459, € 17,50

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