JAMBOREE

Facile dire mi rilasso due minuti…


 Fra le varie cose vietatissime in ufficio (portare lo smalto rosso sulle unghie, indossare jeans giromutanda, chiedere aumenti e altre amenità simili), ce n’è una che è più vietata delle altre. Anzi, si potrebbe dire che sia la cosa vietata per eccellenza, quella che da sola ti potrebbe far deportare nel magazzino di radiologia, chiudere in ascensore con il capo (auguri!) o non so nemmeno io cosa. Insomma, in quell’ufficio non esiste cosa più grave del mangiare alla scrivania. Mangiare QUALSIASI cosa alla scrivania. Che si tratti di crackers, panini, biscottini o che so io, mangiare alla scrivania viene considerato un peccato mortale. Sarebbe meno grave se tu sputassi le palline di carta sul parrucchino dell’amministratore delegato per disegnargli la forfora, tanto per dar l’idea. Pare infatti che mangiare lavorando non sia né elegante né carino; metti venga qualcuno e tu sei lì che ramazzi le briciole in giro: non sta bene. Ma neanche un po’. E noi si può rinunciare alla mensa aziendale, forse anche ai contributi,  ma  al bon ton mai e poi, sia chiaro. E poi non è che noi su al terzo piano si sia proprio delle ribelli, ecco. Anzi, si cerca sempre di venire incontro alle esigenze dell’azienda. Di rispettare le indicazioni. Magari a volte si è sgarrato con una distribuzione furtiva di gianduiotti; può essere accaduto che si siano nascosti dei creckerini nel cassetto pescandone un pezzettino di tanto in tanto, ma niente di più. La regola inviolabile è sempre rimasta inviolata. Cioè, fino a una settimana fa. Succede infatti che su 3 colleghe una, quella che ride sempre, (cioè io) abbia lo stomaco ingroppato dall’ansia e viva praticamente di pappette ormai da 2 mesi, l’altra sia ligissima al dovere e se c’è un divieto va rispettato e basta ma la terza… la terza, be’… diciamo che ha fatto suo il motto “Se devo essere licenziata che almeno mi succeda con la pancia piena.” Ed è per questo che ogni giorno all’una si vede arrivare suo padre con tanto di piatti, posate e formaggio grana a parte. Lei si fa una tovaglietta con dei fogli in formato A4 con la stampa dei bilanci aziendali (che riciclare è importante), sistema accuratamente il piatto davanti a sè e si mangia con calma il suo etto di pasta. Un giorno che era senza forchetta s’è slappata il risotto direttamente con le mani, emettendo mmh di soddisfazione ogni volta che si portava le dita alla bocca. Socchiudendo perdipiù gli occhi in un’estasi totale.Che a me e all’altra collega stare a guardare tutto ‘sto godimento fa venire un po’ di magone, devo dire. E anche un po’ di nervoso, soprattutto quando per far sparire l’odore di ragù alla salsiccia bisogna spalancare porte e balconi. E viste da fuori, così imberrettate, insciarpate e con i piumini addosso per via delle temperature polari, e per di più a stomaco vuoto, facciamo proprio miseria.“Così se non ci dobbiamo giustificare per l’odore del cibo dobbiamo spiegare perché sprechiamo il riscaldamento.” - obietta acida Collega 1. – Ma tanto a te va sempre bene e con le mani nella marmellata non ti ci pescano mai.” “La fortuna e la sfortuna non esistono – obietta serafica Collega 2, che mi è pure molto zen – non sono altro che il riflesso del nostro modo di vedere le cose. Prova a pensare positivo.” E invece la fortuna esiste, eccome. Sennò non si spiega come la spillatrice lanciata da Collega 1 non abbia preso Collega 2 esattamente in fronte. E io mi convinco ogni giorno di più che la Direzione ha ragione a non investire in una mensa: in quell’ufficio sarebbe molto più utile un esorcista. Ciao guys.