JAMBOREE

Ma non era meglio giocare al dottore?


 Son sempre stata contraria alla pena di morte. E lo sono ancora. Ma quando di sabato mattina vengo svegliata da due pazzi che litigano e si insultano a sangue, devo dire che neanche l’idea di offrire sacrifici umani non mi sembra più così strampalata. Il fatto è che vicino a me abitano 2 ragazzi. Giovani, troppo giovani per essere marito e moglie. E soprattutto per avere due figli, dal momento che loro per primi avrebbero bisogno di essere accuditi. Invece son stati sistemati dai cattolicissimi genitori in quello che doveva essere il loro nido d’amore, dove giocano a fare gli adulti. E sotto certi aspetti sembra che vada tutto bene: un lavoro fisso lui, il sogno della perfetta casalinga bello pronto per lei, le prove nel coro della chiesa un paio di volte la settimana e un cinemino di tanto in tanto. Con l’arrivo del maschietto prima e della femminuccia poi è sembrato che niente e nessuno potesse scalfire quest’angolo di paradiso in terra. Tanto tutto è perfetto, ordinato e prevedibile: non manca nulla. Tranne forse una vita che sia scelta da loro, e non il prolungamento di quella di mamma e papà. Ma se vederli giocare a fare i genitori fa sorridere per l’ingenuità (non c’è giacchettino o tutina che non abbia le orecchie, qualcuno dovrebbe dire loro che non hanno partorito dei conigli), è quando litigano che l’inesperienza salta fuori. Perché se a far la coppia innamorata son buoni tutti, è di discutere che bisogna essere capaci. Capaci di andare fino in fondo senza aver paura  di farsi del male veramente, per liberarsi dalle catene, oppure litigando in maniera costruttiva, senza abbarbicarsi in posizioni granitiche, incontrandosi piuttosto sui dubbi. Ma loro no, son giovani che giocano a fare i grandi. Che ne possono sapere. E la scena si ripete all’infinito. Cambiano i pretesti (il colore delle rose da piantare in giardino, uno dei conigli uno dei bambini vestito troppo leggero/troppo pesante, etc.), invariato il clichè: lei che grida cattiverie con una voce che taglia anche il cemento, buttandogli addosso senza dirlo la stanchezza, la frustrazione dei suoi chili in più, dell’università mancata e chissà che altro. Lui si nasconde dietro ad un taglio da 50enne, alla sua vita di uomo in beige, ma non è l’apparenza e nemmeno un lavoro che possono fare di lui un uomo: e si capisce che vorrebbe solo sparire. Lo sa lei, lo sa lui. Per questo, invariabilmente, arriva la resa. Lui allunga le braccia lungo i fianchi, abbassa un po’ la testa e rimane zitto, rinunciando a replicare e a difendere le proprie ragioni. E per quanto strano possa sembrare, quell’unico gesto fa sempre pensare che se lei un giorno decidesse di passare alle mani, lui si lascerebbe volentieri ammazzare. Tanta è la rassegnazione. Per tutto questo e per altro ancora, quando stamattina ho sentito urlare per l’ennesima volta “Io mi ammazzo di lavoro tutto il giorno per star dietro ai TUOI figli mentre tu te ne stai a perder tempo in ufficio”, m’è venuta voglia di sacrifici umani. Ma non tanto dei due ragazzi che alla fine hanno colpa sì, ma fino ad un certo punto, quanto quello dei genitori che hanno creato questa mentalità e questa situazione. Perché se è vero che la superficialità fa dei danni, anche certi ideali inculcati dai genitori mica scherzano. E se trasmettere dei valori ai figli è fondamentale, insegnare a ragionare con la propria testa lo è infinitamente di più. Amen.