JAMBOREE

La vita, l’amore e le vacche


 “Ti va un caffè?” – esclamiamo nello stesso momento io e Nicola, (affascinantissimo, paraculissimo ed elegantissimo consulente di fiducia dell’ufficio), trovandoci faccia a faccia davanti alla macchinetta del caffè. “Ahahahah… quando succede così, da noi ci si prende per mano e si esprime un desiderio.” – mi dice con la sua voce calda e si appoggia il mio palmo sul suo petto caldo e sospiroso: avete presente il calore della Costa del Sol e il ritmo caliente dei fuochi d’artificio la notte della Festa major de Gracia? Ecco, non dico altro. “Anche da noi esiste questo giochino – rispondo – ma non funziona.” “Se non provi non puoi saperlo.” – obietta. “No no, lo so per certo.” – rispondo, ma non gli sto a spiegare che se il giochino funzionasse davvero, a questo punto nessuno dei due avrebbe ancora i vestiti addosso. E di sicuro sullo sfondo non ci sarebbe la scritta lampeggiante “Consegna urine ed altri materiali bologici – ritirare il numero”. “Ahahahahah…Per certi desideri bisognerebbe non essere al lavoro.” – scoppia a ridere. E io arrossisco imbarazzata tale e quale che se mi avessero beccata con le mani nelle mutande di qualcuno. E mi riprendo di scatto la mia mano (che non era nel suo intimo, tengo a precisare). E siccome in quel posto la privacy non si sa cosa sia, ma in compenso le figure di cippa sì, mi si avvicina un tipo che conosco dalle medie: non cattivo, ma uno proprio terra terra, di quelli che le cose non le capiscono neanche a fargli il disegnino. E con la delicatezza che lo contraddistingue, senza neanche dire né ciao né vaffambrodo,  mi fa: “Oh, ma dov’è che hai preso tutto quel sole lì?” “Mah… sono stata qualche ora al mare.” – spiego. “Ma se vuoi prendere il sole cosa serve che butti via i soldi al mare:  puoi venire in campagna da me… ti do una zappa in mano così mentre ti abbronzi ti tieni anche in forma. Capito come?” – e mi strizza pure l’occhio. E io vedo come una nuvoletta dissolversi nel cielo; guardo bene, poi capisco: è tutto il romanticismo, il pathos e la magia. “Ma vorresti far lavorare una così bella signorina?” – interviene il consulente. “No, macchè lavorare… non la pagherei mica. – se la ride. Anche lui. Qua ridono tutti. -  Ma puoi venire anche te se ti va, son mica geloso: zappate e vi abbronzate. Vi abbronzate e zappate. Poi volendo ci sono anche le vacche: gli date da mangiare e poi state di un bene, ma di un bene… che mi chiederete anche di ramazzare il pollaio per quanto sarete rilassati.” Immagino. Fortunatamente il display indica il suo numero e deve entrare in laboratorio. Gli impiantassero un cervello alle volte. “Ma tu conosci un tipo così?” – mi chiede incredulo il consulente. “Noooo… figurati che non mi ricordo nemmeno il suo nome. So solo che lo chiamano Il Quaranta.” “E perchè lo chiamano … Il Quaranta?” “Ehm…. Perché ha 40 centimetri come dire… di salute.” – imparassi mai a stare zitta una volta. “Ah. Però quello te lo ricordi…” – e se la ride. Di nuovo. E io me ne torno con le orecchie basse in ufficio, prima che qualcuno mi chieda se conosco Giramerda: perché con quello sì che ci sarebbero delle spiegazioni da dare. Perché il dramma dei paesi piccoli è proprio quello: quando dici che ci si conosce tutti, si intende proprio “tutti”. Ciao guys.