JAMBOREE

Com’è bello quando ci si diverte


Pensate che le vostre cene aziendali siano la cosa più noiosa del mondo? Illusi. Andate ad una cena aziendale del vostro consorte e poi ne parliamo. Intendo proprio una di quelle in cui non conosci nessuno, ti presentano tutti e ti diverti come un bue al macello a ripetere un falsissimo piaceeereee a persone che sai benissimo non vedrai mai più. Se ti va bene. Ma ieri sera la location era bella, niente da dire. Gazebo, fiocchi, fiori, bicchieri, piattini, piattoni e musica strappamutande. Non mancava nulla. E bella gente poi. “Se non sono tutte con i tacchi a spillo prendo e me ne torno a casa”, avevo detto a mio marito che si ostinava a insistere che mi stavano meglio i sandali più scomodi. E invece erano tutte in super tiro e tacchi 102. Alcune si sono anche fatte prendere la mano a dire il vero. Tanto che in un’occasione ho temuto che una prendesse direttamente la via del pennone e si facesse un paio di giro di lap dance. Ma per il resto bella gente davvero. Di quella griffatissima, che incontra gente altrettanto griffata, e ne riconosce la griffe anche senza vedere il marchietto. E che se non c’è ne annusa l’assenza come un cocainomane in astinenza. Capito come? “Ma che caspita ci facciamo noi due qui in mezzo?”, m’ha chiesto la moglie di un collega, felicissima di condividere un siffatto momento. “Tranquilla – ho risposto io – basta sorridere tanto e salutare tutti. Dài retta a me che c’ho esperienza. Mal che vada si beve qualcosa.” Un quarto d’ora ed eravamo belle allegre. Tempo mezz’ora sembravamo uscite dall’Oktoberfest. Ma sorridevamo che era una bellezza. “Hanno ingaggiato un fior fiore di chef”, m’ha sussurrato la responsabile del personale. E in effetti i fiori c’erano. Ovunque. Solo quelli però. E mentre applaudevamo a parole come briefing, highlight, management, mission, projetct, competiror and so on, a me l’unico progetto che veniva in mente era di mangiarmi alcune forme di formaggio prima di andare a letto. Perché ero really angry like a wolf, tanto per restare in tema. Perché va detto che i piatti erano sì bellissimi, stupendevoli e stupefacenti, ma mica eravamo  tutti reduci da una grave forma influenzale con complicazioni gastro-intestinali. E vanno benissimo 7 spaghettini sottili sottili con un ciuffetto di prezzemolo sopra, con 4 goccine di aceto aromatico a fare da corona, ma se mi porti una sola fettina di culatello io penso di dovermela adagiare sulla lingua a mo’ di comunione. E di sicuro non mi viene in mente di chiamarla cena. Ma all’arrivo del risotto è stato  tutto un “ma che bello, che meraviglia”,  e i sorrisi son tornati subito tra noi. “Un assaggio?” m’ha chiesto un volenteroso cameriere. Un assaggio una cippa, sarebbe stato da rispondere. Portami qui la pentola e facciamola finita lì. Ma per fortuna son signora e ho ricambiato il sorriso. Ovviamente prima di vedere che del cucchiaino di riso una metà buona era finita sulla tavola. E che 9 chicchi di riso mi guardavano un po’ spauriti. “Vuoi che ti aiuti a finirli?”, ha proposto mio marito. Ma che simpatico. Che allegria. Vediamo se riderà ancora domani quando gli presenterò una patata novella, lessata in brodo vegetale, senza olio né burro, ma arricchita del conto del parrucchiere infilato di taglio. Ma non c’è stato tempo per queste piccolezze, per queste meschinità, perché la musica incombeva, e i discorsi pure. E mentre la musica taceva un attimo, un attimo solo, ecco che nell’improvviso silenzio si sentiva forte e chiara la voce di uno degli invitati: “L’ho detto a quel pirla di mio figlio. Prenditi un diploma, perché la vita è come la diarrea: prima o poi un foglio di carta serve sempre.” E accortosi della figura, ha alzato il calice brindando idealmente a tutti. E che vi devo dire, oltre al fatto che si trattava di una verità sacrosanta, io in quel momento lì ho avuto una percezione fortissima: che 2 tigelle con il lardo e una bistecca a orecchia d’elefante sarebbero piaciute di più anche a lui. Speriamo che ne tenga conto nel briefing di domani. Ciao guys.