JAMBOREE

Retrospettiva. Ma non è una brutta parola, giuro.


 Allora. C’è da dire che i dipinti mi annoiano da un po’ e che le poesie mi ammazzano da sempre. Ma le fotografie quelle no, quelle continuano ad appassionarmi, emozionarmi, aggrovigliarmi le budella. Sempre. Soprattutto il bianco e nero, così chiaro, diretto e schietto. Come dovrebbe essere la vita, perché ai cazzari ci ho fatto l’allergia. Ma torniamo a noi. Le foto, dicevo. Una foto coglie l’attimo, ma coglie anche il fotografo. Come nei libri, direte voi: vissuto, angosce, ambasce, è tutto lì, e lo scrittore se c’è vien fuori. Ma se mancano le esperienze e la testolina è vuota, ah be’ allora che vi devo dire… magari ci fa un blog su Libero. E lo chiama Jamboree. Per dire. Ma libri niente. Anche il fotografo ci mette del suo, come no, ma di certo non ci mette la sua vita. Potrà essere suo lo sguardo con cui filtra il mondo, l’occhio che sa cogliere, la tecnica che esalta, ma non gli verrà mai chiesto di attingere ai suoi sogni di bambino. Perché lui la vita la guarda. Mica come lo scrittore, che per definizione, nella vita ci patisce. Anche perché se stesse bene la sua vita la vivrebbe, col cavolo che la racconterebbe. Ma la differenza sostanziale è che un fotografo, per esercitare le sue funzioni, deve essere proprio lì, dove accadono le cose. E la simbiosi con il divano la lascia a chi sa scrivere. E che vi devo dire, la mia simpatia di questi tempi va tutta a chi le cose le fa, molto meno a chi le racconta. Anche perché a saperla raccontare sono spesso i troppo furbi. Ecco perché, quando in un imprevisto ed imprevedibile week end a Lucca ho visto questa bella insegna qua, m’è apparsa la Madonna. Perché le foto di Elliott Erwitt sono tutto: la capacità non solo di notare le cose, anche quelle apparentemente insignificanti, ma di dar loro un significato. Magari sapessi farlo io. Ciao Guys.