Junelogia

Di Pietro e la demagogia da piazza.


C’è una frase nell’ultimo libro di Zafon, “Il gioco dell’angelo”, che mi piace particolarmente: “E' la vecchia storia del dimmi di cosa ti vanti e ti dirò di cosa sei privo. Pane quotidiano. L'incompetente si presenta sempre come esperto, il crudele come misericordioso, il peccatore come baciapile, l'usuraio come benefattore, il meschino come patriota, l'arrogante come umile, il volgare come elegante e lo stupido come intellettuale...”Di Pietro, leader dell’Idv, trovo che incarni alla perfezione il prototipo del dimmi di cosa ti vanti e ti dirò di cosa sei privo, per il suo presentarsi, a parole, come il politico dei valori (come se li avesse solo lui!), il salvatore della patria, il moralizzatore della politica, e tuttavia nei fatti dimostrare di essere unicamente un demagogo, peraltro sempre più volgare ed eversivo, allettato dall’idea di realizzare quell’ascesa gloriosa che non gli è riuscita quando era magistrato.A Di Pietro, oggi funambolo  della politica con l’hobby della moralizzazione in casa d’altri, piace parlare e predicare da pubblici pulpiti, un po’ come tutti coloro che credono che sia più facile convertire a parole piuttosto che coi fatti. E quando parla alla folla dalle piazze recita con il corpo, esalta le sue movenze e pose,  un po’ come faceva Mussolini quando, grazie ad una abilità oratoria che a Di Pietro difetta, arringava alle piazze con l’intento di prospettare il suo Verbo come l’unica verità. Del resto Mussolini sapeva bene, come sa bene Di Pietro, che per costruire un immaginario collettivo, il "racconto" dell'evento è spesso più importante dell'evento stesso; che la folla è come una “femmina”, che va conquistata e posseduta.Senza andare troppo indietro nel tempo e limitandoci a ricordare il Di Pietro ministro delle Infrastrutture dell’ultimo Governo Prodi, tutti avranno presente che due giorni dopo essere investito della carica di Ministro, scese in piazza coi megafoni per urlare contro quello stesso Governo di cui faceva parte, del quale non condivideva alcune scelte, ma che ben si guardava dal dimettersi per timore di perdere la poltrona. Minacciava dimissioni un giorni sì a l’altro anche, ma mai ha avuto il coraggio e la coerenza di allineare i propri comportamenti ai propri declamati “valori”.La vittoria del Pdl alle elezioni politiche del 2008 è stata per Di Pietro un duro colpo, che lo ha trasformato in un kamikaze politico, pronto a colpire Berlusconi e i suoi alleati, ma in realtà colpendo ovunque non fosse consono alla propria stantia idea di valori. La smania pruriginosa di fare udire la propria eloquenza secca nelle pubbliche piazze ha preso il sopravvento su una opposizione fattiva e propositiva. Non sono mancati, dai palchi dell’Idv, attacchi al Governo, e perfino al Capo dello Stato, spesso e volentieri usato come bersaglio e trascinato nelle polemiche politiche.Ma ieri Di Pietro, un po’ ciarlatano e un po’ divo,  ha toccato il fondo della demagogia, rasentando l’eversione, per i suoi attacchi a Napolitano. Attacchi che stavolta, differentemente da altri attacchi levatisi dai suoi pulpiti, provengono dallo stesso Di Pietro.L’Idv aveva organizzato ieri a Roma una manifestazione per protestare contro la riforma della giustizia. Una manifestazione cui hanno partecipato anche altri moralizzatori dell’entourage di Di Pietro: Beppe Grillo e Marco Travaglio.Dal pulpito dipietrista, allestito in Piazza Farnese, tutti hanno potuto assistere alle farneticazioni del forcaiolo Di Pietro, che ieri ha accusato, infangato ed offeso apertamente ed in più occasioni il Capo dello Stato, con frasi indegne di un politico che a parole si presenta come paladino del rispetto per le Istituzioni: “In una civile piazza c'è il diritto a manifestare. Presidente Napolitano, possiamo permetterci di accogliere in questa piazza chi non è d'accordo con alcuni suoi silenzi?" (Frase con cui ha commentato uno striscione con la dicitura: “Napolitano dorme, l’Italia insorge”, poi rimosso dagli agenti di polizia, e per Di Pietro rimosso su ordine del Colle)."Lei dovrebbe essere l'arbitro, a volte il suo giudizio ci appare poco da arbitro e poco da terzi. Possiamo dire che a volte il suo giudizio ci appare poco da arbitro? Il silenzio uccide, il silenzio è un comportamento mafioso. Dica che i mercanti devono andare fuori dal tempio, dal Parlamento e noi lo approveremo".Dopo questo soliloquio, vaniloquio, turpiloquio; dopo essersi sentito fischiare da parte di quella stessa piazza in cui parlava, da quella donna (per dirla alla Mussolini) che non è riuscito a conquistare; e dopo le dichiarazioni di suoi alleati politici del Pd, che hanno immediatamente preso le distanze dai suoi sproloqui,  ecco il trattorista molisano fare retromarcia e prospettarci la sua excusatio non petita, dimostrandoci che non è abile nemmeno nell'arte del rammendo oratorio.La dialettica politica, che comprende anche la critica severa ed aspra all’avversario, è lecita, come sacra è la libera manifestazione di pensiero e la libertà di espressione. Ma quando queste libertà diventano un alibi per sconfinare nell'ingiuria e nell'insulto a rappresentanti delle Istituzioni, quale appunto il Capo dello Stato -accusato di firmare leggi che non dovrebbe firmare e dunque di violare la Costituzione- la libertà di espressione viene svilita nella sua essenza e portata e la democrazia viene mortificata.Un politico, ed in particolare un rappresentante di spicco del panorama parlamentare, che non comprende ciò è solo un demagogo, un tribuno populista, oltremodo pericoloso, perchè mostra assai poco rispetto (oltre che poca conoscenza) della Costituzione e dei valori che essa rappresenta e tutela.June