Yes...it was my way!

Amore e Psiche....


Nella notte dei tempi la dea Venere si trovò a scatenare violenze su una città greca per la bellezza straordinaria di una fanciulla di nome Psiche. I cittadini, intimoriti da quelle violenze di Venere e per mettere fine alle stesse decidono di sacrificare la giovane e bella donna Psiche per ingraziarsi la protezione della divinità ma, di notte, mentre la ragazza aspetta su un'altura, rassegnata e piangente, la sua sorte, ecco che dalla volta stellata scende Eros, il dio Amore, per salvarla, innamorato della sua immacolata e straordinaria bellezza non solo fisica. Questi porta la ragazza nel suo splendido palazzo d'oro e passa con lei giorni meravigliosi e intere notti di intenso amore. Eros però raccomanda a Psiche una sol cosa: di non guardarlo mai in faccia altrimenti lei sarebbe tornata alle sue misere condizioni di umana vulnerabile e oggetto delle ire di Venere. Psiche promette ciò al sua amato, ma una sera, vinta dalla curiosità si avvicina con una candela al volto di Eros e inavvertitamente fa cadere una goccia di cera fusa sulla sua spalla. Il dio si sveglia e scompare via per sempre. Psiche ora è veramente distrutta, non sa a cosa pensare, non sa rassegnarsi alla perdita di quell’amore. D’altronde lei cosa aveva fatto di tanto grave. I suoi giorni sono scanditi da una tristezza sempre più profonda, perché non si rassegna alla perdita dell'uomo che ha amato ed in cui aveva creduto e riposto la sua vita. Ma, come la vita ama fare spesso, nel momento di maggiore sconforto incontra, sulla sua strada un umano, un suo simile: Aenemos, che inizia a parlarle col cuore, a cullarla con l’anima e comprendere pienamente i suoi dolori, a gioire delle sue risate e a viverla con rispetto. Psiche, man mano che i gironi passano si accorge che quel ragazzo era più di un dio. Eros, d’altronde cosa aveva fatto? Si, l’aveva salvata da morte sicura, ma per possederne la sua totale bellezza; le aveva imposto la sua identità, ordinato di non guardarlo mai e costretta a subire la sua pazzia. Però lei, nonostante questa razionalizzazione di quelle imposizioni di Eros....lo aveva amato e le rimaneva dentro un ricordo sempre vivo di quello che avrebbe potuto avverarsi e diventare realtà. Non altro. Aenemos invece l’aveva trattata da donna, le aveva preso il cuore, senza chiedere nulla in cambio, senza condizioni. Si, Aenemos era l’uomo che l’avrebbe amata per tutta la vita. I giorni scorrevano felici, sereni e Psiche veniva presa sempre più da quell’idea di libertà dell’amore e di serenità senza costi. Ma un brutto giorno, mentre la sua vita, con Aenemos, scorreva felice; Eros manda dei segnali, segnali ambigui, non chiari. Lei vacilla ma, non sull’amore. Il suo amore...il suo cuore è ormai di Aenemos e non c’è nulla al mondo che la stacchi da qull'uomo. Allora perché quel suo atteggiamento? Solo la sua grande anima l’avvicinava ancora a quel dio che l’aveva amata, un giorno, su cui lei voleva costruire la sua vita, la sua faccia triste di uomo solo, perché la bellezza di Eros lo conduceva sempre ad una triste solitudine. Quel suo vacillare quindi era un mix di sentimenti che solo poche donne potevano avvertire: sensibilità, nostalgia, ricordi, tenerezza, senso di pietà, senso di protezione, istinto materno per un dio che in fin dei conti era un bimbo capriccioso che ispirava solamente tenerezza e senso di protezione per la sua solitudine e per la sua ira. Questo suo atteggiamento però doveva terminare, in poche parole non voleva più che Eros la importunava con irritanti quanto incomprensibili e puerili segnali. Cosa voleva farle credere? Egli conosceva bene l'anima e la disponibilità di Psiche e sapeva altrettanto bene che quel tempo in cui l'amava era terminato e non poteva ritornare mai più. Quindi perchè quei segnali? Forse non voleva che Psiche vivesse un nuovo amore, una nuova vita, una ritrovata serenità? La voleva immaginare sempre soggiogata alla sua immagine, sola, a ripensare ai giorni andati? Allora Eros non era affatto un dio, non un dio buono. Egli dunque non doveva far più leva sulla sua bontà, mettendola in difficoltà solo per il suo altruismo e senso di pietà e tenerezza. Doveva darle serenità di vivere la sua nuova vita. Lei amava Aenemos. Lei non voleva più ricevere quei segnali da Eros. Glielo doveva far sapere, glielo doveva dire. Ma lui non si concedeva agli umani. Lui non poteva essere guardato per la sua bellezza. Lei allora sperava nei suoi silenzi ma, lui puntualmente, come si accorgeva che i sorrisi di Psiche e di Aenemos riempivano la volta celeste, divorato da quel suo egoismo, riprendeva la sua azione di “turbamento” spietato colpevolizzandola di qualunque cosa, anche della neve del nord nelle idi di marzo; insensibile di cosa poteva provocare in Psiche o talmente cosciente di quello, che continuava a farlo per punirla della sua disubbidienza. Psiche esausta, stanca, affranta, sconvolta da quei comportamenti, non potendo più consentirlo oltre, prima di raccontare tutto al suo nuovo amore: Aenemos, decide di incidere su una roccia che dava sul mare, un messaggio chiaro per Eros; un messaggio intriso di tristezza e di ricordi, che salvaguardasse Eros, per la sua frustrazione di devastazione, nel momento in cui lo leggeva ma, allo stesso tempo chiaro e deciso come il sole. E scrisse queste struggenti parole: "Ti prego mio dio, a te devo la mia vita, e la mia riconoscenza per quel dono, sarà viva nei miei ricordi, per ogni giorno che vivrò. Il tempo di noi è ormai trascorso e niente...NIENTE su questa terra ritorna uguale a prima, come forse avviene, lassù da te, o solo nella tua mente. Se tu, mio signore, mi hai amata almeno un alito di quell’amore che avevo regalato a te, ti prego ritorna per sempre nel tuo olimpo, vai via per sempre dal mio essere umana e donna comune, dammi serenità di vivere il nuovo amore; quello di un uomo che adesso vive perché son viva che di quella vita devo a te. Vai via per sempre e sii fiero di quella tua natura. Ti prego dio di un tempo ormai andato. Va via, per sempre...e se non lo comprendi adesso, che le tenebre del tempo avvolgano, per sempre, gli ultimi bagliori della tua ragionevolezza e ti conducano in un oblio che ti dia pace, serenità e lunga vita. La mia, adesso, è ....altrove! (Libero riadattamento del mito Amore&Psiche) La morale di questo lunghissimo racconto è molto semplice: la mancata tempestività degli esseri umani. Ovvero l'assoluta mancanza di consapevolezza di capire quando è giunto il momento di ritirarsi; quando è arrivato il momento di fare un passo indietro e farlo con serenità perchè il proprio tempo è terminato; quando riconoscere un errore commesso assumendone la paternità e chiedendo di essere scusati; quando ammettere, riconoscere e RISPETTARE la volontà di un proprio simile; quando amministrare e valorizzare, nella stessa misura, tanto il proprio coraggio quanto la propria paura ...ed infine quando i propri silenzi diranno più di mille parole....inopportunamente pronunciate per non smarrire, per sempre, quell'ultimo barlume di rispetto e dignità che ci lascia il diritto di essere chiamati ancora....UOMINI!Questa "favola" è anche per il mio amico Jonathan....Che ne possa trarre gli insegnamenti necessari per essere definito, un giorno..."UOMO"! Ma io credo che lui sia già un.... ometto! Fai il bravo eroe........il tuo amico Marco.