Fonte: Il Fatto Quotidiano Economia & Lobby | 6 novembre 2018 Pier Paolo Dal Monte Vi è un fenomeno che negli ultimi anni si è fatto sempre più evidente e pervasivo nella scena politica del cosiddetto occidente: una sorta di rivolta contro le élite (reali o percepite che siano) che viene definito, col consueto semplicismo imbelle che caratterizza i mezzi di comunicazione di massa, col termine di populismo o, più cacofonicamente, con quello di antipolitica (come se la politica fosse mera questione di ortodossia nei confronti del potere costituito). Naturalmente, codesti sono semplici significanti vuoti atti a definire, senza spiegare, un movimento che si sta espandendo a macchia d’olio in tutto l’emisfero occidentale e che, nella sua manifestazione fattuale, è iniziato nel Regno Unito con la cosiddetta Brexit, si è esteso dall’altra parte dell’oceano con l’elezione di Donald Trump – sineddoche di un “contropotere” rispetto a quello che potremmo definire “globalismo finanziario” – e ha toccato il nostro Paese, in occasione del referendum costituzionale del 2016 e delle elezioni politiche di quest’anno.Siccome le categorie di “populismo” e di “antipolitica” non possono ambire alla funzione di interpretare alcunché – ma al massimo a quella di stigmatizzare un fenomeno – per cercare di comprendere quello che sta accadendo ci avvarremo della chiave di lettura fornitaci dagli epigoni degli storici della “lunga durata”, in particolare del lavoro di Giovanni Arrighi (Il lungo XX secolo, 2014). Secondo questa interpretazione, il fenomeno storico denominato capitalismo può essere diviso in cicli periodici di accumulazione, che si sono succeduti dal suo avvento.
Populismo o momento Polanyi? Ecco come il mercato distrugge la società
Fonte: Il Fatto Quotidiano Economia & Lobby | 6 novembre 2018 Pier Paolo Dal Monte Vi è un fenomeno che negli ultimi anni si è fatto sempre più evidente e pervasivo nella scena politica del cosiddetto occidente: una sorta di rivolta contro le élite (reali o percepite che siano) che viene definito, col consueto semplicismo imbelle che caratterizza i mezzi di comunicazione di massa, col termine di populismo o, più cacofonicamente, con quello di antipolitica (come se la politica fosse mera questione di ortodossia nei confronti del potere costituito). Naturalmente, codesti sono semplici significanti vuoti atti a definire, senza spiegare, un movimento che si sta espandendo a macchia d’olio in tutto l’emisfero occidentale e che, nella sua manifestazione fattuale, è iniziato nel Regno Unito con la cosiddetta Brexit, si è esteso dall’altra parte dell’oceano con l’elezione di Donald Trump – sineddoche di un “contropotere” rispetto a quello che potremmo definire “globalismo finanziario” – e ha toccato il nostro Paese, in occasione del referendum costituzionale del 2016 e delle elezioni politiche di quest’anno.Siccome le categorie di “populismo” e di “antipolitica” non possono ambire alla funzione di interpretare alcunché – ma al massimo a quella di stigmatizzare un fenomeno – per cercare di comprendere quello che sta accadendo ci avvarremo della chiave di lettura fornitaci dagli epigoni degli storici della “lunga durata”, in particolare del lavoro di Giovanni Arrighi (Il lungo XX secolo, 2014). Secondo questa interpretazione, il fenomeno storico denominato capitalismo può essere diviso in cicli periodici di accumulazione, che si sono succeduti dal suo avvento.