XXI secolo?

Il falso mito della transizione ecologica: niente è gratuito a questo mondo per noi umani


Fonte: Il Fatto Quotidiano Fabio Balocco  Ambiente & Veleni - 24 Febbraio 2020L’affermazione che occorre transitare quanto prima all’energia verde per fermare il cambiamento climatico è un mantra che oramai accomuna tutti i governi (meno forse quello americano e vedremo il possibile perché) nonché i seguaci di Greta e i verdi in generale. I primi se la prendono con calma, i seguaci di Greta & C. vorrebbero tutto e subito. Perché l’energia verde è un bene assoluto. Così come la mobilità elettrica. Così come la smaterializzazione della nostra società, a cui sicuramente non riusciremmo più a rinunciare.Ma c’è un “però”, c’è una congiunzione avversativa che si oppone in qualche modo alle energie verdi e alla smaterializzazione completa della nostra società. Il “però” è relativo al fatto che noi siamo, molto banalmente, legati a delle cose: per captare l’energia solare dobbiamo costruire dei pannelli; per l’energia eolica delle pale; per connetterci abbiamo bisogno dei pc o degli smartphone; per le auto elettriche di batterie ad hoc, e le cose sono fatte, noi le facciamo, con delle materie prime che estraiamo dalla Terra. E queste, come tutto in questo mondo, sono risorse finite. E soprattutto non sono neutre.È su questo che vuole farci ragionare La guerra dei metalli rari, in cui Guillaume Pitron, giornalista francese che al libro ha dedicato anni di indagine, ci prende per mano e ci accompagna nel mondo dei metalli che caratterizzano la nuova era della transizione ecologica e digitale.Il risultato è ben diverso da quel mondo fantastico (anche nel senso che esiste solo nella fantasia) di Greta & C. Non è un sogno, anzi, diciamolo, assomiglia molto di più ad un incubo.Iniziamo col dire che per la transizione sono necessari anche metalli rari, che infatti sono anche denominati oggi metalli tecnologici o metalli strategici, una famiglia all’interno della quale ci sono altresì le cosiddette “terre rare”. I metalli rari non sono poi così rari, perché sono presenti più o meno dappertutto nel mondo. Il fatto è che essi non si trovano in alte concentrazioni nelle rocce, e sono difficili da separare.Questo comporta che per l’estrazione si devono gettare letteralmente via immense quantità di roccia (ne servono 200 tonnellate per ricavare un chilo di lutezio; 50 tonnellate per un chilogrammo di gallio; 16 tonnellate per un chilogrammo di cerio; 8 tonnellate per un chilo di vanadio), e per purificarli si crea una grande massa di ulteriori rifiuti e di inquinamento: secondo l’Associazione cinese delle Terre Rare, per ogni tonnellata di metalli rari estratti, vengono scartati tra i 9.600 e i 12.000 metri cubi di rifiuti sotto forma di gas, a loro volta contenenti polveri concentrate, acido fluoridrico, anidride solforosa e acido solforico. Inoltre si producono circa 75 metri cubi di acque reflue acide e una tonnellata di rifiuti radioattivi.Un procedimento lungo, costoso, e produttore appunto di rifiuti e di inquinamento. Certo, quando guardiamo il nostro cellulare o vediamo un pannello solare o una silenziosa auto elettrica riesce difficile immaginarlo, non è vero?Ma se per estrarre metalli rari il processo è complessivamente molto costoso, come mai i prodotti finali costano relativamente poco? La risposta è semplice: Cina. In Cina ci sono le maggiori concentrazioni di metalli rari e i costi di estrazione sono relativamente bassi, mentre alti sono i costi sull’ambiente e la salute dei cittadini. Il risultato è che “grazie” all’estrazione dei metalli rari la Cina si ritrova in questi decenni molto più inquinata di prima. Sarà per questo che a Baoutou, nella Mongolia cinese, la più importante zona di produzione del pianeta di terre rare, non ti puoi avvicinare perché il sito è presidiato da vigilantes? Sarà per questo che nella popolazione che vive nelle vicinanze della miniera le persone muoiono più facilmente di cancro e la popolazione è invitata dal governo a “delocalizzarsi”?Non è invece un caso che sia in Francia sia negli Stati Uniti si sia abbandonata l’industria legata alla loro lavorazione. E non è forse un caso, aggiungo, che negli Usa Trump persegua la politica del petrolio e del carbone, posto che la transizione lo obbligherebbe a legarsi mani e predi al gigante asiatico.La soluzione potrebbe essere il riciclo dei metalli rari? In Giappone ci stanno pensando, ma per il momento non se ne fa quasi nulla, perché l’operazione è improba (spesso i metalli rari entrano a far parte di leghe) e molto costosa.Quale la soluzione, allora, se si vuole davvero proseguire (come appare inevitabile) nell’abbandono dei fossili e nella transizione digitale? Certo, le ricerche nei mari o addirittura nello spazio. L’autore del libro, molto saggiamente e più banalmente suggerisce: dato che i metalli rari sono ubicati un po’ dappertutto, ogni nazione si prenda la responsabilità di estrarli e lavorarli in proprio, e in particolare egli pensa proprio alla Francia, dove la lavorazione già c’era. Così si smetterà di delegare a paesi terzi costi e rischi. Si abbia il coraggio di aprire miniere sul proprio suolo. Vogliamo un futuro green? Assumiamoci la responsabilità del bello e del brutto che il green comporta.Della serie: niente è gratuito a questo mondo per noi umani.