XXI secolo?

LAVORO e..........


Seguo con interesse gli interventi, e le relative polemiche, innescati da una serie di contributi di un professore e pubblicista (e come ho seguito l' intervento scritto da un lettore: ma costoro quanti mestieri fanno? e, mi chiedo io, non esiste una norma anche per loro sul cumulo degli stipendi visto che sono dipendenti di Pubbliche Università?), sul tema del lavoro, del sindacato, delle regole ecc. visti dal suo punto di vista, ma che come comune mortale, e per giunta lavoratore dipendente, non riesco ad esimermi da alcune considerazioni, e premesse:1. che il sindacato è ritenuto uno strumento non adeguato ai tempi com'è strutturato oggi;2. che i lavoratori, i quali soprattutto in Italia, quando non sono nullafacenti, devono cmq sottostare alla volontà "Principe del mercato libero "e ai capricci dell'imprenditoria che và dove la porta il profitto - mentre loro, i lavoratori, tali mezzi e soldi non ne hanno - e quindi di fatto non sono, se non difesi dal sindacato, che in balia di poteri e iniziative dirompenti di cui il giornalista sembra non accorgersi: a me pare la riproduzione allegorica di metropolis di F. Lang;3. che gli stessi di cui al punto sub 2 se perdono il lavoro già ora con mille regole e contratti devono farsene una ragione e stare buoni (e a quel paese se hanno una famiglia e dei figli da far studiare o altro) e, al limite, proprio se gli deve fare fare una elemosina, accettare o una mobilità lunga (pagata dallo Stato ossia noi attraverso le tasse) o una riduzione del salario molto robusta (dicasi e leggasi contratto di solidarietà che, come al solito in Italia  era, quando è nata, una buona idea come strumento provvisorio per crisi provvisorie è diventata invece l'alternativa momentanea alla moblità e al licenziamento) o, come sembra ritenere il pubblicista/ professore di cui sopra, debbono lavorare di più, meglio, e possibilmente a parità di salario (e con malattie zero, mi raccomando, sennò sei lavativo) con l'unico incentivo (o conseguenza dico io) di mantenere il posto e (nel caso fossero i malcapitati dipendenti pubblici di ogni ordine e grado) denunciare i nullafacenti (questa si chiama delazione...... si commenta da sola), giacchè volendo ogni P.A. e/o industria privata ha i mezzi e gli strumenti per combattere il fenomeno dei nullafacenti, ma l'impressione è che questo sia un argomento tabù più per costoro che per i lavoratori stessi perchè questo processo delatorio porterebbe lontano........... molto lontano e innescherebbe un meccanismo che vedrebbe alla fine capitani d'industria, politici a esser messi sotto i riflettori della produttività del rendimento e della efficienza oltre che della ottimizzazione del proprio operato pena il licenziamento o l'esclusione dal gioco da parte delle porzioni di mercato nei quali sono in concorrenza (se ci sono tali segmenti in un paese come il nostro dove se ne parla tanto di mercato ma se ne fa poco di fatto e vi partecipano i soliti fessi ossia i lavoratori) già notoriamente poco democratico e sensibile al tengo famiglia, oltrechè, perchè no, i professori universitari e non, i quali quando si parlò di privatizzazione del lavoro pubblico fecero fuoco e fiamme per esserne tirati fuori, e ora naturalmente si troverebbero a dover produrre cultura e istruzione oltre che a considerare il cittadino/utente/studente come una persona da rispettare (oltre che uno che paga le tasse.......universitarie) che ha i propri diritti, e dimostrare, quindi, che fanno qualcosa (e non solo a fare articoli, convegni e conferenze come ora e le poche lezioni che vengono tenute, non sono tutti così per carità ma a parlare con gli studenti però sembra che sia un pianto) per salvare il proprio di lavoro e, magari se sottoposti a licenziamento denunciare i o il collega che non fa nulla per salvare la sua cattedra e il suo stipendio. Mi immagino i lavoratori dipendenti ad un certo punto più tesi a spiare i propri colleghi che a lavorare e gli uffici e le fabbriche (e le Università) diventano, più di quanto non lo siano già ora, dei luoghi di "enduring war"
: ci sarebbe da farsi una grassa risata ma l'esperienza m'insegna che quando si butta un sasso nello stagno poi.......4. che in epoca di globalizzazione, di lavoro precario (giovanile e non) e precarizzato dove il sottobosco, economico-politico e non, vive di speranze disperate dei cittadini in attesa di un futuro migliore, il lavoratore debba confrontarsi non solo con il collega che lo controlla, con il carovita a tutto gas, con la famiglia da sfamare ma anche confrontarsi e, temo, odiare il lavoratore cinese che guadagna 50 volte di meno che gli fa mancare il lavoro portandolo sotto il livello di sopravvivenza (no, errore, li ci sono già altri che ci vivono poveracci che guadagnano meno dei loro dipendenti di cui ora si parla e si sparla) e tutto ciò dovendolo accettare con gioia perchè così il mercato tira, il Capo guadagna soldi, il paese va........... e l'aria fritta gli è tutt'intorno. Premettendo che dell'Autore che con i suoi articoli ha iniziato la polemica ( dire il vero va detto che se l'è presa anche con le "categorie protette" finora intoccabili) apprezzo la chiarezza dei contenuti, avevo già in passato osservato, ascoltato e letto alcuni interventi (anche televisivi), con la sua lucida analisi svolta che  è frutto di studio attento e puntuale tipico dello studioso appassionato che parte dalla premessa che il mercato ha sempre ragione (moda del momento) per me sbagliata in quanto basterebbe a mio parere già che uno Stato davvero attento all'economia e al benessere dei suoi cittadini (tutti compresi quelli meno fortunati) richiedesse per finanziare interventi e accordi economici in paesi esteri la condizione di reciprocità,  a parità di lavoro e di salari, nelle sue condizioni di svolgimento, evitando il dumping sociale e mantenendo il faro del libero mercato e senza distorsioni alla concorrenza.Inoltre è eccessivo lo sbilanciamento dello Stesso autore a sfavore del Sindacato (gioia e delizia per alcuni vera croce e pericolosità per altri) e le poche critiche, almeno che risultano a me, nei confronti dei datori di lavoro (sia pubblici che privati); infatti un atto di accusa per "il modo di fare sindacato", la sua incapacità a copmprendere le sfide poste dal libero mercato (un eufemismo per dire del liberismo, corrente economica ma anche filosofica - Bentham e altri - e politica - la cui patria sono gli USA - e delle sue miracolose capacità di lenire tutti i mali del mondo) e la preconcetta difesa del lavoratore e del lavoro: mi chiedo ma perchè un sindacato, che si rispetti, che deve fare? Capisco che in epoca di globalizzazione un'imprenditore che voglia massimizzare i profitti con un minimo investimento, socializzare le perdite scaricandole sulla società, e avere meno controlli possibili se in paese come il nostro tutto ciò non è possibile prende tutto e lo sposta dove gli conviene di più: nulla in contrario, pur se l'etica del lavoro direbbe altrimenti. Mi chiedo però se uno Stato che si rispetti a quest'ipotetico imprenditore faccia pagare le tasse, tutte le tasse, anche su quella parte di reddito prodotta fuori dal paese di cui beneficia senza, però, contribuire al benessere sociale complessivo suo dovere quale cittadino di un paese democratico, liberale, occidentale (non sono questi i valori per cui andiamo così fieri e tentiamo di esportare, anche con le guerre, nei tanto cattivi paesi del mondo islamico?). Posso anche capire che questo fastidio, che traspare chiaramente per un sindacato forte, concertativo (termine brutto ma di moda anch'esso per dire che lo stesso ipotetico imprenditore decide di licenziare, o mandare in mobilità è lo stesso, un tot numero di lavoratori perchè i profitti si abbassano - lui non guadagna abbastanza - e il mercato non tira - altra metafora che spesso si rivela una balla, giacchè spesso l'ipotetico di cui sopra è impegnato in ardite operazioni finanziarie per profitto personale - e il sindacato concerta, appunto, l'uscita mollando il meno possibile - non trovo in questo nulla di sbagliato, anzi ci si va oggi fin troppi leggeri con gli ipotetici imprenditori di cui sopra, e con regole certe), che discute anche di condizioni sociali, di politica industriale, energetica e così via scateni le ire dei poteri economici forti ma addirittura far muovere giuslavoristi di indubbio valore che sparino, in una disamina attenta e scrupolosa, ma tutta in una sola direzione da un pò da pensare in quanto non mi convince l'obiezione che il mercato prima o poi farà strage di costoro che non sanno starci (ma intanto si sono arricchiti oltre ogni misura) e, come nel caso italiano protetti dallo Stato (in vario modo) in questi anni ruggenti del capitalismo all'italiana, dove mancano controlli e garanzie per i cittadini figurarsi per i lavoratori a tempo indeterminato e non: pensate a tutte le volte che ci hanno propinato la balla che era pur vero che il mercato andava bene ma non si poteva ad esempio non tagliare un qualche servizio alla collettività giacchè sennò ripartiva l'inflazione ma di esempi se ne possono fare tanti e noi a berla e ad autoconvincercene e i corsivisti dei vari giornali se ne guardavan bene dal criticare o lapidare...........
.Potrei scrivere per una vita su questa materia (a conti fatti ne verrebbe fuori un lavoro ponderoso, e noioso, complicato come la divina commedia, ma non mi sento come un novello Dante che mette nei vari inferni ecc. buoni semibuoni e cattivi)e non riuscire descriverla tutta ma riuscirei sicuramente noioso per chi mi legge, quindi restringeo moltissimo e le imprecisioni fioccano e me ne scuso.alla prossima ...non finisce qui