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Messaggi di Agosto 2018

in ferie..... finalmente

Post n°4301 pubblicato il 29 Agosto 2018 da ninograg1

 

.. a risentirci dal 10/9

 
 
 

Questo ciclo economico è alla fine. Un’altra recessione è alle porte

Post n°4300 pubblicato il 27 Agosto 2018 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano Economia & Lobby | 27 agosto 2018 

 

Quando si parla di borsa e mercati, parlare di “fine di un ciclo” significa innanzitutto dire che una burrasca per i risparmiatori sta arrivando. In questa occasione non si tratterà di una semplice “correzione” (riaggiustamento dei valori, nda) ma sarà certamente una fase recessiva probabilmente lunga e pesante, visto che, oltre ai fenomeni soliti (di seguito descritti), questa avrà caratteristiche globali molto più ampie e contemporanee. Sarà perciò impossibile, nello spazio breve di questo articolo, descrivere compiutamente l’intero intreccio di tutti questi fenomeni, e le responsabilità di chi li governa, ma colgo l’occasione di un chiarissimo articolo pubblicato questo mese dalla popolare rivista americana Fortune, sotto il titolo: “The end is near for the economic boom” (La fine è vicina per il boom economico), per suonare anche qui le sirene, perché quando una crisi arriva negli Usa diventa sempre globale.

Vediamo dunque quali sono questi indicatori economici che fanno scattare l’allarme.

Il primo è il Treasury yield curve (vedi grafico sotto), quello che segna la differenza tra il rendimento delle obbligazioni di medio-lungo periodo da quelle a breve scadenza. E’ un classico: quando questo indicatore arriva all’inversione, cioè quando i bond di breve periodo danno rendimento maggiore di quelli a lunga scadenza, significa che il mercato è arrivato al punto di “correzione” ovvero: l’ottimismo deve essere sostituito dalla prudenza.

il resto dell'articolo qui sul Fatto

 

 

 
 
 

Mercati, tempesta in arrivo: gli apolidi della finanza stanno per attaccare il governo italiano

Post n°4299 pubblicato il 26 Agosto 2018 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano  Zonaeuro | 26 agosto 2018 

 

Il tempo volge al peggio, la tempesta è imminente. Vi sono tutte le avvisaglie o, come dicono i meteorologi, i segni che lasciano presagire la bufera in arrivo. Vi era, del resto, da aspettarselo. Almeno se è vero, come è vero, che la democrazia – magni nominis umbra – financo nella sua concezione più superficiale, ossia come libera votazione, è tollerata fintantoché il demos vota e sceglie ciò che in separata sede l’élite turbofinanziaria ha già sovranamente deciso in modo tutto fuorché democratico.

Ordunque, il 4 marzo il popolo italiano ha votato altrimenti. Non ha dato retta ai nervosismi dei Mercati divinizzati, né ai partiti di riferimento del capitale mondialista, né ancora al clero politicamente corretto ed eticamente corrotto degli intellettuali (palanfrenieri cosmopoliti addetti al mantenimento del popolo riplebeizzato in catene nella spelonca di platonica memoria). Il popolo ha scelto un governo che, al netto dei suoi limiti e delle sue imperfezioni, è il governo del basso contro l’alto, del popolo precarizzato contro l’aristocrazia global-elitaria. Ed è ciò che i signori del mondialismo e i loro chierici al guinzaglio non perdonano al popolo italiano.

I signori del mondialismo deregolamentante senza coscienza infelice e i cinici araldi della glebalizzazione hanno de facto dichiarato guerra al governo italiano. Senza se e senza ma. La sua inespiabile colpa? Elementare: essere un governo non al servigio dell’élite finanziaria, essere un governo scelto dal popolo, essere un governo che sta mettendo in discussione i capisaldi della mondializzazione capitalistica (deregolamentazione dei mercati, desovranizzazione dell’economia, atlantismo supino, ecc.).

I globalizzatori faranno di tutto per far cadere il governo nazionale-popolare odiato dall’aristocrazia finanziaria. Senza esagerazioni, mi avventuro in una previsione. Per rovesciare il governo nazionale-popolare italiano, i poliorceti del turboglobalismo liquido-finanziario percorreranno la via o del colpo di Stato giudiziario (modalità Mani Pulite 1992) o del colpo di Stato finanziario (modalità Monti 2011). L’obiettivo? Rovesciare il governo e imporne uno che rispecchi senza esitazioni gli interessi e i desiderata della classe dominante liquido-finanziaria. Come disse una voce non marginale del partito unico dei mondialisti, i Mercati spingeranno gli italiani a non votare i populisti. È chiarissimo il punto. Come, d’altro canto, è chiarissima la fisionomia glamour del nuovo totalitarismo dei Mercati deregolamentati.

 

 

 
 
 

Il piano Savona: mega investimenti per raddoppiare Pil

Post n°4298 pubblicato il 23 Agosto 2018 da ninograg1
 

Fonte: W.S.I. 20 agosto 2018, di Redazione Wall Street Italia

 

Dopo il piano Marshall, il piano Savona. Il Ministro per gli Affari europei, economista anti euro con un passato da banchiere e grande believer nel mondo FinTech e nella blockchain, starebbe per proporre all’UE un maxi piano di investimenti per raddoppiare la crescita del PIL italiano e innalzare così gli obiettivi del 2019 al 2%.

Il progetto del professor Savona, rende noto Il Sole 24 Ore, sarebbe concentrato su massicci investimenti pubblici ma anche privati, che interesserebbero in particolare le controllate statali come Enel, Eni Terna e Leonardo.

Queste aziende, secondo le stime di Paolo Savona, oggetto della crisi istituzionale apertasi a fine maggio, potrebbero arrivare a investire sino a 34 miliardi di euro. Questa importante campagna di investimenti consentirebbe all’Italia di raggiungere nel 2019 una crescita del PIL del 2%, a beneficio delle entrate statali e dei conti pubblici.

L’economista, collocato presso un ministero “orizzontale” dopo il placet sulla sua nomina alla guida dell’Economia, intenderebbe portare questa proposta alla Commissione europea in autunno, nell’ambito delle trattative per la nuova legge di Bilancio.

E non solo Savona ha proposte “economiche” da fare per un autunno che si preannuncia caldo, sia sotto il profilo politico che dal punti di vista finanziario (Borsa, Spread, rating ecc). Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, in seguito ai fatti di Genova, ha già annunciato un vasto piano di investimenti per le infrastrutture, non solo per la messa in sicurezza delle autostrade, ma anche delle scuole ecc.

 

 
 
 

Ponte Morandi, perché l’Italia decise di privatizzare. La vera storia di una tragedia assurda

Post n°4297 pubblicato il 20 Agosto 2018 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano Economia Occulta | 19 agosto 2018 


Il crollo del ponte Morandi a Genova è una catastrofe da terzo mondo, impensabile nella terza economia di Eurolandia o in una nazione che far parte del G7. Eppure è successo. Quei cadaveri seppelliti sotto le macerie di un ponte che doveva essere antisismico, ma guarda caso non lo era, che avrebbe dovuto essere ricostruito, ma non è stato fatto e così via, confermano ciò che da decenni ci rifiutiamo di sentire: che il nostro è un Paese corrotto, mal governato, impoverito da una classe dirigente che ne ha fagocitato la ricchezza, una nazione dove le diseguaglianze sono la regola e dove tutto, ma proprio tutto, anche la democrazia è in vendita per chi ha i soldi per acquistarla.

L’incipit della tragedia risale al 1992 quando politici e poteri forti iniziano a tessere la favola del benessere sullo sfondo dell’implosione della lira che non regge la banda di oscillazione dello Sme, e della minaccia della mafia che fa fuori Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Stiamo calmi, è il messaggio che arriva dai vertici del potere, esiste una soluzione e si chiama euro. In altre parole la moneta unica viene venduta ai cittadini come il biglietto d’ingresso al club delle nazioni ricche del Nord Europa, come se bastasse quella monetina a rilanciare l’economia, sconfiggere la mafia e fare dell’Italia un Paese ricco e solido. Grazie al tam-tam della stampa e alla propaganda della casta questa certezza assurda, specialmente alla luce del fiasco del serpente monetario, si fa strada nel subconscio della maggior parte degli italiani e ci rimane fino alla crisi del debito sovrano degli anni 2011 -2012.

Vale la pena ricordare che l’Italia non fu l’unica nazione a essere travolta dallo Sme nel 1992, anche il Regno Unito fu costretto a uscirne con disastrose conseguenze monetarie. La risposta del Parlamento britannico, però, fu diametralmente opposta a quella italiana. John Major, l’allora primo ministro britannico, fece inserire nel Trattato di Maastricht la famosa opt-out clause, la clausola di non adesione all’euro, norma che ha poi usato per tenersi a una distanza di sicurezza da Eurolandia, condizione che ha permesso al Regno Unito nel 2016 di votare a favore della Brexit.

Nel febbraio 1992, il governo Andreotti firmava il Trattato di Maastricht e rinunciava alla sovranità monetaria nazionale che veniva trasferita alla Banca centrale europea grazie all’articolo 105. Che recita: “La Bce ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote all’interno della Comunità, quelle emesse dalla Bce e dalle banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nella Comunità. Gli Stati membri possono coniare monete metalliche, con l’approvazione delle Bce per quanto riguarda il volume del conio“.

Lo Stato si trova dunque in una posizione di subordinazione rispetto alla Bce, che è un’istituzione privata dato che i suoi soci sono banche e istituti di credito privati, le banche centrali dei vari Paesi d’Europa. Ma gli italiani questo non lo sanno, credono che la Bce sia una garanzia migliore della Banca d’Italia, che farne parte vuol dire essere una nazione ricca. Ma non è così.

All’inizio dell’estate del 1992 la tensione monetaria sul mercato dei cambi si acuisce e l’Italia viene presa d’assalto dagli speculatori, tra cui George Soros. Il governo ha le mani legate in termini di manovre monetarie a causa del Trattato di Maastricht. Una delle alternative è privatizzare ciò che rimane del patrimonio nazionale, vendere insomma i gioielli di famiglia tra cui la fitta rete autostradale, di cui il ponte Morandi fa parte.

La famiglia Benetton acquista così un bene pubblico fondamentale per il sistema dei trasporti nella penisola. Tutto ormai conoscono il resto della storia. Pochi però ricordano che nel 1992 le privatizzazioni non vennero presentate come uno dei costi di quella monetina europea, si pensò che fosse una manovra per migliore la gestione delle infrastrutture dello Stato, come se la famiglia Benetton fosse più brava a gestire la cosa pubblica degli eletti dagli italiani, quei morti precipitati dal ponte Morandi confermano che anche questa certezza era un’illusione.

Quasi nessuno conosce un altro aspetto di questa triste storia, che le privatizzazioni non funzionarono. La politica di dismissione delle imprese pubbliche non portò al miglioramento dei conti pubblici, in quanto le entrate non furono sufficienti a ridurre il debito pubblico complessivo, che aveva assunto dimensioni gigantesche. Nel 1994, per esempio, ammontava a 1.771.108 miliardi di lire mentre il gettito generato dalle privatizzazioni per il triennio 1993-1995 era stato di appena 27mila miliardi, meno insomma dell’1,5 per cento.

Chi ha pagato quel salatissimo conto presentato da Bruxelles sono stati gli italiani, i genitori, i nonni, i fratelli, le sorelle, gli amici e anche le vittime della tragedia genovese. Il governo Amato fu infatti costretto a varare una legge finanziaria da 100mila miliardi di lire che includeva l’aumento dell’età pensionabile e dell’anzianità contributiva, il blocco dei pensionamenti, una tassa patrimoniale sulle imprese, l’introduzione dei ticket sanitari, la tassa sul medico di famiglia, l’imposta comunale sugli immobili (Ici), il blocco degli stipendi e delle assunzioni nel pubblico impiego, fino al prelievo forzoso e immediato sui conti correnti bancari nottetempo. Un mese dopo la manovra, sulle macerie economiche dello Sme, la Camera ratificava il Trattato di Maastricht con 400 voti favorevoli, 46 contrari e 18 astenuti. Un accordo che vincolava gli Stati a rigorosissimi parametri di finanza pubblica, tra cui il tasso d’inflazione, il rapporto deficit-Pil, nonché l’adesione all’euro.

La verità è che oggi, a distanza di meno di 20 anni, piangiamo come tutte le nazioni del terzo mondo i nostri morti che sono doppiamente vittime, delle  privatizzazioni inutili – che hanno arricchito la solita casta – e degli enormi sacrifici economici causati dalla pessima gestione della cosa pubblica, che hanno impoverito la nazione.

 

 
 
 

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