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Messaggi di Gennaio 2020

elezioni: le balle e la nuda realtà

Post n°4540 pubblicato il 27 Gennaio 2020 da ninograg1
 

Fonte: Regione (dati attuali) Emilia Romagna (dati precedenti ossia 2014).

Allora:

Elezioni 2014: elettori 3.460.402; votanti 1.304.841; percentuale 37,76%.

Centrosinistra:

Bonaccini   615.723; % 49.05;

PD 535.109; % 44.53.

Centrodestra

Fabbri Alan 374.736; %29,85

LEGA: 233.439 19,42%

Elezioni 2020: 3.508.332; 67,67% pari a 2.374.088

Centrosinistra

Bonaccini  1.195.742 pari a 51,42%

PD 749.976 pari a 34,69%

Centrodestra

Borgonzoni 1.014.672; pari a  43,63%

Lega 690.864; pari a 31,95%.

ecc. ecc.

cosa emerge?

I 5 stelle pagano lo scotto del cambio di maggioranza romano e delle scelte fatte in nome della governabilità nella staganazione eurocentrica che ci vede colonia e sbocco delle merci e delle acquisizioni altrui ossia tutte ben lontane da quello che il loro popolo si aspettava e auspicava visto che erano la vera novità del decrepito panorama politico italiano.

il pd, bé fatta la tara, tiene bene e, in casa propria, riesce a evitare il crollo della diga: un aiuto di non poco conto arriva dalle cosiddette sardine (movimento simil-civico che molto ricorda i 'comitati civici'  inventati, per fermare l'avanzata del pci, nel 1948... con i soldi degli americani) che hanno reso spendibile la sinistra italica che sinistra non è più e scimmiotta i dem americani: le sardine sono i veri vincitori, ora vedremo cosa ne viene fuori anche se visti i precedenti, e fermata l'onda, molto probabilmente anche le sardine faranno presto la fine dei movimenti che li hanno preceduti: una lenta agonia fra scissioni e litigi fino a sparire dalla scena.

La Lega: piaccia o meno e, nonostante non abbia dato la spallata, ha triplicato i voti ed è l'unico partito che aumenta i propri (nonostante la geografia dei flussi elettorali ci dica che ne ha persi altrettanti quanti gliene sono entrati) nella propria coalizione che, salvo FdI, perde vistosamente..... anzi si può dire che il terzo contraente della coalizione, FI, sparisce del tutto.

immagino il solone di turno che in brodo di giuggiole festeggerà.. ma in realtà nessuno si illudeva che vincesse, e lo stesso sarà in toscana, ma che avesse un buon risultato si e l'ha avuto: piaccia o meno. Il vero problema sono i voti in uscita dei 5 Stelle che vanno in parte, grossa parte, al pd o meglio vi ritornano.. vedremo cosa ci si immaginerà per mantenerceli invece di farli scappare ancora una volta con proposte impresentabili.

Ed ecco che, nonostante la prosopopea dei media, la evidenza della realtà rimane anche al di là del quotidiano trambusto: se non ci sono cambiamenti di rotta e di mentalità questo paese o si rassegna alla bigia e grigia realtà attuale o scommette e cambia... vista la ns storia non sono così ottimista ma si sa che solo quando siamo con tutti e due piedi sul ciglio del burrono diamo il meglio.







 
 
 

Calo delle nascite, l’espressione ‘Vecchio Continente’ non è mai stata più vera

Post n°4539 pubblicato il 23 Gennaio 2020 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano Loretta Napoleoni Società - 19 Gennaio 2020

 

L’espressione “Vecchio Continente” non è mai stata più vera. L’Europa è infatti oggi la regione con la popolazione più vecchia al mondo. L’età media è 43 anni, 12 in più rispetto al resto del mondo. L’invecchiamento è un fenomeno inarrestabile, che va avanti da decenni – entro il 2035, circa una persona su quattro avrà 65 anni rispetto a uno su 13 nel 1950 – e, secondo gli esperti, sta per subire un’accelerazione pericolosa. Le Nazioni Unite, infatti, prevedono che dal 2021 la popolazione europea inizierà a contrarsi.

Tra le conseguenze più preoccupanti di questo trend c’è la caduta della crescita. L’economista del Fondo Monetario Philip Engler ha calcolato che entro il 2050 i cambiamenti demografici faranno contrarre il reddito pro capite in Francia, Spagna, Italia e Germania dai 4.759 ai 6.548 euro, prendendo come base i prezzi del 2010. In concomitanza, durante lo stesso periodo, la spesa sanitaria per gli anziani e per le pensioni salirà.

Proiezioni della Commissione europea prevedono che entro il 2040 entrambe queste voci rappresenteranno il 25% del Pil nell’Unione europea. In termini monetari, l’economia d’argento, come viene definita quella che ruota intorno agli anziani, entro il 2025 sarà pari a 6.400 miliardi di euro – nel 2015 era appena 3.700 miliardi di euro – e sarà responsabile di quasi il 40% dei posti di lavoro creati.

Il paese dove l’invecchiamento è più marcato è il nostro. Il trend è di lunga data: negli anni Venti, quindi un secolo fa, la media era di 2,5 bambini, mentre per donne nate subito dopo la seconda guerra mondiale la media scende a 2. Ma è negli ultimi dieci anni che il tasso di natalità è letteralmente crollato: siamo a 1,32 figli per donna, significativamente inferiore al 2,1 definito come il livello minimo di cui un Paese ha bisogno per mantenere la sua popolazione.

Secondo l’Istat, l’anno scorso l’Italia ha registrato il numero più basso di nascite da quando il paese è stato unificato nel 1861. Se non ci fossero le emigrate che procreano di più, i dati sarebbero ancora più bassi. Le donne italiane hanno infatti un tasso medio di natalità di 1,2 bambini, mentre quello delle emigrate è di 1,9, la somma produce una media nazionale di 1,32.

A seguito del crollo delle nascite, la popolazione attiva italiana si sta riducendo rapidamente. Con solo 440mila bambini nati, meno della metà del numero di italiani morti, la popolazione sta invecchiando e diminuendo costantemente. Quasi il 23% degli italiani ha ora più di 65 anni. Il problema è aggravato dall’emigrazione in aumento.

Un numero crescente di giovani emigra per sfuggire ai problemi economici del Paese: nel 2019 160mila italiani hanno lasciato il paese, il livello più alto dall’inizio degli anni Ottanta. Siamo come un paese che sta affrontando l’estinzione? In un certo senso il pericolo è proprio questo.

Secondo gli esperti e le organizzazioni internazionali come l’Onu, il problema della bassa natalità in Italia è legato al pessimo andamento dell’economia, alla mancanza di infrastrutture che aiutino la cura dei figli e all’alto debito pubblico. In altre parole, la situazione sarebbe ben diversa se l’economia italiana assomigliasse di più a quella scandinava, ben strutturata per essere di sostegno ai genitori, specialmente nei primi anni di vita dei figli. Sicuramente questo è vero per quanto riguarda l’ampiezza della contrazione delle nascite in Italia, ma non è una spiegazione sufficiente per l’invecchiamento della popolazione europea.

Alla radice della flessione delle nascite c’è anche un atteggiamento culturale nei confronti dei figli diverso da quello del passato. Questi non più visti come un investimento, e cioè braccia necessarie per lavorare la terra, come è avvenuto nel corso della storia dell’uomo.

Anche il ruolo dei genitori è cambiato. Oggi è molto sentita la responsabilità nei confronti dei figli e questo porta molti ad avere meno figli per dedicar loro più tempo ed energie.

Le statistiche, le proiezioni e i dati economici, dunque, descrivono un fenomeno preoccupante, e cioè l’invecchiamento della popolazione, ma non bastano per farcene capire le ragioni. L’invecchiamento e la contrazione della popolazione europea sono un fenomeno della modernità, con cui bisogna imparare a convivere e che bisogna imparare a gestire.

 

 
 
 

Gap reddito: Il 20% più ricco degli italiani detiene quasi il 70% della ricchezza nazionale

Post n°4538 pubblicato il 20 Gennaio 2020 da ninograg1
 

Fonte: W.S.I. 20 Gennaio 2020, di Mariangela Tessa

Cresce la forbice che separa i più ricchi dai più poveri. La conferma arriva dall’Oxfam, confederazione di ‘no profit’ mondiali dedicate alla riduzione della povertà globale, secondo cui i 2.153 Paperoni più ricchi del mondo controllano complessivamente un patrimonio combinata pari a quella di 4,6 miliardi di persone, circa il 60% della popolazione mondiale, e in cui “la quota di ricchezza della metà più povera dell’umanità, circa 3,8 miliardi di persone, non sfiora nemmeno l’1%”.

Il rapporto ‘Time to Care” pubblicato alla vigilia del World Economic Forum a Davos torna dunque a sottolineare la crescente forbice che separa i super-ricchi dal resto della popolazione mondiale.

Al top della piramide dei super-ricchi troviamo il fondatore di Amazon, Jeff Bezos,  attualmente la persona più ricca del mondo, secondo Forbes, con un patrimonio netto di circa $ 116,4 miliardi, seguito da Bernard Arnault, il miliardario francese che possiede il gruppo di beni di lusso LVMH (116 miliardi di dollari).

Italia, “un paese bloccato”

La situazione cambiano da Paese a Paese, ma in generale la redistribuzione appare ben lontana da un livello equo. Non fa eccezione l’Italia dove a  metà 2019 la quota di ricchezza in possesso dell’1% più ricco superava la quota di ricchezza complessiva detenuta dal 70% degli italiani più poveri sotto il profilo patrimoniale.

Complessivamente, la ricchezza italiana netta ammontava a 9.297 miliardi di euro, in calo dell’1% rispetto al giugno 2018. Il 20% più ricco degli italiani deteneva quasi il 70% della ricchezza nazionale, il successivo 20% era titolare del 16,9% del patrimonio nazionale, mentre il 60% più povero possedeva appena il 13,3% della ricchezza del paese. Il 10% più ricco della popolazione italiana (in termini patrimoniali) possiede oggi oltre 6 volte la ricchezza della metà più povera della popolazione.

In Italia il 30% dei giovani occupati guadagna meno di 800 euro al mese e il 13% degli under 29 è in “povertà lavorativa”. Fermo l’ascensore sociale, la differenza di genere pesa sulle donne: le “working mom” al 57%, le lavoratrici senza figli salgono al 72,1%. E la ricchezza dell’1% degli italiani supera quella del 70% più povero.

Un “Paese bloccato”, come lo disegna l’organizzazione non governativa, dove l’ascensore sociale è fermo: “ci vorrebbero – scrive Oxfam – cinque generazioni per i discendenti del 10% più povero per arrivare a percepire il reddito medio nazionale”. E’ così che “le diseguaglianze si perpetuano” da una generazione all’altra. E’ in questo scenario che Oxfam rinnova il suo appello: “solo politiche veramente mirate a combattere le disuguaglianze potranno correggere il divario enorme che c’è fra ricchi e poveri. Tuttavia, solo pochissimi governi sembrano avere l’intenzione di affrontare il tema”, dice Elisa Bacciotti, direttrice delle campagne di Oxfam Italia.

Gap in aumento nell’ultimo ventennio

Nell’ultimo ventennio, la distanza che separa il top della piramide dalla base è aumentata: la ricchezza dei più facoltosi è salita del 7,6%, quella del 50% dei più poveri si è ridotta del 36,6%. D’altra parte le retribuzioni in media son tutt’altro che salite (anche se non tutte). Tant’è che nel 2018 l’indice di Gini, che misura le diseguaglianze, collocava l’Italia al 23esimo posto nella Ue a 28.

Globalmente, il fenomeno è esacerbato dal gender gap: gli uomini, nel 2018, possedevano “il 50% di ricchezza in più rispetto a quella posseduta dalle donne”, spesso ancora relegate all’accudimento di figli o familiari. In Italia, ancora nel 2018 la quota delle donne che non avevano mai lavorato, per prendersi cura dei figli, era pari all’11,1% (3,7% la media europea).

E pesa l’abbandono scolastico, dove Oxfam lancia un ulteriore allarme: “nel confronto europeo, nel 2018, l’Italia si trovava in quart’ultima posizione” ponendosi accanto a Spagna, Malta e Romania per l’incidenza degli abbandoni scolastici che condizionano le opportunità di benessere.

 

 
 
 

Iran, come al solito il problema è il petrolio. E l’Italia in caso di guerra rischia grosso

Post n°4537 pubblicato il 15 Gennaio 2020 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano Ambiente & Veleni - 7 Gennaio 2020 Ugo Bardi

Come al solito, il problema è il petrolio. A prima vista non sembrerebbe che ci siano grossi rischi per l’Italia: non stiamo importando petrolio dall’Iran e, nonostante tutto il rumore degli ultimi giorni, il prezzo del petrolio rimane per ora entro limiti sopportabili, non oltre i 70 dollari al barile.

Però, ovviamente, non è solo questione dell’Iran. Nell’ipotesi peggiore, se scoppia una guerra in Medio Oriente entrano di mezzo alcuni dei principali fornitori di petrolio mondiali, incluso Iraq e Arabia Saudita. Se poi ci si ricorda che l’Iran è in grado di bloccare lo stretto di Hormuz al trasporto navale, allora è tutto il sistema che va in crisi: dallo stretto passa oltre il 20% di tutta la produzione mondiale di petrolio. Come minimo, ritorniamo sopra 100 dollari al barile, come era successo nel 2008. E questo fa enormi danni a un’economia che dipende dal petrolio, come quella italiana.

E qui siamo alla vecchia storia dei vasi di coccio e dei vasi di ferro. Comunque si voglia vedere l’azione di Donald Trump, lui sa di potersi permettere il rischio di una guerra. Negli ultimi 15 anni, gli Stati Uniti si sono ricostruiti una capacità produttiva petrolifera investendo enormi risorse nel “petrolio di scisto”, non tanto perché era conveniente dal punto di vista economico, ma con l’idea di usarlo come arma strategica. Come tale, sta funzionando benissimo. Non che gli Usa siano veramente indipendenti in termini energetici: tuttora importano più petrolio di quanto non ne esportino. Ma la differenza è piccola e, anche in caso di una crisi di fornitura petrolifera, la loro economia non rischia di andare a gambe all’aria.

Ma i vasi di coccio? Ovvero l’Italia e altri paesi europei? Certo, non è che l’Italia abbia ambizioni imperiali come gli Usa (ci aveva già provato Mussolini a ricostruire l’Impero Romano, ai suoi tempi, ma non era stata una buona idea). Si tratta però quantomeno di cercare di sopravvivere e, se si va a una guerra, le cose si mettono male per noi.

La nostra economia non potrebbe funzionare senza petrolio o con il petrolio a oltre 100 dollari al barile. La produzione italiana di petrolio non ci aiuta molto: ha raggiunto il suo picco negli anni ‘80 e da allora non è più aumentata. Oggi, produciamo meno di 100mila barili al giorno, ma ne consumiamo oltre un milione e quindi dipendiamo dalle importazioni. Per fortuna, anche i consumi sono in declino, qualcosa di buono è stato fatto in termini di energia rinnovabile e efficienza energetica, ma non abbastanza.

Ci sono amministrazioni in Italia che con grande fanfara hanno dichiarato la “emergenza climatica”. Bravi, ma se uno dichiara un’emergenza dovrebbe anche far qualcosa in proposito. E non solo non stanno facendo nulla per il clima, ma nemmeno per le altre emergenze che dobbiamo affrontare in questo pianeta sovrasfruttato, sovrappopolato e governato da pazzi furiosi. C’è un’emergenza energetica, un’emergenza di gestione rifiuti, un’emergenza del collasso delle infrastrutture, un’emergenza del degrado del territorio, un’emergenza di microplastiche, di microparticelle, di metalli pesanti e molto altro ancora.

Quella che ora ci potrebbe arrivare addosso pesantemente con la crisi in Iran è l’emergenza energetica, con il rischio di fare enormi danni all’economia italiana. Avremmo dovuto pensarci prima e costruirci una capacità di resistenza strategica. Ovviamente, qui in Italia non abbiamo scisti petroliferi come ci sono negli Usa, e anche se li avessimo sarebbero solo un cerotto temporaneo. Però abbiamo risorse energetiche in abbondanza in termini di energia solare, con l’aggiunta dell’energia geotermica, idroelettrica e eolica, per non parlare poi della possibilità di un efficientamento energetico generalizzato e dell’elettrificazione del trasporto su strada.

Se avessimo investito di più su queste risorse, potremmo gestirci meglio una nuova crisi petrolifera. Senza contare che questo investimento ci avrebbe aiutato anche ad affrontare le altre emergenze, in particolare quella climatica. Siamo ancora in tempo a cambiare rotta e investire su risorse energetiche non soggette a crisi politiche internazionali? Sarebbe stato meglio cominciare prima ma, come si suol dire, “meglio tardi che mai.”

 

 
 
 

Soleimani, io so da che parte stare

Post n°4536 pubblicato il 12 Gennaio 2020 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano  Giustizia & Impunità - 11 Gennaio 2020 Francescomaria Tedesco Filosofo della politica

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In Italia c’era chi sapeva leggere le relazioni internazionali. In questo paese c’era una volta una sinistra e questa sinistra era capace di elaborare un pensiero critico, radicale, fuori dagli schemi dell’ortodossia. Non tutta. Sto parlando anzi di una minoranza. Era la sinistra intellettuale ed eretica, certo, fatta spesso di irregolari, cani sciolti che si tenevano lontani dalla Realpolitik che il togliattismo aveva inoculato nel comunismo italiano. Una sinistra realista, tuttavia. Però non cinica, sostenuta da una tensione etica che faceva da contrappunto allo sguardo disincantato sul potere e sullo scettro grondante di lacrime e sangue, come diceva il poeta, e che invece di quello scettro si compiaceva.

Quel pensiero critico oggi è stato abbandonato perché non c’è più una sinistra, né quella ortodossa che spiegava le relazioni internazionali alla luce del marxismo-leninismo, né quella eretica. E tutt’al più spetta ai rossobruni e ai sovranisti ‘di sinistra’ scimmiottare quel lavorare di scarto, quel mettersi di traverso, quel fare sempre la mossa del cavallo che era tipica dei ‘cavalli pazzi’ della sinistra italiana. Uno scimmiottare che – così dice – non è né di destra né di sinistra (e questo è un grave danno) e che soprattutto è molto depauperato, molto indebolito sul piano teorico.

Sia chiaro: c’erano già, dentro quel pensiero eretico, i germi di ciò che sarebbe diventata la sinistra, c’erano tutte le avvisaglie che sarebbe sfociata nel rossobrunismo e nel sovranismo. Ché la critica severa all’Occidente, alle sue colpe, all’imperialismo delle armi e alla retorica colonizzatrice dei diritti avrebbe rischiato di ottenere il risultato di buttare il bambino con l’acqua sporca, liquidando tutto come volontà di conquista del “Grande Satana”.

Qualcuno ancora capace di una visione della complessità per fortuna c’è rimasto, e che gli dei ce lo conservino. Per esempio due grandi intellettuali statunitensi, Noam Chomsky e Richard Falk, che oggi scrivono una lettera preoccupata al Congresso degli Stati Uniti dove rimarcano l’illiceità dell’esecuzione di Soleimani.

Cercando si parva licet di rimanere nel solco di questa tradizione – ma evitandone i rischi e le ambiguità che si denunciavano prima – penso occorra da un lato condannare con fermezza l’azione unilaterale statunitense, svoltasi contro il diritto internazionale, e in generale riconoscere i crimini e i misfatti dell’Occidente; dall’altro lato, tuttavia, occorre tenere fede alla parte migliore dell’eredità dell’Occidente, anche contro l’Occidente stesso, ovvero anche quando è esso stesso – come è sempre accaduto – a tradire quella eredità. Per non buttare, come si diceva, il bambino con l’acqua sporca.

Allora occorre ricordare che il diritto è messa in forma della violenza. Ed è — la forma — la più grande eredità dell’Occidente. Altro che radici giudaico-cristiane! Orbene, valutare un gesto sotto il profilo sostanziale tradisce quella eredità e condanna l’Occidente a tradire se stesso e i suoi valori più alti. Non che sia la prima volta: il tradimento è antico quanto la nascita di quei principi. Ma essi sono un ideale normativo. Se vi abdichiamo, rinunciamo a difendere ciò che davvero andrebbe difeso dell’Occidente, altro che ‘identità’ e ‘culture’ intese nello sciocco senso monolitico degli essenzialisti (i quali, peraltro, non capirebbero un’acca di questo ragionamento).

Dunque l’uccisione di Soleimani ci interroga: come dobbiamo valutarla? Dobbiamo forse salutare con favore l’uccisione mirata e illegale di un uomo forse spregevole, saltando a piè pari la forma, oppure dobbiamo pensare che la forma rappresenti una garanzia che ci allontani dalla barbarie dell’esecuzione sommaria, fosse anche un’esecuzione sommaria di un (forse) criminale? Io so da che parte stare, e so come rispondere a chi — sulle orme di Michael Walzer — risponderebbe con l’argomento della ‘supreme emergency’ con la quale il teorico americano giustificò il bombardamento di Dresda.

Il giudizio su Soleimani sarebbe spettato a una corte internazionale indipendente. Ne esiste una, la Corte Penale Internazionale. Posto che essa sia indipendente, tuttavia il suo funzionamento è su base pattizia. Israele e la Cina, per esempio, non ne hanno sottoscritto lo statuto. Lo stesso hanno fatto gli Stati Uniti. Et pour cause, vien fatto di dire: per il timore di finire, da poliziotti del mondo, sul banco degli accusati.

 

 
 
 

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