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Messaggi di Ottobre 2020

Usa 2020, anche se Trump non venisse rieletto potrebbe uscirne vincitore: vi spiego perché

Post n°4604 pubblicato il 28 Ottobre 2020 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano Loretta Napoleoni Elezioni USA 2020 - 25 Ottobre 2020

 

A pochi giorni dalle elezioni presidenziali americane Bloomberg pubblica un articolo sui pericoli che Donald Trump corre se non sarà rieletto. L’analisi è corretta, il presidente americano ha una serie di processi e di accuse che sono stati “congelati” grazie alla sua posizione politica.

Una volta tornato ad essere un normale cittadino, però, la macchina della giustizia si rimetterebbe in moto, a quel punto senza un’indennità presidenziale Donald Trump potrebbe anche finire dietro le sbarre dal momento che le accuse sono tante: dalla frode fino all’ostruzione della giustizia. Naturalmente questo non succederà, anche se Joe Biden detesta il suo rivale: Trump appartiene alla lunga lista degli ex presidenti del paese e arrestarlo sarebbe un affronto alla carica che ha ricoperto.

Il New York Times, che ha denunciato l’evasione fiscale di Trump, concorda con i colleghi di Bloomberg: Trump farà di tutto per vincere e anche se perdesse si rifiuterà di accettare i risultati dello spoglio delle urne e chiederà di ricontarle; c’è anche chi pensa che sia disposto ad incitare la destra militarista americana a mobilitarsi, a scendere in piazza in assetto da guerra per fare giustizia della frode elettorale dei democratici.

C’è però chi offre previsioni totalmente diverse. Un avvocato americano di casa nei corridoi del potere e che vuole rimanere anonimo sostiene che Trump ha un piano ben diverso. Se dovesse perdere allora nel periodo che va da novembre fino al 21 dicembre si dimetterebbe. A quel punto Mike Pence, il suo vice, diventerebbe presidente e gli concederebbe il celeberrimo pardon, il perdono, presidenziale.

E’ quello che fece Richard Nixon che non venne mai condannato nel processo di impeachment. Si dimise e il suo vice, Gerald Ford, lo perdonò. A quanto pare il pardon presidenziale impedisce qualsiasi causa futura, ciò significa che Trump lascerebbe la Casa Bianca mondato da tutte le accuse, proprio come fu per Nixon.

In caso di vittoria il presidente avrebbe 4 anni per perseguire questa strategia. Potrebbe anche non attendere la fine del mandato dal momento che nel 2021 matureranno circa 100 milioni di prestiti immobiliari contratti dalle sue società, al momento gestite dal figlio, soldi che Trump non ha.

Banche e finanziarie sono reticenti a rinegoziare prestiti con familiari del presidente a causa dei controlli serrati da parte dell’amministrazione pubblica, la Riserva Federale e soprattutto l’ufficio delle tasse. Diversa sarebbe la situazione se Trump non fosse più in carica.

Se questa analisi è corretta allora Trump darebbe prova di essere una vecchia volpe e di aver capitalizzato al massimo la vittoria elettorale del 2016, essendosi sbarazzato di tutti i problemi che aveva con la legge quando è stato eletto.

 

 

 
 
 

Pannicelli caldi e contagi che volano

Post n°4603 pubblicato il 25 Ottobre 2020 da ninograg1
 

A me De Luca non piace, né nel modo di fare né nel modo di esprimersi ma devo dore che stavolta aveva ragione: il paese andava chiuso, completamente e per almeno 40 giorni. Dati alla mano non ci sono alternative e le esprienze contemporanee  degli altri paesi ce lo dimostrano: non si convive con il covid-19; non ci sono vie di mezzo né scorciatoie e stesso noi prima di questa estate scriteriata (dove influencer, scienziati da strapazzo, ecc. dicevano, insieme a molti media, che il virus non c'era più e/o era a bassa carica virale e altre fesserie del genere.... in realtà era lì) abbiamo dimostrato che l'unica via era quella del lockdown duro e puro e i risultati si son visti, prima e meglio degli altri (in certi casi il contagio, come in inghilterra, non si è mai fermato) abbiamo dimostrato la via maestra da seguire in attesa di vaccini, medicinali ecc. e invece......

Invece il Governo, sull'onda delle Regioni che hanno premuto per evitare di chiudere, ha messo in campo pannicelli caldi anzi tiepidissimi che non fermeranno il contagio e faranno danni enormi perchè se il virus sarà incontrollabile, ossia supera la soglia del 1 su 3 - 4 (ora siamo a 1 su 7 è contagiato),  anche coloro che oggi protestano domani potrebbero essere contagiati e contagiare a loro volta in una spirale, questa si pericolosa anche economicamente, dolorosa che provocherà vera miseria e problemi sociali: non un intervento ma il laissez faire farà danni: ma questo lo sappiamo fin dalla prime letture di A. Smith e della sua ricchezza delle nazioni lo sappiamo e il covid non fa altro che, ancora una volta, confermare la sua ottusa visione: intanto oggi abbiamo superato i 20 mila contagi, ancorchè con un minor numero di tamponi, e certo non consola i 40 mila della Francia e gli 80 mila americani..... ed è stupido sperare di nascondersi dietro i cosiddetti 'asintomatici' perchè sono parte della fenomenologia e non un problema a parte.

Non ci siamo e davvero dobbiamo sperare di cavarcela con poco visto che stanno rimandando tutto a dopo natale... devono vendere e trovo allarmante che il Governo nazionale, sulla scia di quelli locali, si 'distragga' e ignori i dati che sono lì e ci fanno capire che con questa pandemia non si scherza e  che a volte è meglio l'interesse generale che quello particolare delle singole corporazioni cui si dovrebbe dare attenzione ma solo DOPO aver ottemperato al mandato degli elettori e MAI, comunque, il suo contrario come invece da decenni avviene: per fare un esempio nella sanità regionalizzata e buco nero di clientele e favori l'eccellenza non manca eppure soffre e sapeteperchè perchè i tagli si fanno sentire; tagli fatti orizzontalmente dai governi, fin dal 1992, e dalle regioni e ora ne paghiamo lo scotto ma non basterebbe se non ci fosse anche il clientelismo con il privato: infatti anzichè fargli spazio in concorrenza si è distrutto il pubblico e si sono spostati soldi da un punto all'altro.. questa tenaglia ha creato l'attuale situazione dove le strutture al primo scossone vanno in sofferenza e al politica fatica a riprendere il controllo della situazione facendo fronte al problema....

Eccolo il punto: siamo messi così perchè è stato pervicamente perseguito l'obiettivo della privatizzazione e della sparizione del servizio pubblico che viene mantenuto giusto per salvare ... le forme. Da qui il lockdown: una misura estrema ma che è necessaria per far riprendere fiato alla nostra disastrata, dalla politica e dai suoi interessi (assicurazioni, sanità privata, ecc.) sanità come abbiamo fatto nella prima parte dell'anno, alternative non ce ne sono...

 
 
 

... l’Italia che vuole Confindustria....

Post n°4602 pubblicato il 21 Ottobre 2020 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano 12 Ottobre 2020 Lobby

Le parole volano, gli scritti rimangono. E capita persino che, ogni tanto, qualcuno se li legga. Nel volume di 385 pagine “Il coraggio del futuro” in cui Confindustria delinea la sua visione dell’Italia di domani, gli industriali, discettano un po’ di tutto tra. Non solo di industria e lavoro, ma anche di assetti istituzionali, regolazione bancaria, politiche europee, formazione, sanità, pubblico impiego. Il comun denominatore è che il “modello impresa” dev’essere replicato più o meno in ogni ambito. Nel testo ci sono tutti i tradizionali cavalli di battaglia di viale dell’Astronomia e quindi si ai prestiti del Mes, no al reddito di cittadinanza e al salario minimo, richiesta di incentivi alle imprese e sgravi per chi investe. Nelle quasi 400 pagine la parola mercato compare 160 volte, il termine società, intesa come collettività una ventina. “Evasione fiscale” appare appena nove volte, per chiedere meno controlli (“la lotta all’evasione fiscale che deve essere fondata anche e soprattutto sull’azione non massiva ma casistica di controllo e verifica, concentrati sui soggetti economici che presentano maggiori profili di rischio fiscale”) e sanzioni più blande (“all’inasprimento delle sanzioni tributarie penali si attribuisce ciclicamente il potere, quasi taumaturgico, di far arretrare l’evasione fiscale. Un obiettivo che dovrebbe essere invece, più efficacemente, perseguito con altri strumenti che passano per la valorizzazione degli istituti cooperativi”). Fin qui più o meno tutto già noto. Ma nel volume sono presenti anche nuovi “affondi”, sul tema dei licenziamenti, della flessibilità e del welfare.

Il licenziamento che “non è un trauma” Il capitolo forse più importante, quello dedicato al lavoro, si intitola “Prendersi cura del lavoro e dei lavoratori”. Leggendo si capisce però che a prendersi cura dei lavoratori non sono le imprese, che anzi dovrebbero poter licenziare più o meno come e quando vogliono, ma lo Stato che deve incaricarsi di sostenere e riqualificare il dipendente silurato. Si arriva infatti velocemente al sotto capitolo “Un mercato del lavoro più libero e leggero” in cui si auspica che le procedure di licenziamento vengano rese più semplici, facilmente percorribili, estendendo i meccanismi introdotti dalla legge Fornero del 2012, con cui il reintegro sul posto è stato sostituito da compensazioni economiche. Nel testo si legge “Si propone di generalizzare la c.d. procedura Fornero applicandola anche ai rapporti sorti sotto il regime del contratto a tutele crescenti, superando l’istituto dell’“offerta conciliativa”. In concreto si propone di far sì che ogniqualvolta il datore di lavoro si veda costretto a recedere dal rapporto per giustificato motivo oggettivo possa attivare una procedura di confronto, non solo da vanti agli Ispettorati del lavoro ma anche avanti alle Commissioni di conciliazione costituite dalle associazioni datoriali e dalle organizzazioni sindacali Sempre meno giudice del lavoro insomma, e pratica da gestire semplicemente con i sindacati. Anni fa Elsa Fornero raccontò in un’intervista delle pressioni ricevute da ambienti confindustriali per rendere ancora più semplici e rapidi i licenziamenti. “In Italia non abbiamo i giudici che ci sono in Germania”, argomentavano gli industriali. “Può darsi, ma non abbiamo neppure imprenditori come quelli tedeschi”, replicò l’allora ministro del Lavoro. Nel capitolo “Una gestione non traumatica della risoluzione del rapporto di lavoro per motivi oggettivi” Confindustria spiega che “occorre avere il coraggio di affrontare in modo equilibrato anche il tema dei licenziamenti per motivi oggettivi, in modo tale che non costituiscano più un evento traumatico ma possano essere vissuti dal lavoratore in un quadro di garanzie tali da renderlo un possibile momento fisiologico della vita lavorativa”.


Flessibili e partecipativi ma senza antagonismi – Non sorprende che l’associazione degli industriali apprezzi e celebri la flessibilità nei rapporti di lavori auspicandone anzi un’estensione. “Occorre ripensare profondamente, rispetto all’attuale regolamentazione, l’apporto al mercato del lavoro che può derivare dall’utilizzo dei contratti “flessibili”, contratto a termine e somministrazione a termine in primis, che assicurano la piena parità di trattamento rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato di pari livello. Per rendere concreta l’attenzione al capitale umano, occorrerebbe poi che l’apprendistato costituisca la porta d’ingresso al mercato del lavoro per i giovani (…) l’apprendistato offre quelle garanzie di flessibilità e adattabilità del rapporto che vanno valorizzate e incentivate. Anche sotto questo profilo un ruolo importante può svolgere la somministrazione di lavoro come strumento “flessibile”, adatto a verificare le competenze del lavoratore e, nel contempo, in grado di fornire una formazione al lavoratore, risolvendo, per le imprese più piccole o meno strutturate, il problema di impostare validi piani di formazione“. Sullo smartworking, la novità del momento, Confindustria scrive: “lo smart working può essere un terreno ideale per portare avanti questa maturazione culturale che chiede di “essere” partecipativi: non è certamente foriero di risultati stabili pensare la partecipazione in termini di “avere” – cioè ottenere attraverso la contrattazione –se poi la mentalità di fondo è e rimane quella antagonista”. I lavoratori devono quindi maturare culturalmente e smettere di avanzare pretese. Si arriva persino a prospettare quella che sembra essere l’idea di un lavoro a cottimo, con una retribuzione parametrata ai risultati. “Occorre disciplinare questo rapporto non restando rigidamente ancorati a tutte le caratteristiche del contratto di lavoro classico, connotato da uno spazio e da un tempo di lavoro. Serve una regolamentazione che consenta, da un lato, di vedere il lavoro “in purezza” come creatività, sempre più orientato al risultato, e, dall’altro, di remunerarlo per il contributo che porta all’impresa nel processo di creazione del valore”, scrivono gli imprenditori. Il lavoro “in purezza”. In tema di spirito partecipativo, Confindustria chiude una porta blindata sull’ipotesi di una presenza di rappresentanze di lavoratori negli organi dirigenziali delle fabbrica, come avviene diffusamente in Germania. L’idea degli industriali italiani è quella di una partecipazione a senso unico in cui bisogna dare tutto senza ricevere nulla.

 

Ai dipendenti pubblici, su cui consulenti di viale dell’Astronomia amano sparare ad alzo zero, si mostra il pugno duro: “La valutazione (dei risultati, ndr) dovrebbe prevedere l’utilizzo di competenze tecniche specialistiche esterne, volte a garantire maggiore indipendenza del processo. Ciò dovrà accompagnarsi a misure sanzionatore in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, come blocchi della carriera, rimozioni dall’incarico, retrocessioni economiche, in modo da evitare una deriva autoreferenziale dell’intero processo valutativo e favorire, al contrario, l’incremento della produttività”

La scuola al servizio dell’impresa – La strada per avere il tipo di lavoratore sognato, flessibile, comincia dalla scuola. Un posto dove, nella visione confindustriale, si formano lavoratori più che persone. “Al sistema educativo nel suo complesso, dalla scuola dell’infanzia all’università, è affidato il difficile compito di preparare le nuove generazioni a gestire e non subire il cambiamento tecnologico: formare donne e uomini artefici del proprio destino”. Qui il documento inizia a introdurre il concetto di “homo faber” che è la chiave di volta della visione confindustriale. “Il sapere, scrive viale dell’Astronomia il saper fare, il saper essere insiti nelle risorse umane, combinati insieme, influiscono positivamente sulla produttività del lavoro a livello di singola azienda e, per aggregazioni successive, innalzano il potenziale di crescita del sistema nel suo complesso”. Purtroppo, o per fortuna, quello dell’uomo artefice unico del proprio destino è concetto già da tempo sconfessato e accantonato dalla storia. Si insiste molto sull’attribuzione alla scuola del compito di dotare gli studenti non meglio precisate “competenze digitali”. Vale qui forse la pena ricordare quanto disse anni fa il co fondatore di Microsoft Paul Allen: “mettere bambini di 6 anni davanti ad un computer non serve a nulla. La scuola deve insegnare a pensare. Se riesce in questo un computer si impara ad usare in due settimane”. C’è un vago richiamo all’importanza della creatività in un’epoca di robotizzazione. Ma non in quanto valore in sé, tutto è infatti declinato in funzione della sua resa produttiva.

Una strana idea di sanità Finita, per ovvie ragione di decenza, la stagione della richiesta di tagli senza se e senza ma Confindustria adotta una nuova strategia per quanto riguarda gli interventi sul nostro sistema sanitario nazionale. Si chiedono più soldi, si ribadisce l’opportunità di accedere ai fondi europei del Mes. E poi si aggiunge: “è necessario misurare gli effetti delle politiche sanitare in base al loro impatto sulla struttura industriale (occupazione e produzione) e sulla capacità di attrarre investimenti (…) Occorre valutare le prestazioni, non solo in base al costo, ma anche al rendimento, quindi ai risultati generati, che nel caso della sanità sono di natura clinica, scientifica, sociale, ma anche economica. Abbandonare modelli di gestione che non tengono conto delle forti interazioni nei percorsi di cura e determinano costi molto elevati per le imprese, a danno dell’innovazione e della sostenibilità industriale”. Un giro di parole per dire, in modo accattivante, che le prestazioni sanitarie e l’offerta ospedaliere deve essere gestita in base a criteri di ritorno economico più che guardare a quelle che sono le reali esigenze della popolazione. Il piatto della sanità è talmente ricco (oltre centro miliardi di euro l’anno) che la voglia di banchettare è tanta. E quindi si chiede di sviluppare assicurazioni private e cliniche private. Con il duplice risultato di ridurre il carico di welfare in capo alla contribuzione aziendale e spostare risorse dal pubblico verso l’imprenditoria privata. Scrive Confindustria: “Sul fronte della sanità integrativa, lo sviluppo del settore – ormai divenuta fenomeno di massa soprattutto nel mondo del lavoro dipendente – è essenziale per “organizzare” la spesa sanitaria privata in modo più efficiente e per diffondere nella popolazione la cultura della previdenza sanitaria che consenta ai cittadini di tutelarsi per le spese sanitarie, evitando di essere finanziariamente colpiti nel momento dell’emersione del bisogno sanitario”. Pur riconoscendo a parole i meriti del modello di Welfare europeo, si pianta quindi un seme per tendere verso il modello Usa. Perché “in vista dell’invecchiamento della popolazione l’assistenza sanitaria dev’essere sostenibile”

E poiché la sanità non sarà più solo pubblica, le prestazioni sanitarie entrano a far parte della merce di scambio tra imprese e lavoratore, a scapito della retribuzione. Esattamente la linea che Confindustria sta seguendo nei rinnovi contrattuali di questi giorni: niente aumenti in busta paga ma pacchetti di welfare. Il documento spiega: “La contrattazione, dunque, si svolgerà sempre più su tematiche che non atteranno puramente e semplicemente alla determinazione dei valori salariali da corrispondere tempo per tempo ai lavoratori ma si articolerà sugli interventi, anche e soprattutto, di welfare aziendale, che costituiranno, in prospettiva, forme di “copertura” sempre più ampia per i lavoratori: dalla sanità alla previdenza integrativa, già diffuse nella contrattazione, alla garanzie relative alla non autosufficienza, al concorso alle spese per l’istruzione e la formazione, per il lavoratore e il suo nucleo familiare, fino ai servizi alla persona in senso lato”. L’operazione è ingegnosa. Quello che prima era fornito a tutti (sanità, pensioni decenti, scuole di buon livello) e pagato con la fiscalità generale ora ce lo “vendono” le aziende e ce lo fanno pagare in forma di mancati aumenti di stipendio.


Confindustria auspica poi anche una riflessione sul rapporto tra Stato e mercato. Infatti, “la crisi innescata dalla pandemia ha accentuato una tendenza già in atto presso la classe politica e l’opinione pubblica, vale a dire prospettare e richiedere forme di intervento pubblico più intense nel sistema economico”. Questa visibile mano pubblica tesa alla imprese a Confindustria può stare anche bene (“non siamo pregiudizionalmente contrari”) ma ad alcune condizioni “E’ imprescindibile il carattere temporaneo dell’intervento dello Stato, la cui permanenza e la cui uscita dagli assetti proprietari dovrebbe essere corredata da cautele che, da un lato, non compromettano le dinamiche concorrenziali e, dall’altro, consentano di assicurare una seppur limitata profittabilità dell’investimento pubblico”. Traduzione: va bene entrare nelle nostre aziende ma una volta che le avete risanate ce le ridate.

 
 
 

Covid, no mask e tanta sfiga: più che un anno funesto, a me sembra proprio un anno di m****

Post n°4601 pubblicato il 20 Ottobre 2020 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano Francesca Petretto Società - 19 Ottobre 2020

 

Tutto è cominciato con la quarantena e Barbara D’Urso che insegnava al Paese come lavarsi le mani, poi i virologi sono diventati le nuove star della tv rispedendo gli chef in cucina a fare tutorial su come fare una pizza a regola d’arte. Nel frattempo, nascevano piazze di spaccio di lievito di birra e di Amuchina in tutta Italia e il saturimetro diventava l’oggetto più ricercato su Amazon.

In tutto questo, il miglior Presidente del Consiglio che poteva capitarci in questo frangente subisce due attacchi incrociati: da una parte c’è chi vorrebbe riempirlo di botte e dall’altra c’è chi due botte se le farebbe dare volentieri da lui. Il tempo non è più scandito in giorni o mesi, ma in fasi e ondate. L’occasione però è ideale per imparare un po’ di inglese e infatti il nostro vocabolario si arricchisce di termini come: lockdown, droplet, termoscanner, smart working, Covid burnout.

Insomma, ce lo avevano detto o no che saremo stati migliori dopo tutto sto casino? Siamo persino diventati esperti in microbiologia e virologia applicata, attraverso corsi disponibili solo sulle migliori pagine e profili Facebook. Intanto, una minaccia ben più grave del Covid-19 incombeva sulle nostre quarantene fiduciarie: i “negazionisti”, detti anche “no mask”. Esseri umani apparentemente simili a noi, dotati di braccia e gambe, persino di occhi, orecchie e bocca, ma con cervelli sottosviluppati e sindrome del complotto aggravata. Scie chimiche, 5G, dittatura sanitaria, acidosi, terra piatta, no vax, “non ce n’è coviddi” sono solo alcuni dei concetti base delle loro teorie, supportate con grande rigore scientifico da Angela da Mondello (ora pentita), Enrico Montesano, Miguel Bosè e tanti altri esperti del settore.

La seconda ondata è caratterizzata, oltre che da un considerevole aumento dei contagi, anche da un notevole aumento della sfiga che coinvolge la città di Roma, la quale si trova a fronteggiare due candidature a sindaco da teatro dell’assurdo: quella di Massimo Giletti e quella di Vittorio Sgarbi, quest’ultimo probabilmente colto da demenza senile aggravata, a sua volta propone Morgan come sindaco di Milano (la sfiga mica poteva toccare solo a Roma!).

Più che di anno funesto, qui si parla proprio di un anno di merda!

Caro Babbo Natale, quest’anno desidererei tanto un potente e super efficace vaccino… contro l’imbecillità. Tua, Francesca-

 

 
 
 

Coronavirus, la salvezza del corpo è la nuova religione e i medici i suoi pastori

Post n°4600 pubblicato il 15 Ottobre 2020 da ninograg1
 

Fonte: Il Fatto Quotidiano  Società - 14 Ottobre 2020 Diego Fusaro

L’Occidente non crede più in nulla già da tempo. Almeno da quando “l’ospite più inquietante”, il nichilismo, si è insinuato nei suoi spazi, occupandoli integalmente e senza zone franche. Niente più valori e ideali, niente più dèi e idee eterne: tutto è precipitato nell’abisso, svalorizzandosi. Nichilismo, ci ha insegnato Nietzsche, è il processo di trasvalutazione di tutti i valori, al termine del quale non resta più, letteralmente, nulla. O, più precisamente, resta il nulla come unico valore superstite.

Per ciò stesso, rimangono ora inevase le domande più importanti, quelle sui fondamenti, alle quali l’Occidente aveva variamente provato a rispondere: perché? A che scopo? Verso dove? In balia del tecnonichilismo e dell’ombra del nulla che si estende senza lasciare alcunché fuori dal proprio campo, resta un unico punto fermo per l’uomo occidentale, un unico, estremo valore, condiviso con gli altri animali e, propriamente, neppure inquadrabile in quanto tale in quella sfera, sempre a suo modo ideale, dei valori: tale valore è la vita o, se si preferisce, la mera sopravvivenza del proprio corpo individuale. Il conatus sese servandi, come anche lo appella Spinoza.

Per l’Occidente, che già da tempo non crede più nell’anima e nel suo destino, resta solo la nuda materialità del corpo come punto di riferimento, come valore immanente a cui aggrapparsi, trasfigurandolo in valore sommo nonché esclusivo. Per secoli, come sappiamo, la Chiesa si era occupata della salvezza delle anime, premurandosi di operare affinché esse, anziché perdersi, si salvassero nell’eterna beatitudine e ascendessero al regno dei cieli. Perché ciò potesse realizzarsi con successo, era richiesta la tecnica che Foucault, in più luoghi, chiama “pastorale”: il pastore come salvatore di anime doveva controllare sempre e ovunque il suo gregge, ogni suo singolo membro.

Doveva, mediante la pratica della confessione, sapere cosa pensassero e come agissero, cosa desiderassero e che peccati commettessero le sue “pecore”. Ora, l’Occidente già da tempo ha abbandonato la sua figura storica della Chiesa: ove essa ancora esista, svolge un ruolo marginale, non più da protagonista, assai spesso – diceva senza troppe perifrasi Andrea Emo – da “cortigiana”. Ultimamente l’Occidente scristianizzato e abitato dal nichilismo si è consegnato a un’inedita figura: quella della Chiesa medico-scientifica.

Essa non promette di salvare le anime, in cui più nessuno crede, ma i corpi, che sono la sola cosa in cui tutti ormai credono: promette, cioè, di garantire la sopravvivenza fisica nel tempo della “valle di lacrime” della pandemia e del nuovo ordine terapeutico. Ne scaturisce una paradossale soteriologia materialistica, che altro scopo non ha se non quello di garantire la salvezza dei corpi in questo mondo, la loro sopravvivenza. La salvezza trascendente che la Chiesa prometteva per le anime viene promessa dalla scienza medica per i corpi, in forma rigorosamente immanentizzata.

Anche per la buona riuscita di questa operazione, v’è comunque bisogno di un pastore, per quanto diverso da quello a cui si affidava la Chiesa: un pastore – il medico, l’esperto, lo scienziato – che ai vecchi simboli, formule e riti ne sostituisce di nuovi. Egli soltanto, con il suo rapporto asimmetrico rispetto al “gregge” e alla sua eventuale immunità, come per curiosa analogia la si appella, detiene un sapere privilegiato, in grado di produrre la salvezza dei corpi e di garantire che, se al sapere da lui diffuso ci si attiene, si può vincere sul male sempre in agguato. È anche questa, come quella della Chiesa contro il demonio, una lotta contro un nemico invisibile e malefico, che l’uomo comune, a differenza del sacerdote, non sa riconoscere e da cui, anzi, facilmente si lascia ingannare.

Come il demonio assume spesso le sembianze dell’uomo onesto, facendosi indistinguibile e confondendo, così il nuovo nemico invisibile, e non di meno puramente e rigorosamente materiale, si occulta in chi – l’“asintomatico” – appare come tutti gli altri del gregge. Anche quella della scienza medica è una battaglia sacra contro un principio maligno, che può intaccare la cosa più preziosa, il corpo, negandogli la salvezza e corrompendolo. La massa profana, il nuovo gregge da salvare, non ne sa nulla: e deve solo, con fede e osservanza, affidarsi alle cure del pastore, confidandogli tutto, lasciandosi controllare nei gesti e nelle movenze, nelle operazioni e anche nei pensieri.

Ne va, appunto, della sopravvivenza del corpo, cioè dell’unica cosa in cui ancora si creda. La sola cosa in nome della quale si sia pronti a sacrificare tutto: comprese, ovviamente, quelle realtà – la libertà, in primis – in cui, prima dell’avvento del nichilismo tecnoscientifico, si era pronti a sacrificare la vita. Proprio in ciò si misura il mutamento radicale: il corpo come mera vita, come semplice sopravvivenza, ossia ciò che un tempo si era pronti a sacrificare per realtà valoriali giudicate più alte, per ideali ritenuti più nobili, è oggi innalzato esso stesso a sola realtà a cui ogni ideale possa essere sacrificato.

La stessa Chiesa, che sempre più sembra solo sopravvivere a se stessa, si è convertita alla nuova religione materialistica della scienza medica: a tal punto da abbandonare ogni anelito di trascendenza, ogni slancio di ulteriorità sovrasensibile: così si spiega il transito da Francesco da Assisi, che abbraccia i lebbrosi, e da Carlo Borromeo, che comunica gli appestati, all’odierno pontefice, che annulla i suoi viaggi pastorali per via del Coronavirus e accetta, con colpevole silenzio, la proibizione delle funzioni religiose per ragioni sanitarie.

È la resa senza resistenza della vecchia Chiesa, quella della salvezza delle anime, alla nuova, quella della salvezza dei corpi.

 

 

 
 
 

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NON LASCIAMOCISOLI & CHE

O siamo Capaci di sconfiggere le idee contrarie con la discussione, O DOBBIAMO lasciarle esprimere. Non è possibile sconfiggere le idee con la forza,perchè questo blocca il libero Sviluppo dell'intelligenza "
Ernesto Che Guevara
  

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