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Messaggi di Novembre 2017

Alessandro Di Battista non ne poteva più, ma per il M5s è un disastro

Post n°4119 pubblicato il 22 Novembre 2017 da ninograg1
 

di | 22 novembre 2017  Il Fatto Quotidiano

La decisione di Alessandro Di Battista di non ricandidarsi nel 2018 può stupire solo chi non lo conosce. In realtà era una scelta prevedibilissima. Quasi scontata. I retroscena, che lo vogliono in rottura con Luigi Di Maio o refrattario al ruolo di “secondo”, sono deliranti. Molto semplicemente, Di Battista è uno che ama godersi la vita. E il godersela non può andare di passo con (direbbe lui) “la vita nel Palazzo”. Ho conosciuto Di Battista ad aprile 2013. Siamo diventati amici e ciò ha fatto sì che l’uno vedesse in diretta l’altro mentre gli cambiava la vita. A lui più che a me. Di Battista tutto sogna nella vita, tranne fare il sindaco di Roma o il presidente del Consiglio.

Credo che preferirebbe una detartrasi praticata senza anestesia da Sandro Gozi col trinciante. Molti fan lo immaginano vivere di politica. Macché: Di Battista si è ritrovato a fare politica. Attenzione: non sto dicendo che non si senta parte di una battaglia, di un progetto, di un cambiamento. Tutt’altro. Alludo, adesso, a ciò che gli esperti chiamano politique politicienne. La “politica da professionisti”: quella è proprio una cosa che odia. Lo annoia oltremodo, e non posso certo dargli torto. Ha svolto al meglio delle sue forze il ruolo di deputato, ma non vedeva l’ora che finisse. Lo aveva detto proprio a me nel 2014, durante una puntata di Reputescion: “Se la legislatura dura fino alla fine, non mi ricandido”. Appunto. E’ uomo di parola. Di Battista non è un disimpegnato e ora che è padre – variabile felice che ha accelerato una decisione già presa – non si rifugerà nella casa in collina.

L'intero articolo sul Fatto

 

 
 
 

Ucraina 2014: “cecchini di Maidan pagati dagli Usa e pro-Europa”

Post n°4118 pubblicato il 21 Novembre 2017 da ninograg1
 

21 novembre 2017, di Alberto Battaglia  

Fonte: WSI

L’inchiesta di un giornalista italiano indipendente, andata in onda su Matrix (Canale 5) alcuni giorni fa, asserisce di aver raccolto alcune testimonianze in grado di riscrivere la verità ufficiale su quanto avvenuto in Ucraina nel febbraio 2014, nel massacro di piazza Maidan che precedette di poche ore la fuga del presidente filorusso Viktor Janukovyč. Il reporter di guerra, Gian Micalessin, dopo “un anno” di ricerche ha rintracciato tre soggetti che affermano di esser stati parte del corpo a cui fu comandato di sparare, dai tetti, sulla folla di manifestanti pro-europei che cercava di esercitare pressioni su Janukovyč.

Chi avrebbe organizzato quest’operazione? Secondo questa ricostruzione, non i russi, ma alcuni loro noti oppositori. I soggetti in questione (tre georgiani, di cui due residenti in Macedonia, a Skopje, l’altro in un Paese dell’Est tenuto riservato) affermano di essere stati assoldati da uomini vicini alla rivolta contro Janukovyč, in particolare da uomini vicini all’ex presidente georgiano Saakashvili. Quest’ultimo, noto oppositore della Russia di Putin, sarebbe poi diventato fra il 2015 e il 2016, governatore della regione ucraina russofona dell ‘Oblast’ di Odessa (prima di perdere la cittadinanza ucraina). Le tre fonti parlano rendendo noto il loro nome e a volto scoperto, affermando di essersi recati in ucraina tramite passaporti falsi. La tesi sostenuta da Micalessin, come scritto in un post sul suo profilo Facebook è che “dietro la strage di dimostranti non c’erano gli uomini del presidente filo russo Janukovyč, ma i capi dell’opposizione appoggiata dall’Unione Europea”. Se la notizia fosse ulteriormente confermata, capovolgerebbe la tesi secondo la quale sono stati la polizia e i cecchini di Janukovyč ad aprire il fuoco contro l’opposizione, macchiandosi un delitto talmente grave da segnare per sempre la fine politica del leader filorusso. Uno dei tre intervistati, Alexander Revazishvilli, è un ex tiratore scelto dell’esercito georgiano protagonista della sparatoria di Maidan. Lui come gli altri due sarebbe stato reclutato da un uomo di fiducia dell’ex presidente georgiano, Mamuka Mamulashvili, un consigliere militare di Saakashvili che poi combatterà contro i filorussi nel Donbass, in seguito alla rivolta di Maidan. “Siamo partiti il 15 gennaio e sull’aereo ho ricevuto il mio passaporto e un altro con la mia foto, ma con nome e cognomi differenti. Poi ci hanno dato mille dollari a testa promettendo di darcene altri cinquemila più in là. (…) “Il nostro compito”, spiega Alexandeer, “era organizzare delle provocazioni per spingere la polizia a caricare la folla. Fino alla metà di febbraio però non c’erano molte armi in giro. Si utilizzavano al massimo le molotov, gli scudi e i bastoni”. Soltanto più tardi la squadra reclutata da Mamulashvili sarebbe stata dotata di armi, usate per sparare alla cieca sulla folla sottostante, dall’alto di alcuni edifici intorno alla piazza.

Rimandimo al video dell’inchiesta per ulteriori dettagli di una vicenda che, comunque, appare ancora da chiarire a fondo (è difficile verificare autonomamente le affermazioni fornite dai tre), resta che il presunto artefice della destabilizzazione del presidente Janukovyč, Saakashvili, si è recentemente lanciato in una campagna che dovrebbe sfidare la leadership ucraina, di cui un tempo era stato alleato. Cosi l’Associated Press, il 20 novembre:

In una nuova sfida alla leadership ucraina, il leader dell’opposizione Mikhail Saakashvili, ex presidente della Georgia, ha detto lunedì che l’Ucraina ha bisogno di un nuovo governo ed è pronto a guidarlo. L’affermazione di Saakashvili, ex alleato del presidente ucraino Petro Poroshenko che ha messo in scena una serie di proteste contro di lui, arriva quando la nazione è alle prese con enormi problemi (…) Saakashvili, che si è dimesso nel 2016 un anno dopo che Poroshenko lo aveva nominato governatore della regione ucraina di Odessa, ha condotto proteste contro Poroshenko, accusandolo di stallo nelle riforme e della copertura della corruzione. Poroshenko ha revocato a Saakashvili la cittadinanza ucraina quest’anno, ma Saakashvili si è fatto strada attraverso il confine con la Polonia a settembre”.

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in realtà questa notizia era già passata ma non sui media ufficiali tranne, se ricordo ben, il Fatto Quotidiano che pubblicò non solo documenti e foto ma pure una telefonata fra esponenti del governo lituano e alcuni rappresentanti UE nel quale si evidenziava chiaramente che tutti ne erano a conoscenza. L'obiettivo quindi era eliminare l'influenza russa e il, ritenuto, filo-russo Presidente regolarmente eletto!!! Dovremmo sempre fare attenzione a quanto ci viene raccontato, sempre.. perchè sempre più spesso quel che, ingenuamente, crediamo i buoni troppo spesso si rivelano i peggiori dei peggiori!!!

 
 
 

Black Friday (o Black November): sconti ma anche truffe. Come difendersi

Post n°4117 pubblicato il 20 Novembre 2017 da ninograg1
 


Il Black Friday si avvicina. Il 24 novembre è il giorno più atteso dai fanatici dello shopping e non solo. Come da tradizione rigorosamente importata dagli Stati Uniti, in quel giorno moltissimi negozi reali e virtuali faranno sconti da periodo di saldi. Anche se ormai più che di Black Friday si dovrebbe parlare di Black November.

Sarà la crisi che non passa, sarà la competizione tra rivenditori anche online, fatto sta che sono molti i commercianti che hanno iniziato a praticare prezzi ribassati da giorni. Qualcuno li chiama “mid season sales”, ma il risultato è sempre lo stesso: sconti per chi vuole comprare. Ikea, per esempio, ha lanciato i “black days”, la piattaforma online ePrice la “black hour”.

E coloro che vogliono comprare sono molti soprattutto in questo periodo che precede il Natale: tra regali e cambio di stagione gli acquisti da fare possono essere molti. Ma se le offerte non mancano, bisogna stare attenti alle truffe, come sottolinea il Sole 24 Ore:
i giorni del Black Friday e del Cyber Monday, infatti, sono molto propizi per le truffe online, con un aumento considerevole soprattutto del phishing (il metodo delle mail esca con link fasulli).

Per proteggersi dalle truffe gli esperti di Kaspersky Lab consigliano di prendere le seguenti precauzioni:

  • non cliccare su alcun link ricevuto da persone sconosciute o su link sospetti inviati da amici sui social network o via email. Potrebbe trattarsi di link nocivi, appositamente creati per scaricare malware sui dispositivi o per rimandare a pagine di phishing che mirano a rubare le credenziali degli utenti;
  • non inserire i dettagli della carta di credito su siti sconosciuti o sospetti, per evitare di farli cadere nelle mani dei cyber criminali. Se questi siti offrono offerte vantaggiose che sembrano troppo buone per essere vere, probabilmente appartengono ai criminali;
  • controllare sempre che il sito sia autentico prima di inserire le proprie credenziali o informazioni personali (è meglio controllare almeno l’url). I siti fasulli potrebbero sembrare proprio come quelli autentici; installare una soluzione di sicurezza sui propri dispositivi, con tecnologie integrate progettate per prevenire le frodi finanziarie.

 

 
 
 

Vault 8/ Hive, la CIA impersonava Kaspersky

Post n°4116 pubblicato il 19 Novembre 2017 da ninograg1
 

Nel precedente post che parlava, a opera del Dr. Repetto, della violazione diffusa e continuata di Anonymous dei server pubblici italiani... ho notato che nessuno dei commentatori si poneva la domanda più logica: come mai è stato così facile? In altre parole: quasi tutti se la prendevano con anonymous, anche con dietrologismi, ma nessuno si chiede come e perché per loro è stato così facile.... ecco un altro caso.

::::::::::::::::::::::::::::::::::::::

 

di Elia Tufarolo

Fonte: Punto Informatico


Roma - Nei giorni scorsi WikiLeaks ha creato una nuova serie di pubblicazioni, Vault 8, dedicate a materiale classificato di proprietà della CIA. All'interno di Vault 8 saranno pubblicati esclusivamente i codici sorgenti relativi ai prodotti e alle soluzioni già rilasciate dall'organizzazione attraverso la serie Vault 7.

La prima di queste pubblicazioni rivela per l'appunto il codice sorgente di Hive, l'infrastruttura di command-and-control di cui WikiLeaks aveva pubblicato diversi manuali qualche mese fa.

Hive è una piattaforma di comunicazione che veniva utilizzata dalla CIA in modo da avere un canale di comunicazione tra gli operatori dell'agenzia e i malware installati sui computer bersaglio delle operazioni. Il duplice scopo del canale sicuro fornito da Hive era quello di inviare comandi e di esfiltrare dati.

Il funzionamento di Hive è il seguente: i malware comunicano in HTTPS con dei server nascosti della CIA, chiamati Blot: come tramite della comunicazione vengono utilizzati dei server VPS, appositamente anonimizzati con l'utilizzo di domini di copertura; tra i server VPS e i server Blot vi sono una serie di connessioni VPN.

I server Blot utilizzano la non comune opzione del protocollo HTTPS "Optional Client Authentication", in modo da ingannare gli eventuali utenti che stiano visitando i domini registrati dalle VPS, dirigendo il loro traffico Internet su dei server di copertura che contengono dati non sensibili; i malware, invece, effettuano la loro autenticazione per mezzo di un certificato e il loro traffico viene direzionato su un gateway di gestione chiamato Honeycomb.

Tuttavia, la notizia più significativa relativa a questo ennesimo leak riguarda uno dei certificati utilizzati dalla CIA per operazioni di questo tipo: un "fake" registrato a nome di Kaspersky Lab e firmato dalla certificate authority sudafricana Thawte Premium Services.

Eugene Kaspersky, CEO e fondatore di Kaspersky Lab, ha recentemente dichiarato su Twitter di non avere niente a che fare con il suddetto certificato.



In conclusione, WikiLeaks dichiara che i contenuti relativi alla serie Vault 8 non conterranno vulnerabilità di tipo 0-day; per quanto riguarda Hive è possibile scaricare il repository git, su cui sono disponibili diversi branch e la history dei commit.

Elia Tufarolo

Fonte Immagine

 

 

 
 
 

Governo, Interno e Difesa: così Anonymous ha compromesso la sicurezza del Paese

Post n°4115 pubblicato il 16 Novembre 2017 da ninograg1
 

di | 15 novembre 2017  Il Fatto Quotidiano

Dopo la Svezia, Anonymous. Eh no, non si fa così. Alla cocente mortificazione sul campo di calcio, segue lo smacco alla sicurezza cibernetica del Paese.

Incuranti delle centinaia di convegni in cui si affilano le chiacchiere a protezione di infrastrutture critiche, archivi segreti e dati riservati, gli hacker di Anonymous hanno umiliato gli immarcescibili guru della cybersecurity e saccheggiato i forzieri digitali della presidenza del Consiglio e di vari Ministeri.

Forse approfittando della circostanza che tutti gli esperti erano impegnati a preparare slide per il prossimo workshop o intenti in un copia-e-incolla di cose che non sapevano, i pirati informatici si sono scaricati un quantitativo imprecisato di informazioni personali relative a personale in servizio nelle Forze armate e di Polizia o a Palazzo Chigi (e qui magari pure nelle dependance delle “barbe finte”). L’arrembaggio – compiuto “per il diritto alla democrazia e della dignità dei popoli” – avrebbe consentito il download dei contratti di consulenti ed esperti e degli stipendi dei dipendenti in uniforme e non, dei riferimenti ai più diversi documenti di identità, degli indirizzi email e dei telefoni, dei numeri di targa e di chissà cosa altro.

Il “leaking”, ovvero la sottrazione di dati da sistemi gestionali e database, non avrebbe una data precisa e potrebbe essere avvenuto gradualmente. L’unica constatazione che non può essere messa in dubbio è la permeabilità dell’architettura tecnologica dei più importanti organismi vitali della macchina pubblica nazionale. Poco importa se lo scippo è stato fulmineo o se i banditi hanno proceduto lento pede così da non dare nell’occhio. Il fatto più avvilente è che si scoprano queste cose solo dopo che il “nemico” ha esposto le sue prede al ludibrio collettivo.

E’ quindi fin troppo legittimo pensare ci siano state altre e chissà quante occasioni in cui nessuno ha sbandierato le proprie prodezze e che invece abbiano gravemente compromesso la sicurezza del Paese. I fatti – e non i proclami alla “Vincere, e vinceremo” – parlano chiaro ed evidenziano l’infimo livello nel contrasto alla minaccia cibernetica. La situazione sul fronte digitale è oggettivamente critica ed è purtroppo lo specchio del contesto politico.

La citazione di Platone pubblicata da Anonymous nell’ostentazione della malefatta cova presentimenti atavici. Quel “La gente si separa da coloro cui fa la colpa di averla condotta a tale disastro”, ad esempio, ci costringe a riflettere sullo sbalorditivo astensionismo in Sicilia e sulla inarrestabile scissione tra cittadini e rappresentanti nelle sedi istituzionali.

Ci si augura che le parole del filosofo greco si avverino solo per metà. “Così la democrazia muore: per abuso di se stessa. E prima che nel sangue, nel ridicolo” scriveva Platone nella sua Repubblica. L’auspicio è che non si arrivi ad episodi cruenti. La certezza è che il “ridicolo” – almeno nella cybersecurity – è quotidianoQualche novità è in cantiere nel disegno di legge n. 2960 ovvero nella legge di bilancio 2018.

All’articolo 35 già si prospetta una “fondazione di diritto privato” costituita dal Dipartimento delle informazioni per la sicurezza con la partecipazione di enti ed amministrazioni pubbliche e soggetti privati. Vedremo a chi sarà affidato il timone e quale ne sarà la ciurma. Senza aspettarci miracoli.

Nel frattempo, oltre a quelle di Carlo Tavecchio e Gian Piero Ventura, sarebbe bello poter vedere le dimissioni di trainer e player della cybesecurity (tre parole anglofone nelle ultime cinque digitate mi fanno capire che sono sulla buona strada) che continuano a giocare contro una immaginaria Svezia dell’altro giorno o – a voler esser vintage a tutti i costi – contro l’indimenticabile Pak Doo Ik della Corea ai Mondiali del 66.

di | 15 novembre 2017

 
 
 

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