Kremuzio

Uomini o caporali in fila?


Mi sono accorto, che in ogni luogo pubblico in cui si fa una fila, c’è paura, una enorme paura, che percepisci e tagli col coltello per quanto sia tangibile: la paura di stare nella fila sbagliata. Ed è sempre più forte col tempo che passa in coda. Per dei lunghissimi minuti stai lì in piedi a scrutare la nuca di chi ti precede, se è alto come o più di te, o i capelli sulla sommità della testa, con relativa forfora e ricrescita, se sono più bassi. Ma analizziamo perché… è probabile che tutto nasca per una mancanza di organizzazione della struttura. Ad esempio ieri vado in un ambulatorio per fare delle ecografie, e già entro con il passo affrettato per strappare il numeretto e sperare che uno non te lo soffi da sotto il naso. Sempre che tu lo veda, dato che tutte le centinaia di persone che hanno preso il pezzetto di carta prima di te nelle ore precedenti, non le prendi in considerazione.Ahimè, la macchina distributrice non funziona. E questo vuol dire semplicemente il caos. Non siamo più abituati a controllare i nostri impulsi omicidi senza numeretti, ed ogni persona che si avvicina al nostro fianco è un possibile sorpassatore. Chi è il primo? Chi è l’ultimo? Io sto prima di lei e vengo dopo il signore… Posso andare a mettermi seduta che sono tanto stanca? Tanto sto prima/dopo di lei…Però la soluzione c’è sempre, dato che chi lavora in questi uffici non vuol venire, giustamente, disturbato per dare informazioni logistiche ai chi non capisce l’andazzo. Magari si tratta di cartelli seminascosti, scritti a penna sottile con inchiostro sbiadito azzurrino, nei quali oltre ad un po’ di avverbi si intuisce che invece di fare la fila qua, va fatta là. Infatti c’era un cartello che diceva che l’accettazione per le ecografie andava cercata allo sportello 7. Vado allo sportello 7, ma non c’è fila. Il rimbambito che è in me fa un semplice calcolo: niente fila=sportello sbagliato. Torno indietro e all’accettazione all’ingresso mi accodo ad una decina di vecchiette. Già il fatto che non ci sia scritto “cassa” confonde la maggior parte delle persone che devono pagare il ticket. Ma vedo che laggiù c’è una signora con l’impegnativa che sta pagando, per cui capisco che è la fila giusta. Però un momento, vedo altra gente che legge il cartello e va speditamente verso lo sportello 7. Mi viene il pathos da fila sbagliata più la sindrome della pecorella smarrita, e rincorro quegli altri che mi sembrano più svegli o hanno più esperienza. Rieccomi allo sportello 7. Ora ci sono 2 persone in fila. Porco qua e porco là. Stanno pagando per le ecografie. Faccio la fila, fortunatamente piccola. Quando tocca a me mi si affianca un signore che non vuole passare avanti ma chiedere un’informazione. Le signore dietro di me scalpitano alzando la voce. Al gentile signore spiego che sì, questo è lo sportello giusto, ma non si fida di me. Vuole sentirselo dire dalla cassiera. Insisto col pensare che se scrivessero CASSA sullo sportello, la pressione salirebbe di meno. Pago e vado. Un paio di signore mi chiedono se questo è lo sportello giusto. Dico “dipende” ma loro si preoccupano, sbiancano e non rispondono. Vado verso l’altra fila, quella che mi porterà alla visita vera e propria. Mi siedo cominciandomi a preoccupare se il litro d’acqua che ho bevuto quasi un’ora prima comincerà a farmi innervosire. Mi metto comodo e guardo la gente che passa. Ogni persona col camice bianco viene bloccata per domande. Queste si arrabbiano e dicono che devono andare al reparto e non possono perdere tempo a dare informazioni. Le signore anziane sono nervosissime, specie se sono accompagnate dalle signore figlie che sembrano ancora più nervose ed isteriche. Probabilmente perché non possono fumare. Discutono ad alta voce delle figlie, dei figli e dei fidanzati/e relativi/e. Stanno tutte preparando un buon pranzo per domenica prossima quando verrà anche il genero o la nuora del cugino. Mi chiedono se sto in fila e si arrabbiano in silenzio quando rispondo di sì. Vogliono passare avanti. Una si finge malatissima. È la più nervosa, si spoglia e si riveste, suda e si siede e si rialza. Non mi chiede niente ma quando si apre la porta, al mio turno, si infila dicendo che si sente male. La dottoressa mi chiede se la posso far passare avanti. Faccio lo splendido anche se la vescica urla e schiuma di rabbia come un attacco degli indiani. Comunque faccio in tempo a far tutto, visita ecografica e poi via di corsa in bagno tramutando il mio urlo di dolore in urlo di goduria, alla fine della fantastica minzione. Esco ed un vecchietto mi chiede se quello è il bagno. “Spero di sì” gli dico andando via. Le file sono ancora lunghe, e qualche signora cerca di passare avanti per chiedere informazioni. Mentre sto uscendo, entra uno vestito da gerarca fascista. Siamo uomini o caporali?http://www.youtube.com/watch?v=qbHXHGOd9xM&