Kremuzio

Du iu laik dippàrpol?


Probabilmente così sgrammaticata, sembrava essere la richiesta tipicamente interrogativa fatta per rompere il ghiaccio con la comitiva di americane in quell’ostello a Londra. Tanti anni fa, quando Carnaby Street era Carnaby Street. La gita scolastica con la mia prima volta in aereo, scassato e fetido charter Fokker, che mi ricordava le battaglie aeree del barone rosso. L’arrivo in quella nordica capitale piena di gente strana con le bombette e gli ombrelli satura di odori cipollati e colori a malapena sgargianti al di fuori delle vetrine dei negozietti alla moda, fu vociante ma timido al tempo stesso. Mi faceva pensare alle atmosfere di "Quadrophenia" degli WhoI letti a castello erano coperti da lenzuola grigiastre e coperte viola cariche di macchie di sicura origine fisiologica sulle quali sarebbe stato meglio non indagare. Che anni erano? Diciamo intorno al 1975. Sia perché erano gli ultimi anni del liceo sia perché l’atmosfera era frizzante. Cosa non facemmo per non farci notare? Da bravi italiani non lesinammo una bella partita a pallone in mezzo a Regent’s Park prima tra noi e poi con i nativi del luogo, improvvisando una sfida epica senza esclusione di colpi contro  i perfidi albionici. Che poi noi trattavamo da esseri inferiori per diverse ragioni, tutte incontrate nelle mura del ricovero cittadino. A cominciare dal fatto che non ci fossero i bidet nei bagni. Non perché noi li usassimo… anzi, al massimo potevamo metterci a lavare i piedi uno per uno quando puzzavano troppo, ma l’idea che potevano essere meno ipocriti e risparmiare sui sanitari ci sembrava troppo rivoluzionaria. Anche perché mancavano di quei rassicuranti rotoli di carta igienica che ci potevano far sentire a casa per la morbidezza ed il profumo di coriandoli. Ricordo benissimo quel contenitore pieno di fogli di carta oleata, o che sembravano tali. La cosa mi mise una pulce nell’orecchio che mi mantengo ancora oggi. L’interrogativo era il seguente: Ma davvero in Inghilterra usavano quegli scomodi e scivolosissimi ritagli cartacei utili per incartare la mortadella e non per detergere le terga? A volte mi viene in mente che si sia trattato di uno scherzo ben congeniato verso noialtri ragazzetti del sudeuropa. Ci vuole poco per turbarci. Ma mi vendicai come mia abitudine indicando al gestore come avesse scritto male alcune parole inglesi sui cartelli affissi nella hall. Sono fatto così, se vedo un errore di ortografia negli scritti altrui mi suona un campanellino nella testa.E cosa dire delle cene a base di patate lesse e cocce di piselli? Ma lasciamo perdere, tanto ci riempivamo lo stomaco di uova e pancetta in quelle tremende colazioni.Un bel momento, oltre lo shopping nelle strade che videro i Beatles, fu quello della partecipazione al musical “Jesus Christ Superstar”. Splendide atmosfere in un bel teatro, con le compagne che cantavano a squarciagola conoscendo a memoria le parole dell’opera. Noialtri maschi non vedevamo l’ora di farci una partita notturna ed anche qualche scherzo alle ragazze una volta tornati alla base.Ma l’ultimo giorno ci fu la sorpresa di trovarci in sala mangiatoria un gruppo di americane niente male agli occhi assatanati di noi, in preda all’ormone vacanziero e quindi soggetti a seguire ogni movimento di bionde d’oltreconfine. Ma come attaccare bottone col nostro vetusto linguaggio figlio dell’Alighieri? Così buttati in terra su laceri tappeti e miseri pouff, intorno al solito sfigato che era stato costretto a portarsi ovunque la chitarra Eko, ma proprio dappertutto, con sottofondo di giri di DO, Battisti e Beatles, ebbi l’accortezza di chiedere ad una promettente biondina dai capelli lunghi e lisci, che sembrava uscita da un fumetto dei Freak Brothers: “Du iu laik dippàrpol?” al che lei esibendo la faccia più interrogativa che avessi mai visto, fece un “EEEEHHHH?” con la pronuncia del Minnesota. Ripetei un paio di volte “Dipparpol” e poi mi mise a cantare “Smokonteuoooter (enfaiarintescai)…”, e lei intelligentissima e spocchiosa “aaahhhh Diip Pòrpol!!!” con al posto delle “o” tutto un ribollir di tini con noi buzzurri dalla misera pronuncia ad immaginare quella lingua arrotolata muoversi sinuosa sul palato yankee. Il “mavaff” ci sembrò meritato come mai. Proprio noi che sapevamo che “debukisondzetebol” e nel caso proprio lei l’avesse perso l’avremmo trovato in pochi attimi.http://www.youtube.com/watch?v=3Zz1gOIxHPE