Kremuzio

Moebius


Io e Moebius abbiamo camminato insieme per un certo periodo di tempo. O meglio, lui era avanti, molto avanti, ed io lo seguivo molto dietro. Camminavo, anzi correvo, o meglio dormivo e sognavo sui suoi passi, a bordo di incredibili animali volanti, sopra distese vuote, aperte, ricche di monumenti giganteschi, frutti di antiche civiltà scomparse da milioni di anni. E saltavo da un universo all’altro, da una galassia all’altra, da un sole ad un pianeta, tutti pieni, ricoperti di vita, di esseri umanoidi silenziosi e pacifici, ma anche incazzati di vari colori, pronti a prendermi di mira con i loro archi e frecce, o con i loro disintegratori molecolari.
Ho subito abnormi mutazioni genetiche e mi sono trasformato in animali delle profondità dei mari, delle nuvole e delle sabbie, cambiato le mie fattezze in una specie di intreccio di tentacoli differenti, che si allungavano e pulsavano e vischiosi attiravano a sé animali insetti e piante.
Ho mangiato zuppe di funghi allucinogeni raccolti in miniere di sistemi planetari scomparsi, conservati da saggi cuochi che avrebbero preferito morire tra atroci tormenti piuttosto che rivelare le proprie ricette.
Sono stato Arzach, il Maggiore Grubert, John Difool, il fallico folle, ed anche il tenente Blueberry, da giovane. Ma ho visitato con la mente tutti quei mondi, volando, e non solo con la fantasia, e da oggi continuerò a farlo anche senza di lui, Jean Giraud, morto su questo universo, ma ben vivo in quell’altro dove continuerò a recarmi ogni volta ne avrò la voglia, in quello della fantasia che non ha regole, che non ha un continuo logico, come nei posti dove si svolgeva la storia del Garage ermetico, dove non esisteva sceneggiatura, e la non storia sembrava quasi ovvia nella sua surrealtà, nel suo lento dipanarsi in profondità a due dimensioni con una linea chiara, pulita, ma a tutto tondo per la forza rievocativa del tratto. Dove la luce esplodeva dal buio dietro spazi dilatati nell’angoscia di orizzonti lontanissimi. Ora so tutto sui generatori espansori ad effetto Gruber, sui  cablatori, le clavette, sul Bakalite, sul Nagul. Però mi chiederò sempre perché il garage dove Jerry Cornelius aveva rinchiuso i propri veicoli, si trasformò sotto l’azione dei tredici generatori espansi, con l’aiuto dei quali il maggiore fatale creò il suo mondo. Che fu anche il mio per mesi, tra una puntata e l’altra dell’assurdo universo narrato sulle pagine delle riviste di fumetti.
Molti non sanno che fu lui a creare la società di Blade Runner, a disegnare la parte terrestre di Alien (la parte aliena fu frutto di Giger), ad ideare il mondo di Dune (quello di Jodorowsky).
E’ morto un grandissimo artista, disegnatore e sognatore, creatore di mondi e di tecnologia, che ti permette di girare nel vuoto assoluto con un casco coloniale in testa, e se stai stretto sul tuo animale volante, puoi girare e visitare ed esplorare geografie da osservare dall’alto. Sono ancora Harzack, o Arzak, e non so ancora dove sto andando e perché. Ma non parlo, sono senza le parole, senza il fumetto, il balloon, nel falso universo silenzioso dove le parole sono pensate e sussurrate, dove i soli esplodono senza che nessuno se ne accorga, se non per il fatto che la pagina diventa nera.Studierò ancora a lungo le tue storie, le tue favole, le tue vignette, una per una. Lo so che racchiudono ognuna dei misteri che ad una lettura veloce rimangono nascosti. Non so quanto ci impiegherò ora che so che te ne sei andato e che non potrai aiutarmi, ma indicami la strada per volare ancora mille volte in sella a grassi animali volanti.