Kremuzio

E qualcosa rimane tra le pagine chiare…


 ...e le pagine scure.Sono rimaste alcune cose dopo 40 anni da quando Francesco de Gregori scrisse il suo migliore album, o almeno quello che l’ha reso famoso. Innanzitutto mi sono rimasti i ricordi di 40 anni, a partire da quella ragazza che mi prestò il disco prima che andassi a fare il militare. Si chiamava Simona. Non ricordo cosa le diedi in cambio, che non si prestavano dischi a quei tempi, si scambiavano per un prestito reciproco e temporaneo. Mi sa che le diedi un disco dei Genesis, forse.Forse ho consumato i solchi di quel disco che aveva la copertina a strisce, come una tappezzeria antica. Rimmel, album fresco come una pioggia di maggio ma anche caldo come un vento estivo pomeridiano. Pomeriggio passato a digerire con un magnetofono Castelli a batterie che conteneva la cassetta registrata con l’aiuto di un amico che aveva lo stereo compatto, dove bastava spingere un paio di tasti e registravi, anzi copiavi il disco. E dal portacassette che tenevi sotto il sedile della 500 usciva fuori per ascoltarlo quando occorreva. Ed occorreva ascoltarlo in quei pomeriggi stanchi tra una partita di ping pong ed sonnecchiamento sulla sdraio e due chiacchiere appiccicose della crema solare sporcata da troppi granelli di sabbia, sotto l’ombrellone affollato dal gruppo di amici.Ed una dopo l’altra, le parole delle canzoni le ascoltavamo e le ricantavamo a memoria, perfettamente intonati, o quasi, ma a tempo, senza sforzare la voce, quasi in sordina, perché ci entravano dentro, anche senza capire che cacchio volesse dire quell’ermetismo da fricchettoni radical chic, ben lontano dalle parole impegnate, che so, di un Claudio Lolli.Nonostante tutto, nonostante le discussioni su cosa volessero dire e le mille interpretazioni, tutte diverse tra loro, le ricantavamo la sera dopo la salsicciata sulla spiaggia. Attorno al fuoco che andava smorzandosi attorniato da noialtri seduti sulla sabbia umida o su asciugamani ammuffiti, a fare i soliti coretti con il sacrificato di turno che suonava con la chitarra EKO i soliti brani con i soliti giri di DO mentre noi si cercava di pomiciare il pomiciabile sotto gli influssi della birretta, della gazzosa e della Luna.Poi qualcuno cercava di convincere le più bellocce a fare il bagno nude, che tanto non le avrebbe viste nessuno, tutti insieme ci si buttava in acqua mentre il chitarrista continuava imperterrito a fare da colonna sonora della nottata. Fino all’alba. Poi quando compii 20 anni, imparai a mostrare una mano spiegando che nelle pieghe della mano avevo una linea che girava, e che era mia.Ora che ci penso mi sa che non ho più restituito il disco a Simona.