Kremuzio

L'onestà di una storia disonesta


 Stefano Rosso non aveva scritto molte canzoni, ma quelle poche sono rimaste nell’immaginario sociale di quelli che oggi sono di mezz’età. Per molti rimarrà colui che per primo mise la parola “spinello” in un testo. Per altri, come per me, fu il cantautore di un momento particolare del movimento del 77. Anni di piombo ma anche anni di poesia, di ottimismo verso il futuro, quello che oggi manca. Nella “storia disonesta” che gli riservò un posto nella storia, si descriveva una serata tra amici con “una chitarra uno spinello ed una ragazza giusta che ci sta". Quanti ricordi e quante sere buttati in terra su di un tappeto o una stuoia, o in bilico su di un pouf, con il narghilè che sbuca da qualche armadio, un pacchetto di camel morbide comprate di contrabbando a Napoli o in Turchia, una mela per rinfrescare ed aromatizzare il fumo, ed un pezzetto (un tocchetto) di “fumo”: un grumo verde scuro o, nel migliore dei casi, nero (il mitico “pakistano nero”, che non era un cappotone pesante, come qualcuno pensava). Quello più bravo cominciava a scaldare il tocchetto, poi rollava le cartine, lunghe o corte a seconda delle teorie ed esperienze personali; le leccava e trasformava in uno spino o un cannone. Poi, democraticamente si passava agli altri dopo che colui che aveva rollato, aveva avuto il diritto delle prime tirate e dell’esame che tutto andasse bene, il filtro fatto con un vecchio biglietto dell’autobus non doveva lasciar passare il tabacco e tantomeno le preziose bricioline. La chitarra veniva poggiata da una parte e messo sul piatto un lp a caso, ma rigidamente psichedelico: Pink Floyd… The dark side of the moon o, per i più sofisticati Ummagumma, Meedle o Atom earth mother…A volte si era in troppi, e da qui la “storia disonesta” di far finta di litigare e mandar via gli amici per rimanere soli con la ragazza ed il pakistano nero. Ricorda tanto quella scena di “Accattone” in cui per mangiare in pochi gli spaghetti si inscenano risse e rotture di amicizie con offese terrificanti, naturalmente con due d’accordo per spartirsi il piatto.E come vedere l’ottimismo di “se piove porteremo anche l’ombrello”? Sembra una facile rima, ma era la filosofia del tempo, l’hakuna matata mistico, figlio dello sticazzismo romano d’altri tempi, da non confondersi col menefreghismo del ventennio passato o del ventennio attuale, tristi periodi della storia patria.La sua discografia, scarna ed essenziale non è paragonabile a quella di altri cantautori, ma i suoi “…allora senti cosa fò”, “odio chi” e “Bologna 77” sono pezzi che si fanno ricordare dopo più di 30 anni.Stefano se n’è andato il 15 settembre, non dal trasteverino letto 26, ma da questo mondo in cui non si riconosceva più, a cui ha dato tanto, poesia, melodia, canzoni ironiche e di rottura, denunce e ribellioni, canzoni scanzonate e canzonatorie, romanesche nel loro intimo ma universali nella loro essenza. E’ facile dire che il mondo non gli abbia restituito tantissimo, a parte un nugolo di “compagni” che lo hanno amato per la sua calma, la sua voce riposante, la sua erre strana, la sua voglia di far capire che, dopotutto, ci vuole poco per star bene.