Kremuzio

Chi riparerà le bambole?


In via del Vantaggio c’è una scalinata. Chi la sale di notte ne avrà paura, tanto sembra uscita da un film di Dario Argento. Probabilmente alcuni giorni sarà sporca, si mischieranno odori di sugo, arrosto ed orina. Qualche topo sarà fuggito per nascondersi nello scarico di una grondaia. Ma molti ci passano per vedere la vetrina del vecchio laboratorio che ripara le vecchie bambole. Vende anche souvenir, guide dozzinali dell’Urbe, ma è un museo di vecchi giocattoli, una bottega artigiana che incuriosisce chi passa per caso e chi ci viene apposta, anche dall’estero.Ora hanno lo sfratto. Probabilmente al loro posto, dopo 80 anni di attività, ci metteranno uno squallido negozietto di abbigliamento, e sarà l’ennesima occasione mancata per far bella figura con l’ordine cosmico. Dopo 80 anni è brutto chiudere una tale bottega, specie perché pian piano gli artigiani stanno scomparendo. Troppo semplice andare in un centro commerciale per risolvere i problemi. Si butta e si ricompra. Speriamo che il comune faccia qualcosa, almeno per questa bottega.Il problema lo percepisco particolarmente perché fino a 20 anni fa, mio padre aveva un negozio di giocattoli, ed io fin da quando so tenere un cacciavite in mano, mi guadagnavo la paghetta aggiustando giocattoli. Quante bambole ho riparato! specialmente sotto la Befana, quando le madri riportavano indietro il regalo non funzionante per difetti di fabbricazione, cicciobelli che non smettevano di piangere quando gli si infilava il ciucciotto in bocca, robottini che non si muovevano, auto radiocomandate che andavano a sbattere autonomamente, walkietalkie muti. Bastava smontare, ripassare tutte le saldature e richiudere senza perdere le viti. Se avessimo dovuto ridarle indietro ai distributori, si sarebbe dovuto aspettare chissà quanto, e con i magazzini esauriti (non c’era la crisi di oggi) non si poteva sostituire niente. Facevo prima a riparare. Mi piaceva quando smontavo le teste o facevo parlare quegli orribili simulacri e surrogati di bebè, tirando fuori i fili, gli interruttori, i motorini, i dischi con le frasi incise, o anche i chips più moderni. Mi dava l’idea di essere un moderno Frankenstein, specie quando chiudevo il circuito alla fine e le batterie, come il fulmine del romanzo, instillavano quella finta vita, e l’androide iniziava a muoversi e parlare e piangere.Che soddisfazione poi provarlo di fronte a madre e bambini scatenando quei rumori grotteschi che avevano la doppia funzione di: 1- ridare il sorriso al bambino; 2 – creare una smorfia sul viso del genitore o di chi ne faceva le veci all’udire il suono stridulo ed inarticolato esclamare “se avessi saputo che avrebbe fatto tutto ‘sto casino, col cavolo che scrivevo la letterina alla Befana!”