Kremuzio

Ne abbiamo il diritto?


L’argomento è difficile, e non ne sono all’altezza. Filosofia, religione, scienza, psicologia. Da quale parte si deve prendere di petto l’eutanasia? La sofferenza quando diventa insopportabile così da preferire il trapasso? E se la sofferenza non è del malato ma di quelli che sono intorno a lui? Accanimento terapeutico è anche dar da mangiare a chi non può procurarselo da sé. Quante domande a cui non son degno di dare una risposta! Ho visto mio padre sedato dopo un’operazione non riuscita. Un coma farmacologico da cui non ne è uscito vivo: Sono sicuro che siano stati i medici a spegnere i macchinari alle 3 di notte, dopo una settimana, ma forse è stato meglio per lui, anche se aveva solo 60 anni. Quando uno soffre perché è pieno di metastasi e si è operato troppo tardi, come puoi pretendere che viva degnamente? Ma non capisco come si possa lasciar morire di fame e di sete un corpo che vegeta, ormai con il cervello spento e non si possa fare un’iniezione letale, o un’inalazione di monossido di carbonio. Te ne vai in fretta, senza soffrire, senza inutilmente sollevare le proteste da una parte e dall’altra. Se uccidi senza far soffrire si definisce eutanasia, come si può definire questo lento, scientifico spegnersi? Qual è il limite che ci poniamo di fronte a tragedie che non ci toccano in prima persona? Perché essere contro l’eutanasia ma a favore della pena di morte? Perché continuare a cibare un corpo infermo, un vegetale umano in strutture che costano migliaia di euro al giorno quando con quegli stessi soldi potresti cibare migliaia di bambini nel terzo mondo? Perché un sollevare dubbi filosofico-religiosi su questo seppur importante argomento mentre si permette di bombardare popolazioni inermi? Spero di non fare discorsi demagogici o fini a sé stessi o così tanto per fare, o peggio, domande retoriche. Per cui mi fermo qui.