Kremuzio

Cesare


Vedere al telegiornale un servizio sulla sfilata di adulti mascherati da centurioni e legionari romani della “decima” legione, mi ha fatto un po’ impressione. Per carità ognuno è libero di manifestare le proprie passioni, ma mi è sembrato fuori luogo, a prescindere dal momento storico in cui ci troviamo, osannare un dittatore nella ricorrenza delle idi di marzo. Se il suo “de bello gallico” trasporta fino a noi l’idea che le campagne galliche furono attuate per la difesa di Roma, fortunatamente altre cronache del tempo ci dicono anche che furono, obiettivamente, invasioni imperialiste e colonialiste che portarono all’uccisione di circa 500mila persone tra militari e civili. Che poi parlare di militari invece di popolazioni di contadini ed allevatori, sollevati nel tentativo di contrastare un’invasione, mi sembra azzardato. Sono anche d’accordo col fatto che comunque le invasioni romane hanno salvaguardato i costumi e le religioni locali, ed a volte assorbiti gli dei in un pantheon superaffollato, ma sempre di conquiste armate si tratta. Spesso le campagne sono partite da presunti sgarbi e paure. Paura di coalizioni tra Galli e Germani, che questi potessero oltrepassare i confini sul Reno imposti dai romani, o di preparare invasioni. Spicca la figura del capo del galli Vercingetorige già cavaliere dell’esercito alleato a quello romano, che riuscì nell’intento di riunire molte tribù, ma che dopo azioni di guerriglia ed una inutile vittoria sul campo, venne poi cinto d’assedio e sconfitto. L’impero romano è passato attraverso tante stragi di popolazioni inermi, e non me lo rende accettabile il fatto che io sia nato a Roma e che la mia famiglia sia romana da tantissime generazioni, cosa che in molti li fa sentire centurioni nell’animo. Sarà che fin da giovane mi dava fastidio una storia basata sulle guerre, come si trattasse di soldatini invece di uomini che versavano il loro sangue per il salario o per la propria tribù. Condottieri senza scrupoli che raramente venivano almeno feriti in battaglia, ma che poi venivano ricoperti da onori e sesterzi. Come mi dava fastidio l’idea del Colosseo come simbolo di una Roma al suo massimo splendore, teatro di combattimenti all’ultimo sangue per divertire il popolo, luogo di massacri di uomini ed animali. E mi sconvolge l’idea di strade consolari ricoperte di uomini crocifissi, di uccisioni barbare, complotti di corte, di nobili che si crogiolavano negli agi, nei vizi e nel decadimento culturale.Un mio amico ha un portachiavi con un medaglione in cui c’è scritta la frase: “Date a Cesare quel che è di Cesare: 33 coltellate”. Macabro ma sostanziale. Più passa il tempo e più penso, per assurdo, che se i romani avessero avuto armi di distruzione di massa, le avrebbero usate senza scrupoli…