Kremuzio

Cantine ed alcove


Per uno che in vita sua non ha mai gettato via niente, la cantina è un po’ come la stanza del tesoro di Tutankhamen. Si, avevo anche il “cassetto degli impicci”, ma il concetto venne allargato già moltissimi anni fa, quando mi si permise di colonizzare una parte della bellissima cantina che avevamo in una zona residenziale. C’erano due armadi colmi di tarme ed antichi vestiti di mia nonna ed un bel divanetto a due posti con tracce di tarli, ma dato che ci passavano le tubature del riscaldamento centralizzato, non c’era traccia di umidità. Un paradiso senza finestre. Il luogo dove andarmi a nascondere, o a riposare in un’atmosfera ovattata, della temperatura giusta, praticamente la mia coperta di Linus, ma molto più comoda.Adoro le cantine comunque, quelle puzzolenti di muffa, con l’intonaco che se ti appoggi al muro ti ferisci, sporche ed umide, con qualche macchia di salnitro, ottimo per fare la polvere da sparo. Non ne ho una così. Ma mi accontento di quella che sotto al mio ufficio viene impiegata come magazzino, malsano ed umido, ma con sempre quegli odori particolari. Ogni tanto mi ci imbosco. O quella del magazzino di materie plastiche di mio nonno che aveva uno scivolo per i rotoli, e mi ci gettavo e mi perdevo tutt’intorno ai sotterranei che sogno ancora oggi, o quella del negozio di mio padre, dove il gatto mi aveva insegnato a dormire sui cumuli di gommapiuma, o come quella del ministero dove avevo installato telecamere, che era lunga chilometri e sembrava dovesse spuntare in qualche catacomba inesplorata, o quella che profumava di botti in quella casa del trecento dove andavo in villeggiatura, piena di trabocchetti e passaggi segreti.Quella che ho adesso è piccolissima, meno di quattro metri quadrati, bassa un paio di metri, che avevo costellato di scaffali metallici che piano piano nell’ultima ventina di anni si sono riempiti di mille cose utili. Inizialmente ci avevo messo la mia collezione di radio antiche, quelle metalliche, militari, funzionanti, poi le scatole con pezzi di chissà cosa, a ricordarmelo, che usavo quando ero bambino, piene forse di giochi, esperimenti elettrici, tubi pieni di cose chimiche, ricordi di scuola, bottoni e macchinine, aeroplani ed antennine, lampadine e fili spaiati. Utilissimi nel caso un giorno mi potranno servire. Lo so che un giorno mi serviranno, sono pronto a scommetterci sopra.Il problema è che nel tempo ho accumulato elettrodomestici, piccoli, pezzi di televisore, collezioni di giornaletti ben sigillati nella plastica, statuette, altoparlanti rotti da recuperarci i magneti, una chaise longue smontata, un organo elettronico, un raro esemplare di moog compatibile, alcuni computer degli anni 80, tra cui un bellissimo apple II portatile, un sacco di schede per quello da tavolo, i sinclair piccolissimi, i commodore, un ventilatore, la scatola del televisore nuovo, tutte le scatole delle ultime cose acquistate, scatole piene di qualcosa che non so o che ho fatto fatica a dimenticare, alcuni playboy degli anni 70, quando ancora le donne erano naturalmente belle, quadri e poster arrotolati, imballi di polistirolo di cose che non ho più ma che si sono incastrati laggiù in fondo dove non posso arrivarci e rimangono ad avvertirmi che c’è anche qualcosa di inutile. Ma la situazione è quella che quando apro la porta di legno della cantina, la roba dietro è così compatta zippata e sistemata che cerca di crollarmi in testa, allora apro pianissimo come se non volessi disturbare, come quando aprivo la porta della cucina la mattina del 6 gennaio, come se avessi paura di scoprire un ladro, allungo una mano per bloccare la chaise longue smontata, che sta a circa un metro ed 80 di altezza, puntellata su un’antenna, una scatola vuota ed un pezzo di radio a valvole che a suo modo è poggiata sul moog che sta su un trasmettitore da carro armato, un po’ storto rispetto all’organo elettronico, ma fortunatamente il paginone centrale con miss luglio 1972 si vede ancora.E penso a quando avevo la stanzona grande e riscaldata, ed i pomeriggi in pace passati in intima compagnia con la mia ragazza tanti anni prima, quando si respirava piano ogni volta che sembrava passasse il portiere, e spegnevamo la luce, e quando il divano stava diventando troppo scomodo e l’avevamo spostato verso il muro, una volta avevamo scoperto che c’era un materasso, comparso improvvisamente un giorno. E mi sono sempre chiesto se è stata la provvidenza a farci trovare quel soffice giaciglio dove passare i pomeriggi, o magari mio padre si era accorto della scomodità in cui andavamo incontro e ci aveva voluto fare un regalo. Non gliel’ho mai chiesto, ed ora non posso più chiederglielo, ma di sicuro si sarà immaginato che in cuor mio l’ho ringraziato mille volte.