Kremuzio

Lineamenti per ogni meridiano


A volte mi sento uno Zelig. In qualunque zona del mondo io mi trovi, c’è sempre qualcuno che mi chiede un’indicazione stradale. O almeno così mi sembra. Roma è grande e, bene o male, la conosco un po’ tutta, dato che tra i lavori che ho fatto durante l’adolescenza, c’era anche quello di fattorino per conto del negozio di mio padre. Giravo con la 500 stracarica di pacchi, ed a volte anche con l’ape 125, che strapuzzava di miscela, dato che il serbatoio era sul cruscotto. Allora tra nomi strani di vie e strade a ferro di cavallo, insidiosissime, dovevo per forza trovare le destinazioni sullo stradario, e da lì le imparavo per la volta successiva. Così la mia cultura avanzava ed anche la capacità di rispondere ai turisti quando mi capitavo di passare per il centro. Bastava fermarsi per un attimo di fronte ad un portone, per far sì che un po’ tutti, specialmente i giapponesi, ti chiedessero tra mille inchini, nel loro inglese stentato, dove si trovassero Piazza di Spagna e Fontana di Trevi. Sempre e solo queste due mete. Chissà perché, forse perché mi trovavo in mezzo a queste due destinazioni.Senza dubbio ho la faccia di uno affidabile, e con piacere di solito espleto la bisogna ed indico il tragitto più breve, sempre che non si tratti di prendere l’autobus. Sono troppi, e no li conosco se non quelli che mi passano sotto casa. Per la metro, no problem. Ma non è tanto per le richieste che mi fanno in strada o in moto per le vie della mia città, ma sono quelle che mi richiedono in trasferta che mi stupiscono. Ma proprio ogni volta che mi trovo come turista in strade estere sconosciute, si rivolge qualcuno, ma non un turista, bensì un indigeno, a me, proprio a me, per sapere qualcosa. Finché si tratti di idiomi che intellegisco, passi, in quanto rispondo cordialmente che sono italiano e non conosco questo territorio. Al massimo tiro fuori la piantina e la offro per un fai da te di orientamento. Ma il problema è quando tu stesso ti perdi e vorresti sapere dove ti trovi, in un paese straniero ed ostico nel linguaggio, in cui giri e giri con la carta volta al contrario senza capirci niente. Mi è capitato un paio di volte, a Budapest e ad Amsterdam. I cartelli pieni zeppi di consonanti buttate alla rinfusa, o di vocali il cui abuso venne vietato dalla convenzione di Ginevra, mi mettono un mal di testa tale da farmi girare per ore sempre intorno allo stesso punto, visto che le indicazioni che chiedi e ricevi in inglese, troppo spesso non ti aiutano. Ma il caso vuole che venga fermato, anche in queste zone, da gentili personaggi, non turisti, ma del luogo, che mi chiedano dove si trovino misteriose toponomastiche. A volte capiscono, dopo aver detto di essere italiano in tutte le lingue da me conosciute (per questa frase sono un poliglotta), e come seconda occasione gesticolato e mimato di essere un mangiatore di spaghetti maccaroni, pizza e mozzarella, nonché suonatore di mandolino e maschio latino (con gesti che potrebbero essere scambiati per offensivi). Al che, loro capiscono. Ma possibile che mi scambiano per uno del luogo? Vabbè, che non mi travesto mai da turista, ma i tratti somatici che possiedo sono così simili a quelli che sono la maggioranza ovunque? O forse è per il fatto che l’integrazione multirazziale ha raggiunto percentuali di abitanti notevoli, e che gli italiani sono da sempre emigranti? In un certo senso mi fa piacere che vedano in me uno della stessa cittadinanza, visto che mi sento innanzitutto europeo e quindi cosmopolita. La cosa che mi frega, comunque, è che di solito il tempo per dare un’indicazione è limitato, specie quando stai o stanno al semaforo, e scatta il verde. Non è che sia un fulmine a visualizzare la strada cercata e la scorciatoia da consigliare, anzi, troppo spesso appena il richiedente scappa inseguito dai clacson, mi rendo conto di avere appena consigliato la strada sbagliata, anzi che se avessero per caso capito il contrario, potrebbero arrivare prima. E la cosa mi getta nello sconforto più nero… e ci ripenso mentre scappo anch’io e spero di non reincontrare al semaforo successivo quella stessa malcapitata persona che ancora non possiede il GPS.